Sergio Rossi: continueremo a sostenere tesi fallimentari?

 

Intervista di TicinoToday

 

 

Un bilancio, a 20 anni di distanza, delle trasformazioni a cui sono andate incontro le ex PTT, ma anche delle finanze elvetiche più in generale.

Sergio Rossi, a vent'anni dalla liberalizzazione delle ex PTT, qual è il bilancio di questo processo?

È un bilancio negativo, non solo in termini contabili. È negativo anche in termini di gestione aziendale e di ricadute sull'economia nazionale e sul territorio, in quanto è venuto meno l'apporto dello Stato (in questo caso dell'ente pubblico postale) alla coesione nazionale e sociale, come pure alla crescita economica. Si sono liberalizzate alcune attività molto redditizie, mentre si è ridotta la qualità del servizio postale alla cittadinanza, e al contempo si sono messi sotto pressione molti lavoratori de La Posta, che rappresentava un freno alla continua caduta dei salari per le persone con una formazione media o medio-bassa.

 

Per quanto riguarda i consumatori c'è stato un calo dei prezzi?

C'è stato un calo dei prezzi del servizio postale, ma ci sarebbe stato comunque grazie al progresso tecnico. Non è dunque la privatizzazione del servizio postale che ha permesso a La Posta o ai fornitori privati di questi servizi di ridurre i prezzi. A fronte del calo dei prezzi poi si può anche constatare un calo della qualità del servizio postale. Quanto sta avvenendo nelle zone periferiche è particolarmente negativo perché allontana le persone, anche in termini affettivi, dal servizio pubblico, e dunque dallo Stato, che viene poi visto in termini negativi. Ciò dà l'illusione che il settore privato possa risolvere tutti problemi socio-economici. Ma non è così.

 

Per le finanze federali quali sono state le ricadute?

La Confederazione ha potuto in un primo tempo avere delle entrate vendendo dei settori delle PTT, incamerando i capitali dei privati. Sul piano della contabilità annuale però credo che la Confederazione abbia avuto delle difficoltà, dato che ha ceduto a terzi delle attività redditizie, che prima sovvenzionavano quelle in perdita o comunque meno redditizie. Invece queste ultime sono state mantenute nelle mani dello Stato. I conti dunque sarebbero stati molto migliori se avessimo avuto ancora un servizio postale universale nelle mani de La Posta.

 

Lo scorso mese sono stati presentati i conti della Confederazione, che presentano un'eccedenza di 2,8 miliardi. Soprattuto in Svizzera Interna si è aperto un dibattito intorno al fatto che questa eccedenza sia frutto di una politica troppo poco orientata agli investimenti. È così?

Quando lo Stato ha delle eccedenza alla fine dell'anno può investirle per sviluppare il settore pubblico laddove vi è la necessità, ridurre il debito accumulato in eccedenza (ciò non è il caso della Svizzera, dato che non abbiamo un grande debito pubblico sul piano nazionale) oppure ridurre le imposte per rilanciare le attività economiche. Fra le tre opzioni direi che si debba aumentare la spesa di investimento pubblico, ad esempio nei campi della formazione, della cura delle persone anziane o bisognose, delle strutture sanitarie, ma anche nel campo dei trasporti e dell'economia verde, ad esempio con la ristrutturazione degli immobili secondo i criteri Minergie o nelle energie rinnovabili. Vi è una serie di settori in cui lo Stato potrebbe investire maggiormente, a maggior ragione in quanto abbiamo delle eccedenze sul piano federale. Bisogna però anche pensare a chi lavora alle dipendenze della Confederazione. Molti stipendi dei dipendenti pubblici sono rimasti fermi in questi ultimi anni, se non addirittura calati in termini di potere d'acquisto. Aumentandoli si andrebbe così a ricompensare in un certo senso chi nel settore pubblico federale ha contribuito a questa eccedenza.

 

Quanto di questa eccedenza è dovuta al fatto che la Confederazione ha "scaricato" sui Cantoni alcuni compiti?

È una strategia che la Confederazione porta avanti da diversi anni, andando a mettere sulle spalle dei Cantoni ciò che per la Confederazione rappresenta più un costo che un introito. Viceversa la Confederazione si è appropriata di competenze che prima erano cantonali perché vede una possibilità di aumentare le entrate. Questa ripartizione dei compiti fra Confederazione e Cantoni andrebbe in parte rivista. Però la tendenza è quella di accentrare i compiti, dato che i Cantoni non riescono a far fronte alle loro competenze con le entrate fiscali di cui dispongono. Molti Cantoni si sono sovra-indebitati e molti hanno ridotto la fiscalità al punto da essere in disavanzo, come ad esempio il Canton Zugo o il Canton Lucerna.

 

Nell'ultimo decennio questa tendenza a perseguire gli utili a scapito degli investimenti è stata sostenuta da tutte le forze politiche. Anche quando in Consiglio federale c'era una maggioranza più orientata a sinistra, con la presenza di Eveline Widmer-Schlumpf, non si è vista un'inversione. Vi sono possibilità di invertire questa tendenza o va considerata un elemento assodato della gestione delle finanze elvetiche?

Non è tanto il Consiglio federale che può far spostare la tendenza verso una maggiore spesa pubblica o una minore eccedenza, ma piuttosto il Parlamento, che si è spostato ancora più verso destra. Direi anche che questa tendenza era nel solco dei tempi. Quella di ridurre la spesa pubblica per far quadrare i conti dello Stato, senza aumentare l'imposizione fiscale per non far fuggire i contribuenti benestanti, è una traiettoria nata negli anni '70. Gli economisti hanno appoggiato questa tendenza facendo leva sul concetto di meno Stato e più mercato. La tesi era che lo Stato non è efficiente quanto il mercato. Penso che questa tendenza non possa essere invertita nell'arco dei prossimi quindici anni, se non quando si toccherà il fondo, con una crisi epocale dove non solo l'economia, ma anche la società imploderà. Allora forse si capirà che questa traiettoria è fallimentare. Oggi però non si vede un’alternativa credibile. Anche sul piano politico non si conoscono strade alternative, come poteva essere quella di Keynes, negli anni '30 del secolo scorso, che ha proposto una politica anticiclica. Questa è basata sul principio che lo Stato spende maggiormente di quanto incassa per sostenere l'economia quando questa va male, ricordandosi però che il debito accumulato va poi ripagato. Ciò è possibile farlo quando l'economia cresce, ma non se si riducono le aliquote fiscali. Molti politici hanno dimenticato questa lezione, pensando solo alla prima parte, aumentando la spesa pubblica quando l'economia andava male, soddisfando così determinati interessi, tralasciando però la seconda parte, perché si andrebbero a ledere degli interessi privati che si devono soddisfare per essere rieletti.

 

La Svizzera però ha un situazione debitoria migliore rispetto ad esempio agli Stati Uniti, che sono considerati la "patria" del neo-liberismo. Come mai?

La differenza fra la Svizzera e gli Stati Uniti è che vale ancora il principio di sussidiarietà: ovvero si tende a lasciare le competenze al livello politico e istituzionale laddove si pensa siano più efficaci ed efficienti. C'è anche una struttura Paese, che, essendo molto piccolo, vede un certo controllo tra il cittadino e il politico. Quest'ultimo sa che non può fare, come succede negli Stati Uniti, gli interessi solo di una piccola parte della popolazione, ma deve dare perlomeno l'impressione di occuparsi del territorio dal quale ha ricevuto i voti per essere eletto. Forse c'è anche una cultura che diversa da quella americana, di etica protestante, che pone un freno. Gli americani sono andati oltre ogni ragionevole limite nell'indebitamento statale. Lo Stato può e deve indebitarsi per realizzare delle infrastrutture, ma non può indebitarsi per pagare gli stipendi ai proprio funzionari. Se lo si fa il debito diventa eccessivo e non può essere ripagato. Se non facendo leva sulle entrate fiscali, che però vengono meno se si aumentano le aliquote di imposta oltre un certo punto.

 

 

 

 

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