Officine: se questa è democrazia...

Lo sciopero delle Officine del 2008, il più importante in Svizzera dopo quello generale di 100 anni fa, ha rappresentato sicuramente, e non solo per il Ticino, un avvenimento di portata storica. Se nel 1918 la borghesia svizzera fece intervenire l’esercito contro gli

scioperanti, 10 anni fa si arrivò a un passo dall’occupazione, e quindi dal blocco della linea ferroviaria del Gottardo, ciò che avrebbe sicuramente portato a un massiccio intervento delle forze di sicurezza (e forse anche dell’esercito).


Fu questa eventualità, tutt’altro che peregrina, che convinse finalmente il Consigliere Federale Leuenberger a uscire dal suo letargo e a prendere l’iniziativa, che portò poi alla fine dello sciopero e alla creazione della Piattaforma di concertazione diretta da Franz Steinegger.

 

Da allora non si contano le numerosissime riunioni avvenute ai vari livelli, compreso quello della Piattaforma, per discutere del futuro delle Officine, mentre quasi altrettanto numerose sono state le promesse delle FFS, prontamente poi disattese nella pratica o modificate a piacimento nei mesi seguenti. Divenne presto chiaro che la straordinaria vittoria degli operai delle Officine rappresentasse qualcosa di inaccettabile per le FFS e il potere borghese e che al momento opportuno sarebbe arrivata la rivincita, non da ultimo per rimettere secondo loro «la chiesa al centro del villaggio», cioè dimostrare a tutti chi comanda in Svizzera. E ora ci siamo.

 

Il protocollo di intenti, sbandierato ultimamente con la grancassa, e sottoscritto sia dal Cantone che dalla Città di Bellinzona, dichiara carta straccia gli accordi precedenti e impone il trasferimento delle Officine probabilmente ad Arbedo-Castione, con la riduzione a metà dell’effettivo del personale. Due pericolose insidie si nascondono dietro questa proposta ricattatoria delle FFS («se non l’accettate, andremo in un altro cantone»). Nel lasso di tempo che la nuova officina dovrebbe veder la luce, il volume di lavoro alle attuali officine calerà progressivamente in barba agli accordi precedenti sottoscritti da FFS (come già avvenuto), lasciandole morire lentamente? In secondo luogo, il dimezzamento dei 400 posti di lavoro attuali «fino a un massimo di 200 impieghi» previsti nel protocollo d’intenti non è affatto un’opportunità da non perdere come si vuol far credere. Le autorità comunali e cantonali non possono e non devono cadere in questo ennesimo tranello posto dai vertici delle FFS, anche perché i mezzi per imporre soluzioni realmente opportune esistono.

 

Il comitato delle Officine è stato convocato all’ultimo momento, in fondo solo per dire sì o no a questa proposta. Cantone e Città investiranno perlomeno 120 milioni, in parte per un progetto molto fumoso di un polo industriale sul sedime delle attuali Officine, progetto alla cui realizzazione per il momento ben pochi credono. I più pensano che alla fine sarà la speculazione edilizia a prevalere: sull’esempio di quanto fatto dalle FFS, nel peggior stile speculativo, nei dintorni della stazione di Zurigo. E dell’iniziativa popolare, sostenuta da un altissimo numero di firme, che chiede la creazione di un centro di competenza con al centro le Officine, a Palazzo Governativo più nessuno ne parla. E sì che se già si mettono sul tavolo tanti milioni, si sarebbe perlomeno potuto pretendere che sviluppando questo centro di competenze, l’occupazione rimanesse perlomeno ai livelli attuali. E questo in compenso al trasferimento dell’ubicazione.

 

Ma a condurre le danze si sono lasciate unicamente le FFS, con il conseguente pericolo di rimanere alla fine con un pugno di mosche, dopo aver buttato al vento 120 milioni.

 

Come chiesto anche all’ex-municipale di Bellinzona F. Zanetti, è ora che su tutto ciò si riapra la discussione pubblica. È il minimo che si può pretendere, per evitare di prendere totalmente per i fondelli il concetto stesso di democrazia.

 

 

Quaderno 14 / febbraio 2018