Sì all'Europa, no a questa Unione Europea

Editoriale del Quaderno 4

 

In questi mesi le discussioni sull’Europa, sull’Unione Europea (EU) e sull’Euro si sprecano, spesso attorcigliandosi e rendendo difficile la comprensione della problematica. Vale quindi la pena di partire dall’inizio.

Alla fine della seconda Guerra Mondiale, la grande maggioranza dell’opinione pubblica europea voleva farla finita sia con i nazionalismi che con il capitalismo, responsabili di aver provocato in poco più di 30 anni due guerre mondiali con oltre 100 milioni di morti.

La allora prevalente voglia di socialismo fu spenta con il bastone (con le armi in Grecia, con l’invenzione della guerra fredda altrove) e con la carota, rappresentata quest’ultima dal Piano Marshall. Dalle ceneri dei nazionalismi avrebbe poi dovuto nascere l’unificazione europea, che secondo i padri fondatori avrebbe dovuto basarsi su una politica economica keynesiana, un’economia di mercato a sfondo sociale (il cosiddetto «modello renano») e lo sviluppo dello stato sociale. Non sorprende quindi che ad entusiasmarsi per questo progetto sia stata soprattutto la Sinistra, entusiasmo che tuttora persiste come pia illusione e al di là di ogni ragionevolezza in alcuni tronconi della socialdemocrazia. Ciò che quest’ultima aveva sin dall’inizio colpevolmente sottovalutato era che, al di là delle possibili buone intenzioni di qualche padre fondatore, una simile Unione politica alla fine non può che strutturarsi sulla base dei rapporti di forza economici. Questo l’aveva già capito il buon vecchio Lenin, che esattamente cento anni fa aveva scritto nel settimanale svizzero «Socialdemokrat»: «sotto un dominio capitalista, l’unificazione europea non sarà possibile o allora potrà essere solo reazionaria». E così, trattato dopo trattato, l’EU si è allontanata sempre di più dalle nebulose premesse iniziali per trasformarsi ora nell’unica Unione di più stati, che prevede nelle proprio leggi fondamentali il dominio assoluto e incontrastato del mercato quale regola fondante. E questo secondo il rigido ordoliberismo teutonico, che prevede sì (contrariamente al neoliberismo anglosassone) un ruolo fondamentale per lo stato, ruolo però che deve essere definito in base a quanto prevedono le leggi dell’economia capitalista. In questi giorni è stata nuovamente pubblicata una lettera che Gustav Krupp, fondatore dell’omonima dinastia industriale, aveva mandato circa 100 anni fa all’imperatore tedesco, definendo quali sarebbero dovuti essere gli obiettivi della Germania, che a quel momento sembrava di poter essere in grado di vincere la prima guerra mondiale. In fondo Schäuble sta ora cercando di raggiungere gli stessi obiettivi, anche se con altri mezzi. E ciò non può non preoccupare profondamente, pensando anche agli stridenti toni razzisti anti-greci apparsi nei media tedeschi durante la recente crisi. Sia come internazionalisti, sia sapendo che quanto più debole e piccolo è uno stato, tanto più facilmente questo può diventare preda del capitalismo finanziario internazionale, noi non possiamo che essere a favore di un’unificazione europea, ma però su basi democratiche anche per quanto riguarda i diritti sociali e in fondo, quindi, anti-capitaliste. Proprio perché non possiamo accettare l’assioma enunciato dalla coppia Merkel-Schäuble, secondo il quale «democrazia è ciò che il mercato permette». Non possiamo invece accettare questa EU, che sta schiavizzando, a partire dalla Grecia, i popoli dell’Europea meridionale. Questo deve diventare per noi un punto fermo delle nostre posizioni politiche.