di Ivan Miozzari
Sappiamo che la democrazia è simile ad un cantiere infinito. C’è sempre d’aggiungere, da migliorare e spesso da disfare ciò che non è venuto come si era voluto. Però un cantiere è sotto il nostro sguardo quotidiano, ne vediamo e sentiamo tutti i segni più palesi, come le gru in qualche modo inserite nel paesaggio, il traffico dei camion e la polvere, i muri di rete con relativi divieti, e tanti rumori e disagi nella mobilità.
Anche se ci abituassimo alla vista saremmo comunque consapevoli della sua presenza e magari del suo avanzamento.
Quanto siamo consapevoli invece della democrazia che ci caratterizza? Quanti segnali possiamo cogliere rispetto ai suoi mutamenti siano essi avanzamenti o arretramenti? Si potrebbe percepire qualcosa se con la dovuta attenzione si seguisse l’azione politica in modo assiduo e dettagliato. Ma la maggior parte delle persone ha tempo, energia e competenze per sorvegliare l’azione del Governo e dei propri rappresentanti nel Legislativo?
Sentiamo notizie di presunti e accertati mancato rispetto della Legge in alcune decisioni dell’Esecutivo e dell apparato amministrativo ad esso collegato. Del Gran Consiglio che decreta Leggi incompatibili col Diritto superiore o con trattati sottoscritti dalla Confederazione; di fatto quindi illegali. Come più volte ha dovuto sancire il Tribunale federale.
Certo, in un Paese come il nostro, l’informazione circola libera e quindi almeno gli scandali più popolari sono visibili come gru che rovinano l’orizzonte. Vi è che, solitamente, escono presto dallo sguardo. E quando restassero più a lungo, le reazioni più comuni sarebbero disapprovazione, fatalismo e poi noia.
Dov’è finita l’indignazione? C’è tanta rabbia in giro, se la rappresentazione che fanno di sé le persone che tanto liberamente si esprimono nel web corrisponde alla realtà. La disapprovazione finisce col cedere il passo al risentimento o al distacco. E di passo in passo il popolo sovrano rinuncia alla corona e si allontana da Palazzo. La democrazia si ammala.
Per esempio ci può sfuggire tra le altre cose che il Parlamento, in stretta collaborazione con il Governo, approvi un rapporto che lega a doppio filo il destino di una serie di misure a carattere sociale a quello di un pacchetto di leggi tributarie. Abbiamo capito tutti che non si possono votare insieme due oggetti che non hanno unità di materia, cioè che nulla centrano uno con l’altro. È illegale. L’hanno finalmente capito anche il Governo e il Parlamento. Ecco dunque che bisogna essere creativi se si vuole blindare l’intesa su due pacchetti di legge che perseguono fini diversi. Ce lo spiega il Consigliere di Stato Vitta invitando a leggere il Rapporto della Commissione speciale tributaria sul messaggio 15 settembre 2017 concernente la Riforma cantonale fiscale e sociale. Esplicito il contenuto a pagina 27, Correlazione tra riforma sociale e riforma fiscale: […] Per evitare che la riforma proposta entri in vigore solo parzialmente, cosa non auspicata dalla maggioranza della Commissione tributaria, proponiamo di delegare al Consiglio di Stato il compito di fissare l’entrata in vigore delle norme qui proposte a dipendenza dell’esito della votazione parlamentare sull’intera riforma. Questa scelta è condivisa dal Governo che – tra l’altro - rispondendo ad una domanda della Commissione tributaria sulla correttezza legislativa di vincolare tra di loro i decreti della LT e delle leggi sociali si era così espresso: “Per evitare qualsiasi rischio giuridico, dal profilo legislativo le clausole di entrata in vigore potrebbero essere formulate nel modo usuale, con la delega al Consiglio di Stato di fissare l'entrata in vigore in modo indipendente di ciascuna modificazione di legge. Anche in tale ipotesi, il Consiglio di Stato ritiene di poter porre in vigore il pacchetto in modo integrale. Qualora ciò non sarà possibile, perché una sua parte cadrà, il Consiglio di Stato potrà tenere in sospeso l'altra parte per un certo periodo, riportandola poi eventualmente davanti al Parlamento per l'abrogazione non essendo più dati i presupposti per una sua approvazione”.
Per questa ragione, come già suesposto, proponiamo di delegare al Consiglio di Stato il compito di fissare l’entrata in vigore delle modifiche di legge proposte. […] In base a questo patto politico se una delle due componenti dovesse venire a mancare anche l’altra non dovrà essere messa in vigore. Vitta lo ribadisce per chiarezza:
<<[…] la prima proposta era la clausola ghigliottina, che era un automatismo. Proprio per rispondere alle critiche dal profilo legale si è trovata questa formulazione.>> E ancora: <> Giusto per riassumere: legare in votazione i due oggetti è illegale, lo sanno tutti e allora non si può; ci si accorda per legarli nel Rapporto in modo che se i cittadini dovessero respingere un oggetto, l’altro non verrà mai reso esecutivo e verrà riportato al parlamento per l’abrogazione, avendo cura di tenerlo nei cassetti del governo fino a dopo le elezioni.
Chi mai vuole vantare in campagna elettorale l’affossamento di misure sociali? Soprattutto dopo che sono state reclamizzate come indispensabili, attese e dovute alle famiglie. Oltre che definite storiche per il patto sociale con l’economia, a costo zero e attuabili immediatamente. Verrebbero a chiederci la rielezione dopo averle abrogate. E noi cosa faremmo?
La strategia non è complicata. Il Popolo non ha facoltà di votare un Rapporto. A meno di far cadere col Referendum i decreti legge ad esso associati e bell’e impacchettati. Se i cittadini volessero dissentire su questa neppure tanto sofisticata ghigliottina avrebbero solo la possibilità di far cadere tutta la costruzione.
Ci siamo abituati nelle ultime Legislature a vedere un lato delle nostre Istituzioni e dei nostri rappresentanti politici che tanto ci ricorda quella ditta cui hai fatto costruire una parte della tua casa. Questi sedicenti professionisti ti fanno il muro, consapevoli o no del fatto che non sono competenti. Qualcosa tirano su, e non resta che aspettare: se non cade sta su. Ora però è come se la ditta non si limita a edificare ma scava anche parecchie buche. E ti dice che se vuoi la casa devi accettare anche le buche. Non hai scelta. Vi sembra legale?
Noi li abbiamo eletti per rappresentarci ma non gli abbiamo dato delega di decidere al di sopra dei cittadini. Quello della Costituzione non è solamente un dettame che ogni Legge, Legislatore, Governo, Giustizia e Popolo deve rispettare. Ancor prima è il riconoscimento di un valore legante, che si manifesta nelle fondamenta del vivere pacifico e proficuo. Ciò che in primo luogo i nostri eletti sono tenuti a proteggere.
Ha ragione Vitta quando dice che la politica deve avere uno spazio di manovra. Non è in fondo fatta di questo la democrazia? Il confronto, il dibattito, lo schierarsi su posizioni avverse o trovare il compromesso. Il compromesso è frutto del dialogo. Ed è anche un momento di fiducia tra le forze politiche. Io sostengo il tuo e tu voti il mio. Consapevoli tutti che le nostre regole danno al Popolo la decisione finale. Accettazione o Referendum.
Un gruppo ristretto di persone ha fatto un patto in quel delle Orsoline. Che le loro ragioni siano più giuste di quelle che potrebbe avere il Popolo o che non lo siano non è esattamente il punto. Sempre Vitta ci rende attenti sul valore del Rapporto commissionale: viene votato dal Plenum contestualmente alle modifiche di legge. Dunque vale quanto il Decreto di legge. Si è quindi trovata la formula legale per attuare questa strategia? Forse no.
Perché secondo la Costituzione, il Gran Consiglio è tenuto far rispettare l’unità di materia, garantire la libertà di voto senza pressioni e condizionamenti ed informare in modo oggettivo.
Bene quindi che sia stato contestato l’opuscolo informativo del materiale di voto. Perché spaccia per legittima una pratica che legittima non è. Sarebbe bene che qualcuno si facesse carico di un ricorso sulla procedura adottata da Rapporto, perché una corte sancisca chiaramente se sia stato violato il senso della Costituzione. Ognuno dovrebbe sentire la responsabilità di garantire il rispetto dei propri valori riassunti nel testo costituzionale. È ora di rivalutare l’indignazione, quella che ci spinge a una reazione.
Dunque prendiamo in mano un mattone, non per lanciarlo nel vuoto sostanziale del social, ma per posarlo, uno su l’altro e costruire la democrazia dei cittadini. Altrimenti un giorno, in luogo della casa che auspichiamo, troveremo un sinistro cimitero.