Non perpetuiamo gli errori del passato

di Ivo Durisch Patito Socialista

 

La Svizzera storicamente è un paese capace di generare ricchezza e benessere. Questo è dovuto innanzitutto a una società civile che si assume le sue responsabilità. Una società civile che sa trovare coesione e unità nelle sue Istituzioni pubbliche, nello Stato.

Uno Stato a cui compete il ruolo di sostenere il coordinamento dell’azione dei singoli, di promuovere le condizioni quadro atte a favorirne lo sviluppo delle capacità e attività. Condizioni quadro quali l’educazione e la formazione, le infrastrutture, un territorio ordinato, degli incentivi economici mirati, un’amministrazione funzionante, la coesione sociale, la stabilità politica e la sicurezza.

 

Per dare seguito a queste premesse favorevoli a una sana e solida struttura economica è importante che lo Stato abbia le risorse necessarie. Ognuno, e in particolare chi beneficia di queste condizioni quadro, deve dare il suo contributo. D’altra parte l’Autorità politica deve impegnarsi a prelevare le risorse in modo equo e inoltre non deve sprecarle facendo inutili regali fiscali. Nella sua evoluzione socioeconomica il Ticino non è sempre stato un Cantone esemplare. Spesso, per sostenere la sua crescita economica, ha privilegiato i vantaggi di posizione a scapito dello sviluppo delle sue specifiche capacità. Basti pensare al settore bancario che ha vissuto sulla rendita di posizione del segreto bancario, al settore del lusso e allo sfruttamento della mano d’opera estera a basso costo per attività a basso valore aggiunto, con conseguente spreco di territorio pregiato. Lo aveva riconosciuto lo stesso Consiglio di Stato chiedendosi, nelle linee direttive, se il Cantone avrebbe avuto la volontà e la forza per riorientare il suo sviluppo economico.

 

La questione in questi giorni è diventata di stretta attualità con il caso Gucci. Le nuove regole internazionali impongono all’economia svizzera altri comportamenti. La possibilità di beneficiare di vantaggi di posizione si assottigliano.

 

L’Autorità politica ticinese con la recente riforma fiscale ripropone invece una vecchia ricetta che ha già fallito negli anni ’90 in Inghilterra e negli Stati Uniti, poi ripresa nel nostro Cantone nei primi anni 2000 con i risultati ben conosciuti: un Cantone più povero, un aumento delle diseguaglianze sociali, l’incremento delle persone emarginate, delle finanze pubbliche cronicamente in difficoltà per più di dieci anni.

 

Ancora una volta Governo e parlamento non dimostrano la volontà di uscire dalle carreggiate dei vizi del suo passato. Si persevera nel premiare un’economia a rimorchio, senza solide radici nel territorio, poco responsabile e pronta a voltare le spalle alla prima occasione che inesorabilmente arriverà, nonostante i nostri goffi tentativi di seduzione.

 

Certo, ne siamo consapevoli, l’altra strada, quella del riorientamento della nostra economia, esige impegno e attenzione. In particolare per avviarla ci vuole molta pazienza, la pazienza che hanno i ragazzi, animata dalla passione. L’inizio di una nuova attività non è facile, ma in seguito arrivano le soddisfazioni.

 

Un riorientamento che promuova progetti e investimenti importanti e robusti, che generi più ricchezza e minori costi, che permetta di essere attenti anche al benessere delle persone più deboli.

 

Una necessità evidenziata recentemente anche da Angel Gurria, il Direttore dell’OCSE: “i paesi dovrebbero attuare riforme in grado di mobilitare il settore privato al servizio della produttività, dell’innalzamento dei salari e di una crescita più inclusiva.”

 

Per questi motivi è importante votare No alla riforma fiscale il prossimo 29 aprile.