Monopoli farmaceutici: solo con il narcotraffico si guadagna di più!

di Franco Cavalli

Il settore delle multinazionali farmaceutiche è quello che mostra meglio di ogni altro non solo l’iniquità, ma al limite addirittura il delirio a cui arriva l’attuale sistema capitalistico, basato sulla cosiddetta share-holder value, cioè sul massimizzare i guadagni borsistici a breve scadenza. Per avere le quotazioni borsistiche le più alte possibili, bisogna cioè massimizzare i profitti. Per fare ciò, o si risparmia sulla manodopera, soprattutto con le mega-fusioni o si vendono i farmaci a dei prezzi astronomici.

 

Di solito i monopoli farmaceutici fanno entrambe le cose e con un certo successo, se ci si pone dal loro punto di vista. Basta guardare i rendiconti finanziari per esempio della Novartis e della Roche che hanno dei bilanci attorno ai 45 miliardi l’anno a testa, con dei guadagni sempre nell’ordine dei 10-12 miliardi. Sì, avete letto bene: il tasso di profitto è del 25%, ciò che nessun’altra industria raggiunge, spiega così come mai, anche durante le crisi borsistiche più nere, i valori delle azioni farmaceutiche rimangano sempre stabili o addirittura crescano.

 

Nel nostro Quaderno 2, uscito nel febbraio 2015, abbiamo pubblicato un’ampia documentazione in un articolo intitolato «Lo scandalo del prezzo dei farmaci». Siccome la situazione nel frattempo non è per niente migliorata, anzi come vedremo è ulteriormente degenerata, riprendo con qualche piccola modifica concernente le cifre e l’incipit di allora.

 

Farmaci anti-tumorali: la situazione peggiora

 

L’iniquità della situazione è particolarmente evidente nel settore dei farmaci anti-tumorali, anche perché qui l’industria sfrutta senza nessun ritegno la paura esistenziale creata nella popolazione dal fe nomeno cancro, per cui riesce più facile poi obbligare le autorità ad accettare prezzi anche enormi.

 

Negli ultimi 25 anni il costo dei farmaci anti-tumorali è aumentato di 40-50 volte e siamo ormai arrivati a dei costi, per gli ultimi farmaci, di 160-170’000 franchi per paziente per un anno.

 

Per chi lavora in questo settore è evidente che il prezzo dei farmaci ha ben poco a che fare con i costi di produzione, e solo molto parzialmente con quelli di ricerca, ma viene fissato quasi esclusivamente sulla base di quel prezzo che si pensa di poter obbligare il mercato o rispettivamente le autorità a pagare. Ci sono però dei lati, se così si può dire, ancora peggiori di questo problema. Così diversi studi hanno dimostrato come quelle regole, di cui parlerò tra un attimo, che permettono ai monopoli farmaceutici di fissare il prezzo che vogliono, li spingono a sviluppare soprattutto farmaci che saranno molto costosi o per i quali si potranno costruire delle giustificazioni che permettono di esigere un prezzo molto alto, eliminando invece già in una fase precoce dello sviluppo quei farmaci che potrebbero costare meno. Di tutto ciò ho parlato molto a lungo e in modo documentato in un’ampia trattazione pubblicata alcuni mesi fa in una rivista d’Oltralpe (F. Cavalli, Irrsinnige Medikamentenpreise, Widerspruch, 2016).

 

Ma al peggio non c’è fine. Recentemente («British Medical Journal», 28 settembre 2017) un gruppo di ricercatori britannici ha dimostrato in uno studio molto particolareggiato che ben il 57% dei nuovi farmaci anti-tumorali approvati dal 2009 al 2013 dalla Agenzia Europea dei Farmaci (European Medicines Agencies, EMA) sono di un’efficacia molto marginale e spesso addirittura assolutamente inutili se misurati con il metro del miglioramento della qualità di vita dei pazienti tumorali o del prolungamento della loro aspettativa di vita. A questo punto il lettore si chiederà come mai ciò può succedere. La risposta può essere semplice, ma comporta una serie di considerazioni. Dapprima, come già detto, nel caso di farmaci anti-tumorali che almeno teoricamente promettono dei miglioramenti, ai monopoli farmaceutici risulta facile mettere sotto pressione le autorità politiche e regolatrici. Spesso ciò avviene grazie al lavoro di lobbying di molte associazioni di pazienti, che sovente vengono finanziate direttamente dall’industria farmaceutica. Senza dimenticare poi i molti articoli scritti da giornalisti prezzolati, che magnificano ed esagerano enormemente «i progressi sensazionali» raggiunti da questo o da quel farmaco. Bisogna inoltre considerare il problema ormai ben noto della corruzione con cui viene ingaggiato da parte dei monopoli farmaceutici questo o quell’esperto, che ha un grande nome nel campo e di fronte al quale le agenzie regolatrici si mostrano molto deferenti. E da ultimo, anche se ci sarebbero altri aspetti da considerare, molto spesso l’accesso al mercato viene chiesto grazie a dei risultati preliminari molto positivi di studi clinici, che quando saranno disponibili dopo qualche anno i risultati finali, spesso saranno diventati molto meno favorevoli di quanto sembrasse: ma nel frattempo lo scopo è stato raggiunto.

 

Ma come è possibile?

 

L’attuale esplosione dei costi dei farmaci è stata resa possibile, come tante altre perversioni, dalla contro-rivoluzione neoliberale. Il tutto parte dagli Stati Uniti, dove i monopoli farmaceutici, essendo stati gli sponsors principali dei candidati repubblicani alla presidenza, hanno poi ottenuto che questi abolissero tutte quelle leggi che permettevano al governo di mettere un limite al prezzo dei medicamenti. Negli Stati Uniti le industrie farmaceutiche sono quindi libere di fissare il prezzo che vogliono. Anche Obama, nonostante alcune velleità, non era riuscito a cambiare questa situazione, non da ultimo perché i monopoli farmaceutici hanno un controllo importante del parlamento.

 

Basti pensare, come avevo già detto nell’articolo di tre anni fa e in base a cifre ufficiali, che Roche e Novartis hanno investito negli ultimi 5 anni 100 milioni di dollari per attività di lobbying del parlamento americano. Il prezzo fissato oltre Atlantico diventa poi quello di riferimento per tutto il mondo, anche perché, e qui mi rifaccio all’esempio dei farmaci anti-tumorali, il mercato statunitense rappresenta il 60% delle vendite, cosicché per le ditte farmaceutiche risulta poi molto semplice obbligare tutti gli altri paesi del mondo ad accettare come prezzo di riferimento quello statunitense, pena il rifiuto di vendere il farmaco nel paese X o Y.

 

Vale la pena ricordare che diversi studi, a cui faccio riferimento nel mio articolo già citato nella rivista Widerspruch, hanno dimostrato come la giustificazione avanzata dai monopoli farmaceutici per spiegare l’esplosione dei prezzi, e cioè che questa sarebbe dovuta agli investimenti necessari per la ricerca, è più di una mezza bugia. Spesso viene avanzata la cifra di 2 miliardi quale investimento necessario per sviluppare e portare sul mercato un farmaco. Studi indipendenti parlano invece di cifre molto inferiori, spesso nell’ordine di 400-600 milioni. Ci sono poi tutta una serie di farmaci per i quali è stato dimostrato che l’investimento è stato molto ridotto e nonostante ciò attualmente vengono richiesti prezzi tra i 2’000 ed i 3’000 CHF. Molto lunga è anche la lista dei vecchi farmaci, che costavano solo ormai una bazzecola, ma che improvvisamente essendo diventati (grazie a diverse strategie di mercato) proprietà di una sola ditta, hanno avuto un aumento del loro costo talora sino al 1’000%! È per questo che, come ha sottolineato più volte il premio Nobel per l’economia Stiglitz, il sistema non solo è ormai totalmente immorale, ma se continua su questa strada non potrà che implodere.

 

Che cosa fare?

 

Lo stesso Stiglitz ha quindi proposto dei modelli alternativi, che si basano sull’abolizione dei brevetti (che stanno alla base del sistema dei guadagni borsistici) e che dovrebbero essere sostituiti dalla possibilità di compensare le scoperte delle industrie farmaceutiche, mentre contemporaneamente dovrebbe aumentare di molto il ruolo dello stato (che è stato praticamente eliminato dalle politiche neoliberali) nel gestire e finanziare una parte degli studi, in base ai quali si deve poi dimostrare l’efficacia o meno del nuovo farmaco. E qui interviene direttamente il nostro paese, in quanto le regole molto strette del predominio assoluto del principio dei brevetti sono state dettate alcuni anni fa nei cosiddetti accordi di Doha, soprattutto dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Svizzera.

 

Ma naturalmente anche da noi le lobbies farmaceutiche hanno un’influenza decisiva sul parlamento, nel quale sono diventate probabilmente il gruppo di potere più potente. Alcuni anni fa, durante la revisione della legge sui farmaci, avevo proposto che un nuovo farmaco potesse essere accettato solo se si dimostrava migliore del precedente o se era meno caro, nel caso fosse soltanto equivalente. È evidente che fui fucilato senza pietà dalla maggioranza parlamentare influenzata a dovere dai lobbysti dei monopoli farmaceutici.

 

Cos’altro fare?

 

Naturalmente a essere soprattutto vittima di questo sistema, che definire immorale è ancora essere gentili, sono dapprima i paesi poveri, nei quali la spesa sanitaria si aggira sui 50-100 franchi all’anno per persona. È quindi da lì che sta venendo una rivolta contro questo sistema, in quanto centinaia di migliaia, se non milioni di pazienti ogni anno muoiono o vengono perlomeno trattati male, perché non hanno accesso ai farmaci veramente efficaci. Ma anche da noi l’opinione pubblica è sempre più inferocita contro gli esorbitanti prezzi dei farmaci, che sono una delle ragioni principali per l’esplosione dei premi di cassa malati. C’è quindi da sperare che questa rivolta cresca e possa imporsi globalmente, in modo da arrivare all’abolizione delle regole disumane che sono oggi alla base del mercato farmaceutico.

 

Da parte nostra è giunto il momento di ritornare a discutere della nazionalizzazione dei nostri monopoli farmaceutici: difatti nel sondaggio elettronico lanciato dal ForumAlternativo, questa era una delle 21 domande poste.

 

 

Quaderno13 / dicembre 2017