Moderazione, addio! Le idee radicali sono tornate

di Damiano Bardelli 

 

Continua imperterrito l’anno nero della socialdemocrazia cosiddetta «moderata» e «pragmatica». Dopo l’implosione del Partito Socialista Francese, ormai diviso tra entusiasti di Macron e personaggi irrilevanti, le legislative in Germania sono state teatro del crollo della SPD, guidata al disastro dal liberale Martin Schulz.

 

In Svizzera, intanto, abbiamo assistito alla sonora bocciatura della riforma della Previdenza Vecchiaia 2020 partorita da Alain Berset.

 

Ironia della sorte, stando agli ultimi sondaggi la PV 2020 è stata respinta proprio da donne, giovani e persone a basso reddito, vale a dire quelle persone che la riforma l’avrebbero pagata sulla propria pelle e che l’attuale dirigenza del PSS afferma di voler difendere… Intanto, i partiti e i movimenti che hanno scelto di alzare la soglia delle loro rivendicazioni e di rispolverare una prospettiva di classe stanno vivendo un momento positivo.

Il che vale sia per giovani movimenti come il PTB che per una formazione storica come il Partito Laburista Britannico, la cui nuova dirigenza, guidata da Jeremy Corbyn e spalleggiata da Momentum, è tornata non per niente ad abbracciare il socialismo, rompendo con il neoliberismo di Tony Blair e compagnia bella.

 

Che sia forse finita l’ora della moderazione e del «pragmatismo» liberale, e che sia venuto il momento d’imboccare la via delle proposte radicali? In Ticino come altrove, dalla fine degli anni ’80 abbiamo assistito al progressivo abbassamento delle rivendicazioni della sinistra istituzionale, divenute ormai puramente difensive, quando addirittura non siano asservite a delle logiche neoliberiste.

 

La lotta per un mondo migliore è stata messa in un cassetto, bollata come reliquia del passato, e la salvaguardia delle conquiste ottenute nel secondo dopoguerra è divenuta l’unico, insuperabile orizzonte d’azione.

Le conseguenze di quest’attitudine sono sotto gli occhi di tutti: le privatizzazioni (sostenute a volte anche dalla dirigenza e dai consiglieri federali socialisti) e lo smantellamento dello stato sociale continuano a ritmo serrato, la messa in concorrenza dei lavoratori ha da tempo superato soglie tollerabili, il voto delle classi popolari non cessa di spostarsi verso la destra populista e i giovani sono sempre più disincantanti dalla politica.

 

Se nel resto d’Europa la sete di radicalismo delle classi popolari e soprattutto dei giovani nati dopo il crollo del Muro di Berlino trova oggi sbocco in formazioni politiche e in movimenti sociali come quello dello scorso anno in Francia contro la cosiddetta «Loi travail» (promossa, guarda caso, dal governo del «socialista» Hollande e oggi rispolverata da Macron), in Ticino tutto sembra stagnare, complice anche la frammentazione della sinistra radicale.

La situazione nel PS poi è talmente magra che chi della base vorrebbe alzare il tiro delle rivendicazioni si trova a dover investire tutte le proprie forze non per lottare contro gli attacchi della destra, ma per limitare i danni causati da chi confonde il pragmatismo con il neoliberismo.

Basti pensare alle discussioni attorno all’ennesimo, indecente, «pacchetto fiscale» che, checché ne dicano due pesi massimi del partito come Manuele Bertoli e Raoul Ghisletta, di «sociale» non ha quasi nulla.

 

Nessuno qui vuole negare che delle conquiste passate come l’AVS non vadano salvaguardate, o che nella congiuntura politica attuale la sinistra si trovi nella necessità di condurre delle lotte difensive. Il problema sorge quando, in nome del pragmatismo, la salvaguardia dello status quo diventa l’orizzonte stesso dell’azione politica.

 

Le concessioni fatte alla destra dalla sinistra istituzionale sono sempre più intollerabili, e le contropartite richieste sempre più ridicole: con una prospettiva così deprimente, è evidente che chi da questo status quo ci perde finisca con l’accodarsi alle sirene della destra populista.

Priva di un progetto di trasformazione della società, la sinistra si trova completamente priva di punti di riferimento su cui appoggiarsi per difendere i propri valori.

In questo senso, la via del radicalismo presenta un vantaggio innegabile: volere tutto, anche quando non si potesse ottenere nulla nell’immediato, ci obbliga a definire degli obiettivi, e questi obiettivi costituiscono dei puntelli fondamentali per chi si trova a combattere delle battaglie difensive.

 

Come scriveva lo storico francese Georges Duby, «la traccia di un sogno non è meno reale di quella di un passo». Commentando queste parole, l’attivista e giornalista francese Pierre Rimbert aggiungeva: «In politica, il sogno senza il passo evapora nel cielo brumoso delle idee, ma un passo senza il sogno marcia sul posto.

 

Solo insieme il passo e il sogno possono disegnare un cammino, un progetto politico.» Il che ci ricorda che il radicalismo non deve essere inteso come una puerile postura da «tutto e subito», quanto piuttosto come un progetto di cambiamento radicale della società fondato sulle condizioni materialmente esistenti.

Perché senza una buona dose di pragmatismo, nel senso letterale del termine e non in quanto sottomissione al pensiero liberale oggi egemonico, ogni progetto radicale è destinato a essere solo un fumoso sogno irrealizzabile.

 

Chi considerasse l’emergenza di queste spinte radicali come uno scivolamento della sinistra verso un idealismo illusorio avrebbe torto: così facendo, la lotta torna invece sulle sue basi classiche.

Che la sinistra agisca come formazione esclusivamente difensiva è un’eccezione storica a cui si è assistito solamente negli ultimi trent’anni. Sin dai tempi della Rivoluzione francese, partiti politici e sindacati di sinistra hanno sempre lottato per superare le condizioni materiali della società loro contemporanea, coniugando obiettivi strategici di lungo termine e battaglie tattiche immediate.

 

Due ruoli che nel Ticino della malapolitica e del precariato potrebbero essere ricoperti rispettivamente da una formazione politica radicale e da dei sindacati che avessero ritrovato il gusto della lotta.

Nel contesto attuale, la fondamentale convergenza tra classi medie coltivate, mondo operaio, giovani e precari non può aver luogo nei partiti socialdemocratici morenti, ma solo in quelle formazioni che si doteranno di un progetto politico capace di far brillare di nuovo il «sol dell’avvenire».

 

È giunto il momento di riconoscere che la moderazione ha perso le sue virtù strategiche. Essere ragionevoli, razionali, vuol dire essere radicali.

 

 

Quaderno13 / 7 dicembre 2017