Ecco perché dico basta ai Bilaterali

di Enrico Borelli, Segretario Unia Regione Ticino e Moesa

La libera circolazione delle persone è un grande principio di civiltà perché, se attuato, realizza un mondo senza frontiere e dunque una società fondata sull’uguaglianza e autenticamente libera. Essa «implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità tra i lavoratori per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro», si legge tra l’altro nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che ne descrive il concetto.

Può allora sorprendere «la netta presa di distanze» del movimento sindacale ticinese nei confronti dell’Accordo sulla libera circolazione con l’Unione europea (UE) sottoscritto dalla Svizzera, segnalata da Giovanni Galli in un interessante editoriale (CdT dell’11 maggio) dal titolo Contrordine compagni sui Bilaterali a cui mi permetto di replicare con alcune osservazioni e precisazioni.

– La libera circolazione in vigore in Europa non è purtroppo quella delle persone descritta in entrata, ma quella della forza lavoro sfruttata da un padronato senza scrupoli. È una realtà che tocchiamo con mano anche in Svizzera, dove l’applicazione dell’accordo ha sin qui prodotto un costante imbarbarimento delle condizioni di lavoro e d’impiego: termini quali «dumping», «sostituzione di manodopera», «messa in concorrenza» o «caporalato», quasi sconosciuti fino a una dozzina di anni fa, sono entrati a far parte del linguaggio comune.
– Le cosiddette misure di accompagnamento contro il dumping salariale e sociale si sono d’altro canto rivelate totalmente inadatte a contrastare le distorsioni del mercato del lavoro, ma nella classe politica e padronale manca la volontà di correre ai ripari. Di fronte a questa indisponibilità e al disastro che ogni giorno come sindacalista mi tocca osservare nelle realtà lavorative, non potrò che oppormi a qualsiasi nuovo accordo con l’Unione europea in materia di libera circolazione.
– Sono altresì convinto che il movimento sindacale svizzero abbia sbagliato ad accontentarsi delle misure adottate dal Parlamento, sia nel 1999 sia e soprattutto nel 2004, quando vennero solo lievemente rafforzate alla vigilia della votazione sull’estensione dell’accordo ai Paesi dell’Est Europa: in quell’occasione si sarebbe dovuto esigere molto di più in cambio di una rinuncia al referendum.
– Referendum che venne tuttavia invocato dai sindacati ticinesi, a testimonianza del fatto che le recenti prese di posizione non rappresentano un «contrordine», ma al massimo un richiamo di fronte ad una situazione ormai insostenibile. Ma non imprevedibile: il 16 ottobre 2004 l’allora segretario del SEI (e poi di Unia) Saverio Lurati, al congresso di fondazione di Unia, già denunciava, alla luce dei primi tre anni di esperienza con la libera circolazione, una situazione «drammatica» e chiedeva un sostegno al referendum contro l’estensione dell’accordo «per dare un segnale forte alla classe politica e padronale», per dirle che «torneremo a discutere di libera circolazione solo quando questa non farà più rima con libero sfruttamento delle persone». Oggi i sindacati ticinesi rinnovano questa richiesta, nella speranza di contribuire alla presa di coscienza di una realtà nel frattempo ulteriormente degradatasi: in Svizzera non è arrivato l’allora temutissimo idraulico polacco, ma l’operaio edile italiano, pagato 5 franchi all’ora e costretto a dormire in cantiere, in uno scantinato o in qualche squallido capannone.
– Sono queste le situazioni che occupano e preoccupano un sindacalista, che ritengo abbia il diritto di dirsi contrario a questa libera circolazione senza subire ridicoli accostamenti alla destra nazionalista, a Christoph Blocher o all’UDC, le cui posizioni antieuropeiste peraltro sono più di facciata che di sostanza. Non condivido dunque l’affermazione di Giovanni Galli, secondo cui «finora il solo Blocher ha fatto sul serio, minacciando un’iniziativa contro la libera circolazione in caso di non applicazione del 9 febbraio». In realtà, in materia di accordi con l’UE, Blocher e l’UDC lanciano iniziative e referendum solo quando hanno la sicurezza di perdere. Basti ricordare la giravolta alla vigilia della votazione del febbraio 2009 sull’estensione della libera circolazione a Romania e Bulgaria e sulla proroga a tempo indeterminato dell’accordo entrato in vigore nel 2002. Sarebbe stata l’occasione d’oro per far saltare tutto, invece l’UDC non sostenne il referendum e solo a pochi mesi dal voto invitò, e senza spendersi troppo, a votare no. Ci pensò poi l’abile Blocher a spiegare ai rappresentanti del mondo imprenditoriale del partito (che grazie agli accordi con l’UE fanno affari d’oro in Europa) e agli ambienti economici che si era trattato solo di una mossa per evitare di perdere elettori.
– Mi pare evidente che un sindacalista come il sottoscritto dica basta alla libera circolazione senza regole per ragioni molto più serie: in gioco vi sono i diritti e la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori.