“Le sanzioni contro il Venezuela sono ideologiche”

 a cura di Benito Perez

 

La decisione continua a far discutere: il 28 marzo, il Consiglio federale annunciava le sanzioni contro il Venezuela. Al di là del loro contenuto – embargo sugli equipaggiamenti di sicurezza, congelamento dei beni e divieto d’entrata contro le personalità politiche – ad interrogare è l’aspetto politico.

A meno di due mesi dalle elezioni presidenziali venezuelane, Berna si dichiara “gravemente preoccupata dalle ripetute violazioni delle libertà individuali” in un paese dove il principio di separazione dei poteri sarebbe “gravemente in pericolo” e il processo elettorale soffrirebbe “di un forte deficit di legittimità”. Pur precisando il suo allineamento con le sanzioni già decise dall’Unione europea, il governo agisce tuttavia al di fuori di un mandato multilaterale. Le Nazioni unite, in particolare, hanno denunciato le misure prese da Bruxelles, Ottawa e Washington.

 

La prima reazione è venuta da un collettivo di un centinaio di associazioni, partiti di sinistra e sindacati svizzeri e latino-americani, che martedì depositava presso la Cancelleria federale un appello contro queste “misure che violano il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni unite”, per riprendere le parole di David Lopez, rappresentante a Ginevra della Fondazione latino-americana per i diritti dell’uomo e lo sviluppo. Il giorno dopo, un editoriale della Basler Zeitung rompeva il silenzio imbarazzato della destra elvetica, giudicando maldestre queste sanzioni, perché intervengono senza alcun motivo apparente diversi mesi dopo quelle decise dall’UE e alla vigilia delle elezioni. Stando così le cose, si preoccupa la Basler Zeitung, la misura potrebbe apparire come un’intromissione diretta negli affari politici di un paese straniero. Insomma, di che deteriore ulteriormente l’immagine della Svizzera in Venezuela.

 

Ex-ambasciatore della Svizzera a Caracas tra il 2003 e il 2007, Walter Suter è ancora più severo e parla di una decisione di natura puramente “ideologica”. Ormai in pensione, questo grande conoscitore dell’America latina – è stato in carica anche in Cile, in Paraguay, in Uruguay e in Argentina – viaggia regolarmente in Venezuela, l’ultima volta come osservatore elettorale in occasione delle elezioni dell’Assemblea costituente del luglio 2017. Lo abbiamo incontrato.

 

Le sanzioni annunciate il 28 marzo dal Consiglio federale la hanno sorpresa?

Walter Suter: Sì. È una decisione chiaramente inusuale, che si discosta dalla politica tradizionale di non ingerenza negli affari interni di un altro Stato. Le sanzioni svizzere sono estremamente rare, e in generale seguono le decisioni dell’ONU, alle quali non si può non sottostare. La Svizzera poteva benissimo tenersi a margine di queste misure di ritorsione, come ha fatto per esempio con la Russia. La misura stupisce specialmente se la si confronta con la situazione in vigore in altri paesi, come l’Egitto. È la prima volta che la Svizzera sanziona un paese latino-americano, sebbene questo continente abbia una storia drammatica, difficilmente comparabile con quanto avviene oggi in Venezuela. Allo stesso tempo, se si osservano le prese di posizione della Svizzera negli ultimi due o tre anni rispetto al Venezuela all’ONU, o in occasione dell’elezione dell’Assemblea nazionale costituente del luglio scorso, che qualificava già di “sospette”, c’è una certa coerenza.

 

Le misure decise dalla Confederazione puntano anzitutto a vietare l’esportazione di materiale repressivo. Non è forse legittimo opporsi alla repressione dell’opposizione in Venezuela?

Nel paese non c’è una politica di repressione sistematica dell’opposizione. Senza dubbio ci sono delle violazioni dei diritti umani, in particolare nei centri di detenzione, un elemento purtroppo comune alla maggior parte dei paesi dell’America latina. Bisogna però anche riconoscere che i violenti scontri del 2014 e del 2017 sono stati provocati da delle rivolte organizzate dall’opposizione.

 

Il Consiglio federale parla di separazione dei poteri “in pericolo”…

Lo fa, ma senza apportare dei fatti concreti, al di là della semplice influenza abituale tra i diversi pilastri di uno Stato. Ora, se c’è un potere che, agli occhi di tutti, non ha rispettato questo principio costituzionale di separazione è proprio l’Assemblea nazionale conquistata dalla destra nel dicembre 2015. Ha creduto di essere diventata padrona del paese perché aveva vinto le elezioni parlamentari. Dalla sua entrata in funzione, si è ostentatamente opposta a una decisione presa in sede giudiziaria contro quattro deputati sui quali pesava un’accusa penale per frode elettorale e ha annunciato la sua intenzione di sostituirsi all’esecutivo.

 

Il fatto che degli oppositori siano in prigione e che altri non possano presentarsi alle elezioni non la inquieta?

In effetti, ci sono alcuni politici che sono detenuti, per degli appelli e la partecipazione alle violenze politiche. Ma hanno avuto diritto a un processo nel pieno rispetto delle regole. Per quel che concerne il più conosciuto tra loro, Leopoldo Lopez, attualmente agli arresti domiciliari, le prove della sua colpevolezza sono liberamente accessibili su YouTube, dove lo vediamo chiamare al rovesciamento del presidente eletto in occasione dell’operazione La Salida del 12 febbraio 2014. Altri sono stati condannati per dei fatti di corruzione durante i loro mandati pubblici, come avviene ovunque nel resto dell’America latina. Se certi oppositori non hanno potuto presentarsi alle elezioni, ciò è avvenuto conformemente alla Costituzione e alla legge elettorale. Tutte misure che sono state convalidate dall’organo latino-americano preposto, il Consiglio degli esperti elettorali (CEELA), composto in maggioranza da giudici di destra. Bisogna ricordare ugualmente che l’organizzazione dell’elezione presidenziale del 20 maggio fa parte di un accordo concluso nella Repubblica dominicana tra il governo e i suoi oppositori, sotto la supervisione dell’ex-presidente spagnolo [José Luis] Zapatero. Accordo che l’opposizione ha rifiutato di firmare all’ultimo minuto. È deplorevole che questi fatti siano ignorati dai media europei quando si occupano del Venezuela.

 

Se le sanzioni sono infondate, come spiega lo zelo svizzero? Con la pressione degli Stati Uniti e dell’Europa?

Non lo so. (Resta in silenzio un istante) Pressioni ce ne sono forse state, ma non penso che questo sia stato sufficiente a forzare la Svizzera. A mio modo di vedere, la sua decisione è volontaria.

 

Potrebbe essere legata al conflitto sul trading del petrolio venezuelano a Ginevra, dove Caracas ha sporto denuncia contro degli intermediari indelicati?

Ne dubito. Ho la sensazione che la decisione risponda semplicemente a dei motivi politici, ideologici, contro un governo della sinistra radicale. Il tempismo della decisione rinforza questa interpretazione. Essendo arrivato a meno di due mesi dalle elezioni, il messaggio del Consiglio federale vuole mettere in dubbio la legittimità del processo elettorale in corso.

 

Quali sono le conseguenze in Venezuela di queste sanzioni?

Le sanzioni svizzere non avranno un grande effetto. Invece, l’embargo deciso dagli Stati Uniti aggrava la situazione sociale ed economica del Venezuela. I prodotti alimentari e sanitari sono fortemente colpiti: tutte le aziende con una sede negli USA rischiano delle ritorsioni se accettano un contratto con Caracas! Da una parte, si denuncia la “crisi umanitaria” di cui sarebbero vittima i Venezuelani più poveri e, dall’altra, la si provoca. E questo, da diversi anni.

 

Il governo venezuelano non ha preso delle misure in risposta contro la Svizzera. Perché? Bisogna leggere attentamente la risposta di Caracas. L’ultimo paragrafo afferma: “Queste misure non minacciano solamente la stabilità del popolo venezuelano, ma generano anche delle condizioni difficili per il popolo e le imprese svizzere basate nel nostro paese.” La minaccia è solo leggermente velata. Penso che questa frase spieghi l’editoriale della Basler Zeitung, redatto da un giornalista della rubrica economica. Penso che il settore chimico basilese non abbia apprezzato questa intromissione della diplomazia svizzera. Altre reazioni in seno ai partiti o a delle lobby non tarderanno ad arrivare.

 

Pensa che questo affare comprometta l’immagine della Svizzera in Venezuela?

Di certo non la migliorerà! (Ride) Credo soprattutto che sia l’immagine internazionale del nostro paese ad essere danneggiata. Gli USA e l’Europa dominano le relazioni internazionali ma non dimentichiamo che il Venezuela è sostenuto dalla maggioranza degli Stati. Nel mondo, la Svizzera è rispettata per il suo stato di diritto, per la sua neutralità, ha l’immagine di un paese affidabile, prevedibile, che punta sul dialogo, rispettoso della sovranità nazionale e l’autodeterminazione dei popoli. Penso che questa decisione abbia sorpreso in diversi ambienti. È praticamente un cambio di paradigma.

 

 

 

 

Fonte : Le Courrier, 6 aprile 2018

 

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