Atene come Santiago

di Franco Cavalli
 
Quasi dopo ogni consultazione popolare, molti politici si stracciano le vesti, lamentandosi per il costante aumento dell’astensionismo, guardandosi però bene dall’analizzare le cause del fenomeno. Secondo me molta gente non si prende più la briga di votare perché sa che oramai le decisioni fondamentali non sono più prese dai governi e tanto meno dai parlamenti, ma bensì dai circoli economici dominanti. Ed è in fondo questa convinzione che, oltre alle ansie per le possibili conseguenze di un Grexitparadossalmente spiega l’interesse quasi spasmodico con cui l’opinione pubblica internazionale ha seguito la maratona negoziale dell’ultimo weekend a Bruxelles.

Molti difatti volevano vedere se, almeno per una volta, la volontà politica espressa da una chiara maggioranza del popolo greco avrebbe potuto avere la meglio sulle regole dettate dall’oligarchia economica. Oltre alla predominanza della Germania, ciò che Schäuble e accoliti difatti difendevano era l’intangibilità delle regole neoliberali su cui si basa l’EU e il cui elemento centrale è rappresentato dall’assoluta libertà del capitale, dalla progressiva privatizzazione dei servizi pubblici e dalla mancanza di protezioni sociali con una quindi crescente tendenza al dumping salariale. Tsipras con il suo referendum ha sfidato queste regole ed andava quindi duramente punito. Ciò che è puntualmente avvenuto ed in modo plateale durante l’ultimo weekend. Da un punto di vista economico non c’è dubbio che le proposte greche erano le uniche razionali: l’hanno proclamato ai quattro venti i migliori economisti mondiali, tra cui i premi Nobel Stiglitz e Krugman. E in fondo l’ha confermato anche il rapporto pubblicato in questi giorni da FMI, che sostiene la tesi del taglio del debito greco, come si era fatto con l’astronomico debito tedesco dopo la seconda guerra mondiale (altrimenti la Germania farebbe probabilmente ancora oggi la fame). Ma tutto ciò non importava. Varoufakis, nella sua oramai famosa intervista al New Statesman, ha descritto molto bene l’ambiente. Quando lui, da quel rispettato professore di economia che è, cercava di ragionare in termini economici con il giurista Schäuble e con l’agronomo Dijsselbloem (Capo dell’Eurogruppo), questi “facevano una faccia come se stessi parlando una qualche strana lingua”. Quest’ultimi stavano difatti semplicemente difendendo gli interessi dell’oligarchia economico-finanziaria, ciò che è una cosa molto diversa dalla ricerca della migliore soluzione economica ai problemi esistenti.

A Bruxelles si è consumato un golpe contro la volontà democraticamente espressa da parte di un popolo e l’approvazione del diktat da parte del Parlamento di Atene, avvenuta con la pistola puntata alla tempia, non modifica sostanzialmente questo dato di fatto. Il paragone con quanto avvenuto nel 1971 a Santiago è calzante per diverse ragioni. Allora si trattava di impedire che l’esempio di un governo socialista democraticamente eletto potesse essere seguito da altri paesi dell’America Latina, in un momento in cui in Europa il movimento operaio e quello studentesco erano all’offensiva. Ora si trattava di impedire che l’esempio greco contagiasse nei prossimi mesi la Spagna e l’Irlanda ed in seguito magari anche il Portogallo e l’Italia. A Santiago dopo il golpe di Pinochet arrivarono i Chicago Boys, che per la prima volta sperimentarono le loro ricette neoliberali. Ora ad Atene tornerà la Troika, con il mandato di dimostrare che, come ebbe a dire una volta Angela Merkel, “democrazia è ciò che i mercati permettono”. Mi si dirà che sto esagerando, perché ad Atene non ci sono (ancora?) i desaparecidos  le decine di migliaia di fucilazioni. È vero: però le misure economiche degli ultimi cinque anni e che ora saranno rese ancora più drastiche hanno già provocato un aumento del 10% della mortalità infantile e del 20% dei suicidi. Questi morti qualcuno li ha sulla coscienza: gli stessi che porterebbero la responsabilità, se domani ad Atene tornasse il regime dei colonnelli o trionfasse Alba Dorata.