Rinascita dei Laburisti nel Regno Unito

di Allan Popelard e Paul Vannier

 

Nel numero di questo mese, il Monde diplomatique propone un interessante approfondimento sulla rinascita del Partito laburista britannico guidato da Jeremy Corbyn. Per stimolare il dibattito politico nella sinistra ticinese, ne pubblichiamo una traduzione leggermente accorciata. Buona lettura! ndt

 

Dall’elezione di Jeremy Corbyn alla testa del Partito laburista britannico (Labour) nel settembre 2015, la sinistra britannica si è trasformata profondamente e vive oggi un momento positivo. Sebbene resti minoritario a Westminster, il Labour ha ottenuto un risultato storico alle elezioni legislative anticipate del giugno 2017: tre milioni e mezzo di voti e trenta seggi guadagnati. Un risultato ancor più spettacolare se si tiene conto che, nel resto d’Europa, i vecchi partiti della social-democrazia sono in crisi. In Francia, il Partito socialista ha perso circa 140'000 aderenti tra il 2007 e il 2016. In Germania, gli effettivi del Partito social-democratico (SPD) si sono abbassati di oltre 70'000 membri nello stesso periodo. Il Labour, invece, ne conta 570'000, cioè 300'000 in più che nel 2015. La sua egemonia sulla sinistra rimane indiscussa, a differenza di quanto avviene per esempio in Francia o in Spagna, dove nuove forze politiche come la France insoumise e Podemos partecipano a una profonda trasformazione del paesaggio politico. E, proponendo di rinazionalizzare le ferrovie e di rendere gratuito l’accesso alle università, il Labour rompe con il neoliberismo che continuano a difendere tutti gli altri membri dell’Internazionale socialista. Al di là del sistema elettorale britannico che favorisce il bipartitismo, come si può spiegare questa eccezione?

 

Il sostegno di Momentum

Il Labour ha una composizione sempre più eterogenea (sotto tutti i punti di vista: sociale, generazionale, politico) e gode di un notevole sostegno popolare. Al fianco di vecchi militanti, di una certa età, ritornati al Labour dopo averlo lasciato negli anni del New Labour di Tony Blair, ci sono numerosi giovani iscritti di recente: da sola, l’organizzazione dei giovani laburisti, il Young Labour, conta più membri che lo stesso Partito conservatore. Diplomati e membri della classe media, i numerosi nuovi membri sono raramente iscritti a un sindacato, ma tutti sostengono Corbyn.

 

Eppure, dopo le dimissioni di Ed Miliband nel maggio 2015, l’elezione di Corbyn alla testa del partito sembrava destinata ad avere conseguenze nefaste. I suoi avversari non mancavano di evocare il ricordo della sconfitta elettorale del 1983, quando la sinistra era alla testa del partito. All’epoca, i suoi detrattori avevano ribattezzato il suo programma come “la più lunga lettera di suicidio della storia”. Eletto alla testa del partito con il 59,5% dei voti, il deputato di Islington Nord (Londra), portando a proprio vantaggio il sistema di primarie aperte, è riuscito a cristallizzare attorno alla sua persona e alle sue idee un’ampia aspirazione popolare. Fermo oppositore dell’austerità e della guerra, i suoi sostenitori, entrati in forza nel Labour, hanno permesso di contenere la rivolta delle élite laburiste convertite al neoliberismo. Nel 2016, un nuovo voto l’ha confermato alla testa del partito con il 61,8% dei voti. Da allora, è costantemente sulla cresta dell’onda.

 

Tra i principali sostenitori di Corbyn, c’è Momentum. Fondato nell’ottobre 2015, questo movimento è stato creato per “rinforzare la posizione” del nuovo leader laburista, spiega Yannis Gourtsoyannis, membro del gruppo di coordinamento nazionale, la direzione dell’organizzazione. “Dalla sua elezione, è stato costantemente sotto attacco” da parte del “partito parlamentare”, cioè il gruppo parlamentare dei deputati laburisti, spesso vicini al New Labour. Con i suoi 36'000 membri [oltre 40'000 al momento della traduzione dell’articolo, ndt], Momentum vive una crescita continua. Diverse centinaia di persone aderiscono ogni settimana. Diversa dalle altre formazioni della sinistra per il suo peso e il suo attivismo, mobilita indipendentemente dalle consegne del partito grazie ai suoi strumenti originali: una piattaforma digitale e un’applicazione on-line. “Siamo in campagna permanente”, spiega Gourtsoyannis. Secondo questo giovane medico del settore pubblico, delle elezioni legislative “potrebbero essere convocate in ogni momento” e si tiene pronto. Il governo di Theresa May è in effetti indebolito dagli scandali di corruzione e dalle negoziazioni sulla Brexit.

 

Forte de suoi 170 gruppi locali, Momentum si concentra ormai sulla sua organizzazione. Vengono organizzate delle master class dedicate ai social network, a volte da parte dei quadri della squadra di Bernie Sanders. I suoi aderenti sono formati all’organizzazione di riunioni pubbliche o di azioni porta a porta. Ben diverse dei canonici congressi di partito, le conferenze nazionali di Momentum privilegiano la pratica degli atelier che permettono lo scambio tra i militanti. “Non siamo un think tank. Non produciamo rapporti. Quello che facciamo è di assicurare che la politica del Labour rifletta le aspirazioni dei suoi membri, e non quelle di pochi tecnocrati.” Senza cercare di dotarsi di una dottrina distinta, il movimento tenta piuttosto di influenzare le posizioni del partito in materia di sanità pubblica, industria della difesa o di politica migratoria. “Quello attuale è il programma del Labour più a sinistra degli ultimi quarant’anni. Ma è ancora troppo timido su questi temi.”

 

Momentum si impone poco a poco come una delle componenti principali del Labour. Nel gennaio scorso, tre dei suoi candidati (tra cui Jon Lansman, il suo fondatore) sono stati eletti nell’esecutivo laburista. Pienamente integrati, i suoi membri sono ormai tenuti ad aderire al partito. Ovviamente i detrattori di Momentum insistono con le accuse di entrismo, ma ormai non possono più tacciare il movimento di essere un gruppuscolo di giovani esaltati.

 

I sindacati ritrovano la loro centralità

Martin Mayer, dirigente del Trades Union Congress [TUC, la confederazione dei sindacati britannici ndt], sedeva nel comitato esecutivo nazionale del Labour, il suo organo di direzione politico, fino all’estate 2017. “Gli ultimi due anni sono stati molto difficili”, afferma. “Corbyn è stato costantemente sotto attacco.” Contro i 172 parlamentari laburisti che tentarono il colpo di mano nel giugno 2016, votando una mozione di sfiducia, i sindacalisti fecero blocco.

 

Marginalizzati durante il periodo del New Labour, quando Blair (1994-2007) e poi Gordon Brown (2007-2010) furono alla testa del partito, i sindacati hanno ritrovato la loro centralità. Il tempo in cui certe organizzazioni, in disaccordo con la politica neolaburista, si disiscrivevano dal partito (come la Fire Brigades Union, il sindacato dei pompieri, nel 2004) sembra passato. Così come quello in cui i dirigenti laburisti si permettevano di riprendere l’essenziale della legislazione antisindacale di Margaret Thatcher, riducendo il peso delle organizzazioni di lavoratori al congresso nazionale annuale del partito. “Prima dell’arrivo di Corbyn”, racconta Mayer, “molti sindacati si domandavano se dovessero lasciare il partito. I salariati chiedevano ai loro dirigenti: “Perché restate nel Labour se non ottenete nulla?” Ma non c’era altra scelta. Le altre formazioni di sinistra, come il Partito comunista, sono troppo deboli e non hanno alcuna possibilità di vincere un’elezione con questo sistema elettorale. E allora siamo rimasti.”

 

Sebbene non costituiscano un blocco omogeneo, i battaglioni sindacali si sono ingaggiati attivamente al fianco di Corbyn. Nella sede londinese di Unite, il principale sindacato britannico, che conta 1,4 milioni di membri, Andrew Murray, direttore del comitato di segreteria, spiega che la sua organizzazione “ha oggi una relazione particolarmente forte con Jeremy Corbyn”. “Una relazione politica”, sottolinea. “Speriamo che una sua vittoria porti a un cambiamento radicale nella lotta alle disuguaglianze, con un trasferimento del potere a favore dei lavoratori e dei salariati, uno sviluppo della sfera pubblica rispetto al privato, una politica estera che rompa con l’atlantismo, un cambiamento a favore della pace in Medio Oriente.”

 

I sindacati, che contribuiscono sempre per metà al finanziamento del Labour e dispongono di un terzo dei seggi nel suo esecutivo, spingono i loro aderenti a prendere parte alla vita del partito. Intervengono anche nelle campagne interne, come avvenuto di recente in Scozia, dove il segretario generale di Unite, Len McCluskey, a espresso il suo sostegno a Richard Leonard, alleato di Corbyn candidato alla leadership del Partito laburista scozzese. Un posto strategico, in una regione dove il Labour deve, per sperare di riconquistare il potere, riottenere il terreno perso a favore del Partito nazionale scozzese (SNP).

 

Rinstaurando il legame organico che unisce la sua organizzazione al movimento sindacale, Corbyn ha rinforzato il campo progressista. “Il punto cruciale, è che abbiamo ormai un partito democratico”, si felicita Murray, secondo il quale “Momentum e Unite sono i due pilastri della nuova dirigenza di Jeremy Corbyn.”

 

La guerra interna dell’ala destra del Labour

I “modernizzatori” del New Labour di Tony Blair avevano preferito lasciarsi alle spalle l’eredità del movimento operaio. Dopo quattro sconfitte successive (1979, 1983, 1987, 1992), avevano deciso di conquistare i bastioni conservatori cambiando la base elettorale del Labour, proponendo una lettura della società senza classi e una politica senza avversari. Corbyn, invece, non ha esitato a ridare centralità alla storia della classe operaia rompendo con questi cambiamenti ideologici e sociologici che, alla ricerca di un “estremo centro”, avevano favorito la conversione del Labour al neoliberalismo.

 

Un tempo dominanti, questi “neolaburisti” sono ormai sulla difensiva. Fermo oppositore della nuova dirigenza, Phil Wilson, che occupa il seggio che fu di Blair à Westminster, non è riuscito a limitare l’effetto-Corbyn nella sua circoscrizione. Nel 2016, le sue consegne di voto non sono state sufficienti per convincere la maggioranza dei militanti a votare per Owen Smith, il candidato dell’ala destra nella corsa alla leadership del partito. “È perché c’è molta gente che si è iscritta al partito”, spiega Peter Brookes. “Nel 2015, eravamo quattrocento. Oggi, siamo il doppio.” Parlamentare della contea di Durham, Brookes rappresenta il comune di Trimdon, la stessa dove vive Blair. Fa parte della famosa “gang of five”, la “banda dei cinque” che, secondo la leggenda, avrebbe preparato il terreno per la prima vittoria di Tony Blair, nel 1983.

 

Al momento minoritari, i neolaburisti aspirano a “conservare le [loro] circoscrizioni e a portare i [loro] candidati alla testa del partito”. Ma non dispongono più degli strumenti necessari per farlo. Il loro gruppo principale, Progress, è oggi in difficoltà, in particolare da quando il suo fedele donatore David Sainsbury (uno degli uomini più ricchi del Regno Unito) ha ritirato il suo sostegno economico nel 2017. Del resto, il gruppo funziona come un think tank, e non come un movimento radicato nel base del partito e nella società. “Dovremmo organizzarci meglio”, ammette Brookes. Dopo aver auspicato la partenza dei “moderati” per fondare un nuovo partito, ora spera di trovare “un antidoto a Momentum”.

 

In barba a questi attacchi, spesso portati avanti con la complicità della stampa liberal, oggi Corbyn è alla testa del più grande partito dell’Europa occidentale. Ha trasformato il Labour e ha dato nuova linfa alla sinistra. “For the many, not the few” (“Per i molti, non per i pochi”): Corbyn sembra deciso a non cedere.

 

 

 

Fonte: Le Monde diplomatique, aprile 2018

 

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