Brissago: morte del richiedente l'asilo Tamil

di Paolo Buletti

Non si tratta qui di emettere sentenze o di arrivare a determinare con precisione la dinamica dei fatti. Questo compito spetta a chi di dovere.

A noi rimane la necessità di capire, inoltrarsi nelle storie, dare un senso, se possibile, a questo epilogo tragico, nominare ciò che rischia di essere rapidamente dimenticato.

Contesto

 

S.K., richiedente d'asilo di orgine tamil, morto lo scorso 7 ottobre a Brissago era in attesa di una risposta dal 2015.

Proveniva da Ananthapuran, località situata nella zona nord dello Sri Lanka a maggioranza tamil. La famiglia del richiedente (moglie e due figlie adolescenti) ha abitato fino a poco fa in una zona in cui il governo dello Sri Lanka ha sterminato migliaia di tamil: la zona si chiama Vanni e la località Puthukkudi Iruppu. Nel caso specifico lo Stato ha sequestrato tutte le proprietà agricole della famiglia. In un recente passato, nel 2009, la cittadina è stata bombardata con armi chimiche dal governo cingalese in collaborazione con India e altri paesi.

La lotta del popolo tamil per la sua indipendenza dura da una sessantina d'anni (1958) e dal 1972 il movimento, dopo un lungo periodo di resistenza pacifica, è passato alla lotta armata. Nel 1985 si contavano 3 milioni e mezzo di tamil nello Srilanka, circa 80 milioni nel mondo, tra cui 65 milioni in India. A tutt'oggi i tamil in Sri Lanka sono 2 milioni. Un milione è scappato dal proprio paese d'origine e si è disperso nel mondo. Circa mezzo milione di tamil sono stati uccisi. I rapporti dell'ONU parlano di 60.000 morti, tutti gli altri sono nel conteggio dei dispersi.

La lotta è ancora in atto, il governo ha cambiato strategia, confisca le proprietà dei tamil, li esclude dalla possibilità di studiare e di trovare un lavoro. Nella zona nord dello Sri Lanka si calcola una presenza militare pari a un soldato ogni 7/8 abitanti.

Malgrado ciò la SEM (Segreteria di stato della migrazione) dichiara che “l'allontanamento dei richiedenti d'asilo dello Sri Lanka è ormai RAGIONEVOLMENTE ESIGIBILE”. Ciò si traduce concretamente in un rallentamento della concessione dello statuto di rifugiato ai tamil.

I tamil si definiscono orfani nel mondo, presto saranno una minoranza nel proprio paese. Si sentono abbandonati e c'è anche chi nega le persecuzioni di questo popolo. In Parlamento la loro forza è molto esigua, contano 17 deputati su 200 parlamentari dello Sri Lanka.

 

La dinamica dei fatti

 

S.K. abitava da solo in un monolocale. Altri monolocali sono abitati da richiedenti d'asilo tamil. Disoccupato e impiegato per lavori temporanei dal comune di Brissago, comincia a consumare alcol (cosa che non faceva al suo paese) e a soffrire sempre più della situazione precaria in cui si trova (incertezza per l'ottenimento dello statuto di rifugiato, alimentata dalla lunga attesa, preoccupazione per la famiglia in Sri Lanka, mancanza di prospettive di lavoro e di poter in qualche modo aiutare i famigliari).

Con i suoi coinquilini ci sono tensioni e litigi frequenti. Quel giorno, 7 ottobre, due coinquilini litigano con lui e poi lasciano la casa. In questa situazione di tensione, consapevoli del fatto che il rientro può comportare qualche difficoltà, avvertono la polizia. La polizia risponde all'appello e si reca sul posto con una pattuglia della gendarmeria cantonale, che chiede a sua volta il rinforzo di un'altra pattuglia.

Sul posto per breve tempo anche una pattuglia della polizia comunale di Ascona.

Dopo aver ispezionato l'esterno, i poliziotti della cantonale suonano il campanello ed entrano. Davanti ci sono i coinquilini e dietro la polizia: S.K., presumendo che si tratti dei due coinquilini coi quali aveva precedentemente litigato, apre la porta munito di coltello come arma dissuasiva.

Qui i racconti sono discordanti: la polizia informa la stampa dicendo che il richiedente d'asilo cerca di aggredire i connazionali, provocando l'intervento della polizia. Il poliziotto, come si sa, uccide l'uomo tamil con la sua arma d'ordinanza,sparando tre colpi, due al fianco e uno al petto. L'uomo ha 38 anni. I due coinquilini sono stati alloggiati temporaneamente al centro rifugiati di Camorino. Ora sono rientrati a Brissago.

 

Sviluppi

 

Il rimpatrio della salma sarebbe costato troppo e allora la comunità opta per un funerale in Svizzera pagando il viaggio verso la Svizzera alla vedova, alle due figlie e a uno dei fratelli della vittima. La famiglia aveva chiesto il permesso per l'arrivo di dieci persone ma è stata concessa l'autorizzazione solo alle quattro persone sopra nominate. Il funerale si svolge al cimitero di Bellinzona: intervengono parecchi membri della comunità tamil.

Al funerale (probabilmente pagato dal governo svizzero) prendono la parola il presidente della comunità tamil in Ticino E Eswarathas, il consigliere comunale di Thun di origine tamil, signor Tharsini, un avvocato tamil che abita in svizzera tedesca e cha ha funzione di mediatore e un prete della cultura indù di Basilea.

Non si ha notizia di rappresentanti politici svizzeri.

I discorsi pronunciati sono stati improntati ai temi del rispetto delle regole, della necessità di vivere in pace e della consapevolezza di essere ospiti in questa terra. C'era disponibilità a pensare che la vittima avesse avuto la sua parte in questa dinamica di tensione. Nello stesso tempo si percepiva sconforto e perplessità per l'uccisione del connazionale. Si è percepita autocritica, la comunità tamil si è interrogata sulle origini delle tensioni e sulle loro conseguenze drammatiche. Nello stesso tempo tra i presenti era consistente la convinzione che questa morte poteva e doveva essere evitata. In generale nella comunità è forte la paura di esprimersi, anche a causa dei nuovi orientamenti della politica federale nei confronti di questo popolo.

La famiglia ha partecipato al funerale e poi, invece di rimpatriare, si è data alla clandestinità. Attualmente la vedova e le due figlie si trovano a Basilea, mentre a tutt'oggi non si sa dove sia approdato il fratello della vittima. Sembra che un avvocato stia interessandosi per vedere come procedere per una domanda di asilo dei quattro. In Sri Lanka il governo approfitta del fatto per descrivere S.K. come un terrorista, mentre la comunità tamil si trincera nel silenzio e in una specie di fatalismo (si tratta di una vittima in più tra le tante che ha già provocato la guerra).

 

Sulla dinamica dei fatti è stata aperta un'inchiesta d'ufficio e sono stati interpellati specialisti della polizia scientifica di Zurigo. Il Magistrato inquirente (Moreno Cappella) non ha ritenuto necessario applicare misure coercitive alle persone interrogate nel corso dell'inchiesta.

In un servizio televisivo girato nei giorni immediatamente successivi il ministro Gobbi dichiara: “Esprimo la mia vicinanza all'agente coinvolto in questa situazione oltre ai famigliari della vittima.” Parla di “un utilizzo estremo dell'arma come ultima ratio: non è un compito facile... Se l'agente ha valutato la situazione in questo modo io sostengo pubblicamente l'agente per aver difeso sè stesso e i presenti da un coltello che in altre città d'Europa ha colpito cittadini di questo continente”.

Dichiarazione per lo meno affrettata e infarcita di allusioni imprecise a fatti che non c'entrano niente con quanto avvenuto a Brissago. Significativo anche il fatto che il ministro sottolinei che le vittime sono del “nostro” continente.

 

Domande

 

Le domande, anche in questo caso, sono occasioni per dare spazio al dubbio, evitare le certezze che spesso si traducono in rappresentazioni stereotipate, addentrarci nella prospettiva di dare abitabilità alle sfumature, coltivare la passione per l'umanità fragile.

 

1. Qual è stato il percorso migratorio di S.K. in questi 38 anni, prima che uscisse dal suo monolocale con due coltelli in mano?

 

2. Come mai S.K. aspettava da due anni una risposta alla sua domanda d'asilo?

 

3. Vivere in queste condizioni di attesa e di solitudine alimenta lo scoraggiamento, chiude le prospettive, intacca la speranza: cosa ha portato le autorità a mantenere per lungo tempo una persona così a rischio in condizioni precarie?

 

4. Come mai S.K. arriva al punto di uscire dall'appartamento con due coltelli in mano sapendo che in ogni caso questo gesto si ritorcerà contro sé stesso annullando chiaramente le poche speranze di ottenere lo statuto di rifugiato?

 

5. Come mai un poliziotto della cantonale si trova nelle condizioni di sparare al cuore di questa persona? Ci sono delle rappresentazioni che hanno potuto alimentare la possibilità di questo gesto?

 

6. Come mai il ministro Gobbi, nel pieno corso dell'inchiesta, legittima pubblicamente la scelta del poliziotto, prima ancora che gli inquirenti abbiano avuto la minima possibilità di trarre delle conclusioni documentate?

 

7. Come mai lo stesso ministro insinua pubblicamente un legame tra i coltelli branditi da S.K e i coltelli usati da terroristi per uccidere?

 

8. Come mai, alla luce di quanto avviene tutt'ora in Sri Lanka, la SEM (Segreteria di stato della migrazione) ritiene “...ragionevolmente esigibile l'allontanamento dei richiedenti d'asilo tamil?”

 

L'invito è quello di cercare di formulare altre domande al fine di sfuggire alla tentazione delle formule, delle scorciatoie. Si tratta di dar valore alla complessità e di sostanziare il rispetto per le persone e per le loro storie