di Damiano Bardelli
È di 16 morti e oltre 750 feriti (di cui 20 in condizioni critiche) il bilancio attuale dell’aggressione dell’esercito israeliano contro la manifestazione di ieri al confine tra la Striscia di Gaza e Israele.
Dati impressionanti, quelli forniti dall’ONU, che confermano la brutalità del regime di occupazione israeliano.
Erano oltre 30'000 i Palestinesi che hanno sfilato alla Marcia della terra di ieri. C’erano tutti: anziani, famiglie con i loro bambini, e i moltissimi adolescenti cresciuti senza conoscere i loro genitori, rimasti orfani a causa delle aggressioni militari israeliane che si sono abbattute su Gaza dal 2008. Tutti uniti per rivendicare il loro diritto di tornare nelle terre occupate da Israele e denunciare il blocco imposto alla Striscia da oltre dieci anni. Per ribadire il loro diritto di uscire dalla prigione a cielo aperto in cui sono stati rinchiusi, tagliati fuori dal resto del mondo dal regime di apartheid israeliano.
Una sfilata pacifica quella di ieri, ma dalla valenza politica importante. Si tratta infatti della prima tappa di una serie di proteste indette a Gaza, che culminerà con la Marcia del ritorno del prossimo 15 maggio, anniversario della proclamazione dello Stato d’Israele. In quella data di 70 anni fa cominciò la Nakba (“catastrofe”), termine con cui viene ricordata l’espulsione di oltre 700'000 Palestinesi dalle loro terre, alle quali è tutt’oggi negato loro l’accesso.
È quindi facile capire perché le autorità israeliane abbiano mobilitato oltre un centinaio di cecchini e abbiano ordinato al proprio esercito di sparare con proiettili veri sulla folla. Temendo un’ampia adesione popolare alle manifestazioni del prossimo mese e mezzo, hanno preferito soffocare nel sangue la sfilata pacifica di ieri.
Le immagini della marcia parlano da sé: uomini, donne e bambini disarmati sfilano su una terra di nessuno, brulla e spoglia, sorvolati dai droni dell’esercito israeliano, mentre dall’altra parte del reticolato che separa il confine tra la Striscia e Israele si accumulano i blindati e i soldati con i loro fucili d’assalto. I cecchini, intanto, sono ben appostati sulle collinette artificiali adiacenti. Parte dei manifestanti rispondono al fuoco lanciando sassi e spingendo copertoni in fiamme verso il filo spinato del confine, nella speranza che il fumo possa coprire la visuale ai cecchini e mettere fine al massacro.
Come restare indifferenti di fronte a eventi come questi, che ci ricordano che l’occupazione coloniale della Palestina da parte di Israele costituisce un crimine contro l’umanità e una vergogna?