Settore della moda in Ticino: un mix composto da evasione fiscale, utili miliardari e sfruttamento dei lavoratori

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Il settore ticinese della moda è tornato nell’occhio del ciclone nei giorni scorsi a seguito delle dichiarazioni del Ministro francese dell’economia che ha reso pubblica l’esistenza di un’inchiesta sul gruppo parigino Kering in relazione ad una presunta evasione fiscale di 2.5 miliardi di euro fra il 2002 ed il 2017.

Kering è proprietaria al 100% della Luxury Good International Sa (Lgi), l’azienda più importante del settore della moda presente nel nostro Cantone e con sede a Cadempino. Proprio quel settore moda che è considerato dal Consigliere di Stato Christian Vitta un settore stategico per il nostro tessuto economico, una sorta di fiore all’occhiello dalle grosse potenzialità, sul quale il nostro Cantone dovrebbe puntare con convinzione in futuro per garantire sviluppo e occupazione. Un’orientamento difeso anche da Marina Masoni, dal 2015 presidente di Ticino Moda , ma in passato già Consigliera di Stato esponente di spicco della destra liberale che negli anni 90 avviò le controriforme liberiste nel nostro Cantone che oggi sono fatte proprie da Vitta, che a giusto titolo può essere considerato il suo erede naturale. Non solo perchè siede alla testa del Dfe ma perchè difende orientamenti e contenuti della politica promossa da Masoni una ventina di anni or sono a cominciare proprio dalla politica degli sgravi fiscali a favore delle grandi aziende e dei milionari.

 

Quegli stessi sgravi che hanno favorito l’insediamento in Ticino di decine di marchi dell’industria dell’abbigliamento come appunto la Lgi che nel 2012 e nel 2013 ha registrato un utile annuale superiore al miliardo di franchi!

 

Un settore quello della moda che ha attratto molte aziende che in realtà in Ticino non producono vestiti ma semplicemente insediano i loro depositi logistici e che ciclicamente sono investite da scandali di varia natura come è il caso in questi giorni per l’inchiesta che coinvolge il gruppo Kering.

 

Già negli scorsi anni vennero smascherati altri gravi abusi , come ad esempio lo scandalo che coinvolse il Gruppo Gucci finito nel mirino del Sindacato Unia a seguito di gravissimi abusi perpetrati ai danni dei propri dipendenti che venivano chiamati al lavoro tramite sms, o che attraverso degli sms dovevano immediatamente interrompere le proprie vacanze per raggiungere l’indomani lo stabilimento di S.Antonino; salari da fame, abusi contrattuali e mancato rispetto della legge federale sul lavoro completamente sacrificata sull’altare di una sfrenata flessibilizzazione delle forme di impiego.

 

Un settore nel quale vigono non solo condizioni di impiego ottocentesche, ma anche contraddistinto da un’evidente sproporzione, favorite da transazioni tra società dello stesso Gruppo, tra gli utili miliardari registrati e un gettito fiscale assai contenuto a favore delle casse cantonali.

 

Le vicende assurte alla cronaca in questi giorni dovrebbero indurre il Governo ad una seria riflessione e ad un cambio di paradigma. Perchè è oramai sempre più evidente che non possiamo costruire il futuro economico di questo Cantone attorno a realtà aziendali come quelle della moda che non hanno alcun legame con il territorio e il suo tessuto, che eludono il fisco, che precludono l’occupazione ai residenti, che mettono in concorrenza lavoratori con statuti diversi, che depredano ambiente e territorio e che mirano esclusivamente alla massimizzazione dei profitti dei loro azionisti.

 

Un’economia sana non può essere ostaggio di queste realtà che risultano tra le principali fruitrici della riforma fiscale varata dal Governo e dei prossimi ulteriori pacchetti di sgravi fiscali che il Consiglio di Stato è intenzionato a presentare nei prossimi mesi.

 

Un motivo in più per respingere in modo chiaro il prossimo 29 aprile la riforma fiscale voluta dal Governo cantonale.