Lottare per i diritti: scioperare conviene!

di RedQ

 

 

 

 

In Svizzera ci sono più conflitti sul posto di lavoro di quanto l’ideologia dominante voglia ammettere. Alla fine degli anni ’90 assistiamo a una ripresa di queste lotte. La sola UNIA ha sostenuto tra il 2000 e il 2016 ben 112 lotte sul posto di lavoro. Il libro «Scioperi nel 21° secolo» descrive in modo esemplare una ventina di queste lotte, dallo sciopero alla Zeba di Basilea a diversi conflitti nel settore dell’edilizia, alle lotte a Swissmetal e a Novartis fino ai conflitti in Ticino, alle Officine e all’Exten. Nel libro viene in particolare discussa la dinamica di queste lotte sul posto di lavoro e definite le loro caratteristiche specifiche.

Secondo il mito elvetico della pace del lavoro, che è stato costruito nel 1937, in Svizzera non dovrebbero mai esserci scioperi. Bisogna dire che fino al 1950 la Svizzera è stata un paese del tutto normale per quanto riguarda la frequenza degli scioperi. Ma in seguito il mito è diventato realtà e per un lungo periodo non ci furono quasi più conflitti sul posto di lavoro. Durante la crisi degli anni ’70 ci furono diversi scioperi contro licenziamenti e ristrutturazioni (Dubied, Matisa, Monteforno ecc.), mentre negli anni ’80 rappresentarono una grande eccezione.

Tutto ciò è poi cambiato con l’offensiva neoliberale dei padroni a partire dalla crisi degli anni ’90. A partire da quel momento i sindacati non sono praticamente più riusciti a ottenere niente al tavolo delle trattative. Al contrario, erano piuttosto i padroni, che ora si presentavano con richieste ultimative sulla diminuzione dei costi del lavoro e per ogni tipo di deregolazione. I sindacati non erano più abituati a queste situazioni e all’inizio sono stati incapaci di reagire, anche perché oramai la tradizione degli scioperi era stata quasi dimenticata. Molti lavoratori erano ormai addirittura convinti che in Svizzera fosse proibito scioperare. Una nuova generazione di sindacalisti ha dovuto quindi ri-apprendere assieme alle maestranze come si può condurre un conflitto sul posto di lavoro. Si sono dunque sviluppate diverse forme di azione, talvolta di bassa intensità, limitandosi a delle riunioni di protesta dei lavoratori o a dimostrazioni. Dall’anno 2000 la sola UNIA è stata coinvolta in 126 azioni di questo genere, in 63 scioperi dimostrativi e 112 veri scioperi (di cui 24 in Ticino). Tutto ciò capita ormai non solo nell’industria e nell’edilizia, ma sempre di più anche nel settore dei servizi. Di conseguenza aumenta anche la percentuale delle donne coinvolte in questi conflitti.

 

L’esperienza sin qui condotta insegna che vale la pena di scioperare: almeno il 40% degli scioperi hanno raggiunto completamente o in gran parte i loro scopi, nel caso della metà il successo è stato almeno parziale. Solo invece circa il 10% dei conflitti è terminato con una chiara sconfitta. Quest’esperienza fa sì che il successo in un’industria dà coraggio anche alle maestranze di altre industrie. Questo è stato particolarmente vero nel caso dello sciopero negli stabilimenti Novartis di Nyon come pure per lo sciopero delle Officine a Bellinzona, che è servito da esempio per molte maestranze in Ticino. Un dato fondamentale molto importante di questi conflitti sul posto di lavoro è la costatazione, nella maggior parte dei casi, che queste azioni hanno potuto godere di un gran sostegno nella popolazione. Questa simpatia obbliga poi le istanze politiche a intervenire in modo conciliativo, ciò che è capitato spesso soprattutto in Ticino e in Romandia.

 

Tutto ciò fa sì che oggi scioperare in Svizzera non è oramai più un tabù. I padroni continuano nonostante ciò a sottolineare il mito della pace del lavoro. Secondo loro questi scioperi contraddicono la tradizione e la collaborazione sociale o addirittura, come è stato il caso del Consigliere di Stato Gobbi, si arriva a dire che scioperare è «anti-svizzero». Fatto è che oggi molte maestranze, quando non vedono più altra soluzione, spontaneamente pensano di sospendere il lavoro. E questo non solo nell’industria e nell’edilizia, ma anche tra i ricercatori (Merck Serono), tra gli impiegati delle assicurazioni (Generali), tra le badanti (Primula), i taxisti (Ueber) o i «pirati ticinesi» (Navigazione).

 

Quest’anno si parlerà molto dell’importanza degli scioperi a seguito dell’anniversario dei 100 anni dello sciopero generale del 1918. Non si potrà allora non sottolineare l’enorme importanza di questo sciopero per il progresso sociale della Svizzera. Ma gli scioperi non hanno avuto successo solo all’inizio del 20° secolo. Gli scioperi sono nuovamente attuali anche nel 21° secolo, come si dimostra non solo in Svizzera, ma sempre di più anche in molti altri paesi europei.

 

 

 

* «Scioperi nel 21º secolo», di Vania Alleva e Andreas Rieger, è stato pubblicato dal Rotpunktverlag di Zurigo nelle tre versioni: italiano, francese e tedesco. Al libro hanno collaborato diversi giornalisti storici, tra gli altri Nelly Valsangiacomo, Claudio Carrer, Francesco Bosaver, Anna Luisa Ferro Mäder. Il libro può essere comandato presso i segretariati di UNIA o all’indirizzo info@rotpunktverlag.ch

 

 

 

Quaderno 14 / febbraio 2018