Truppe turche e jihadisti entrano ad Afrin. YPG ammette: costretti a ripiegare per mettere in salvo i civili

di Red

 

 

Alla fine la battaglia per la città di Afrin non c'è stata, circondati dai jet e dall'artiglieria di Ankara, i combattenti curdi hanno deciso di evacuare i civili ed evitare un sicuro massacro.

Le truppe di occupazione sono entrate e ora le bandiere turche sventolano ovunque e per prima cosa hanno abbattuto la statua del fabbro Kawa, l’eroe mitologico dei curdi, l’umile che lotta contro il tiranno, mentre le bande nere alleate di Erdogan iniziano la “pulizia etnica” fra i civili rimasti.

 

Queste le dichiarazioni di Othman Sheikh Issa, funzionario delle milizie curde dell’Unità di protezione dei popoli (Ypg) della città di Afrin: “Il nostro popolo negli ultimi 58 giorni ha mostrato una tenace resistenza contro il secondo esercito più potente della Nato (che se volesse potrebbe sconfiggere qualsiasi stato europeo). Abbiamo lavorato duramente per aiutare a trasferire i civili dalla città di Afrin ed evitare una catastrofe umanitaria. Da ora in poi utilizzeremo una nuova tattica. La turchia non ha vinto. Questa è la nostra terra, le nostre forze sono dappertutto ad Afrin e diventeranno il loro incubo. La resistenza continuerà finché non avremo liberato ogni area e il popolo sarà tornato nelle loro case. La resistenza è la nostra unica strada”.

 

Anche se Erdogan insiste che la guerra «non è contro i curdi ma soltanto contro lo Ypg» è chiaro che al momento non c’è più posto per i curdi ad Afrin. Dei circa 300 mila che popolavano la città all’inizio della battaglia almeno 250 mila sono fuggiti, la maggior parte verso i territori governativi, soprattutto ad Aleppo. Ankara progetta di trasferire nel cantone 170 mila rifugiati siriani, ma di etnia araba.

 

Erdogan insiste anche, e lo ha fatto di nuovo sabato da Dyarbakir nel Kurdistan turco, che le operazioni dell’esercito turco in Siria non si fermeranno ad Afrin. Nel mirino del sultano ci sono Manbij, Kobane e tutto il Rojava.