Basta regali fiscali! I bisogni sono altri!

di Enrico Borelli

 

È forse una priorità per il Ticino ridurre le imposte ai cittadini milionari e dimezzarle alle multinazionali e alle grosse imprese, quando nel contempo aumentano gli oneri per i lavoratori e per le famiglie?

È forse democraticamente accettabile imporre questi regali fiscali con l’arma del ricatto (sgravi in cambio di alcune misure di carattere sociale)?

 

Queste politiche di defiscalizzazione a senso unico e sempre in favore delle medesime categorie fanno forse gli interessi della maggioranza della popolazione ticinese? La ragione, un minimo senso di giustizia sociale ed il contesto economico e occupazionale in cui aumentano povertà e disuguaglianze (che da sindacalista tocco quotidianamente con mano), non possono che indurre a rispondere con un triplice no alle domande introduttive. Un NO come quello che invito le cittadine e i cittadini ticinesi ad esprimere nella votazione del prossimo 29 aprile sulla revisione della legge tributaria, un pacchetto di misure fiscali che il nostro Governo e le forze politiche che lo compongono cercano di spacciare come un “patto sociale”.

 

In realtà un accordo di palazzo che di “sociale” non ha proprio nulla. E nemmeno di democratico. Si pensi solo al metodo utilizzato: Il governo propone al Gran Consiglio un pacchetto di misure fiscali con un contorno di alcuni interventi minimi di carattere sociale (con funzione di pillola digestiva); il Gran Consiglio approva ma in modo formalmente disgiunto (perché è illegale -lo dice il Tribunale federale- riunire in un testo unico materie differenti: in questo caso fiscalità e socialità); sindacati e sinistra promuovono con successo il referendum contro le misure fiscali; E alla vigilia del voto il Governo, cui compete la messa in vigore delle misure sociali (non contestate), minaccia i cittadini: se non votate gli sgravi non avrete nemmeno le misure sociali!

 

Al di là del fatto che queste siano in realtà poca cosa, si tratta di un metodo perlomeno discutibile che la dice lunga sulla buona fede dei fautori della riforma fiscale, che si ergono a paladini della socialità. Ovviamente solo per questa occasione, tenuto conto che si tratta degli stessi partiti e degli stessi politici, che tagliano sui sussidi della casa malati e gli assegni per i figli e che si oppongono a qualsiasi forma di salario minimo. Ma anche gli stessi che da decenni promuovono politiche di sgravi fiscali che svuotano le casse pubbliche e inducono a tagli proprio alla spesa sociale. E gli stessi che senza esitare hanno per esempio deciso aumenti d’imposta per i lavoratori (si pensi alla riduzione delle deduzioni possibili per uso del veicolo privato per andare al lavoro) e a cui non viene nemmeno in mente di pensare a sgravi fiscali per esempio per le famiglie o gli anziani che fanno fatica a tirare a fine mese.

 

Tra questi c’è sicuramente il Partito liberale radicale, che di questi tempi sta dando qualche segnale di nervosismo e fastidio per il ruolo politico svolto da Unia, arrivando a giudicare “poco svizzero” il fatto di denunciare lo strapazzamento delle regole democratiche e istituzionali attraverso la politica del ricatto appena descritta. È forse “più svizzero” affermare che l’Ispettorato del lavoro dovrebbe mostrare più «elasticità» (cioè chiudere gli occhi) se a violare la legge sono ricchi imprenditori («che fanno bene alle casse cantonali e comunali»), come ha fatto recentemente il vicesindaco di Lugano Michele Bertini commentando i controlli effettuati negli uffici dello stilista tedesco Philipp Plein?

 

Se è così ed è nei confronti di questo genere di imprenditori che il fisco ticinese deve essere più attrattivo, sono fiero di essere “poco svizzero” e di votare no il 29 aprile.

 

 

 

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