di Graziano Pestoni
Quanto successo ad AutoPostale, purtroppo, non può sorprendere chi conosce la Posta SA. I conti, da anni, sono opachi, di
difficile lettura, eticamente discutibili.
È praticamente impossibile, per esempio, fare rigorosi confronti periodici in quanto i modelli contabili cambiano sovente; è pure impossibile farsi un’idea precisa delle attività svolte all’estero. Ma c’è di peggio.
Per favorire la chiusura degli uffici postali, per esempio, con manipolazioni contabili, la Posta fa apparire disavanzi sempre più elevati: nel 2005 gli uffici postali chiudevano con un guadagno di 27 milioni; nel 2015 con un disavanzo di 110 e nel 2016 di 193 milioni. Si tratta di un atteggiamento grave, soprattutto dal profilo istituzionale, in quanto i risultati conseguiti influenzano inevitabilmente le decisioni politiche.
Lo scandalo degli illeciti presso Autopostale SA rappresenta quindi solo un’escalation dal profilo formale. Non si tratta più “soltanto” di un problema di presentazione dei risultati, bensì di chiare infrazioni alle leggi.
I fatti sono noti. Lo scorso 6 febbraio 2018, l’Ufficio federale dei trasporti (UFT) rende noto che, nell’ambito della sua regolare attività di revisione, ha constatato che dal 2007, dunque da una decina di anni, nel settore AutoPostale SA, una succursale di Posta SA, sono state effettuate pratiche contabili illegali. Avrebbe cioè incassato indebitamente decine di milioni di franchi di sussidi e per tutto questo tempo AutoPostale ha nascosto illegalmente i ricavi attraverso trucchi contabili. Nel traffico sovvenzionato non potevano essere conseguiti utili. Per questo i vertici della Posta avevano cercato alternative, creando perfino due sotto-società di AutoPostale: una sovvenzionata e una seconda non sovvenzionata la quale, in quanto tale, non sottostava alla vigilanza dell’autorità federale e dove confluivano i guadagni.
L’UFT ha informato che l’ammontare complessivo di questa pratica illegale supererebbe i 100 milioni di franchi.
La causa di questo scandalo è la sete di profitto. Un profitto sempre più difficile da realizzare, visto che la Posta sta cedendo le attività maggiormente redditizie ai privati. Gli stessi utili, inoltre, determinano l’ammontare dei bonus versati ai dirigenti, in particolare alla direttrice: nel 2016, oltre allo stipendio di 610’00 franchi, ha ricevuto bonus per un ammontare di franchi 317'000.
Vista la portata delle modifiche organizzative apportate per occultare i guadagni, non da ultimo la creazione delle due società, sembra poco credibile che non siano stati coinvolti tutti, compreso il Consiglio di amministrazione e forse anche i massimi livelli gerarchici del Dipartimento federale competente.
Nel frattempo, la direttrice Ruoff ha preso quattro misure “affinché quanto successo non si possa ripetere”: rimborso di quanto incassato illegalmente; chiarire le responsabilità; spiegare perché è successo, come e attraverso quali processi; valutare se sono necessarie modifiche organizzative. Dubitiamo che le misure della Ruoff siano sufficienti a ristabilire legalità, rigore, trasparenza e correttezza. Il malandazzo, come abbiamo cercato di dimostrare, è più profondo. Negli scorsi giorni si è saputo, ad esempio, che la Posta svizzera è stata condanna dal tribunale francese di Lyon, al pagamento di una multa di 11 milioni di franchi per concorrenza sleale.
In conclusione, a nostro giudizio, non si tratta di ricercare responsabilità personali. Non si tratta nemmeno, come ha affermato il presidente del Consiglio di amministrazione Urs Schwaller, “di fare piena luce sull’accaduto”. La situazione è già chiarissima:
- il parlamento, vent’anni fa, ha deciso di privatizzare i servizi postali;
- il Consiglio federale e il Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle telecomunicazioni hanno emanato precise direttive, per esempio sulle chiusure degli uffici posali;
- il Consiglio di amministrazione e la direzione, a tappe per non urtare troppo utenza, Comuni e Cantoni, ma con rara tenacia, stanno eseguendo i compiti loro affidati: smantellare i servizi e, con quello che rimane per il momento, realizzare gli utili massimi possibili, per esempio aumentando i prezzi e peggiorando le condizioni di lavoro.
Gli illeciti guadagni di AutoPostale, sono quindi soltanto un piccolo incidente di percorso: le manipolazioni contabili di cui la Posta fa largamente uso, questa volta, non sono risultati solo eticamente condannabili, ma pure illegali. “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”, dice un vecchio proverbio popolare.
In altre parole, quanto successo presso AutoPostale è una logica conseguenza della privatizzazione della Posta. Non è il primo fatto riprovevole, come abbiamo visto, non sarà nemmeno l’ultimo. A meno che la Posta non venga di nuovo ri-nazionalizzata e gestita come un vero servizio pubblico, e non secondo criteri commerciali.