Perché il nostro femminismo è intersezionale

di Collettivo Scintilla

 

Con femminismo intersezionale si definisce quella corrente del movimento femminista che organizza le proprie pratiche politiche e sociali partendo da una coscienza di classe che individua nelle svariate forme di oppressione una causa identificabile in un denominatore comune, ovvero la società piramidale dominata al vertice da una cultura patriarcale sessista, classista e razzista.

Questa concezione sostiene che per giungere all’emancipazione e per liberarsi da qualsiasi forma di sfruttamento, di discriminazione e di oppressione, sia fondamentale considerare le lotte sociali nella loro trasversalità, sostenersi reciprocamente ed evitare di creare delle gerarchie che indichino quali siano primarie e quali secondarie, poiché esse si intersecano e si sostanziano vicendevolmente. Il collante per creare un movimento che abbia la forza di porre le basi per una società più equa e giusta è dunque la solidarietà.

 

Sul piano concreto questo dovrebbe tradursi in un sostegno di tutte quelle rivendicazioni volte a rompere i rapporti di forza per costruirne dei nuovi basati sulla parità e sull’orizzontalità. Per questo motivo il femminismo intersezionale non divide il mondo in due generi identificando in quello maschile la causa di tutti i mali, e non persegue l’unità tra le donne su base prettamente biologica.

 

Perché «l’essere donna non ci fa delle persone migliori». Ci sono infatti anche donne che sostengono lo status quo e che promuovono forme di oppressione. La politica ne è piena. Le quote rosa non sono sinonimo di uguaglianza rappresentativa. E se talvolta nelle discussioni politiche viene portata avanti la questione (spesso illusoriamente) di genere, nella maggioranza dei casi essa è dissociata da quella di classe.

 

Esistono donne che giustamente proclamano la parità salariale tra uomo e donna, ma che ad esempio sono contrarie all’introduzione di salari minimi adeguati (quando le professioni più sottopagate e precarie sono quelle femminilizzate: industria tessile, orologiera, settore delle pulizie, cure a domicilio, estetista ecc.); o che con un malcelato razzismo sostengono leggi come quella antiburqa in virtù di una fantomatica difesa della libertà delle donne; oppure ancora che si oppongono all’estensione del congedo paternità perché gli uomini «hanno già troppi privilegi»; o che reclamano una società maggiormente improntata al «sorvegliare e punire», contraddistinta da una massiccia presenza di poliziotti e agenti di sicurezza (uomini beninteso) per scongiurare qualsiasi violenza o abuso nei luoghi pubblici (quando la maggior parte dei soprusi avviene tra le mura di casa).

 

Questi sono solo alcuni dei tanti esempi di un pseudo femminismo che si rivela non utile alle donne ma utile alle logiche patriarcali, capitaliste, razziste, autoritarie, reazionarie e che in sostanza è un ulteriore mezzo di controllo – con l’alibi della tutela – per scongiurare l’autodeterminazione delle donne, definendole tutte come potenziali vittime e arrogarsi il diritto di ergersi a loro difesa e decidere cosa sia meglio per loro.

 

Con ciò non s’intende che chi non subisce un determinato tipo di sfruttamento non debba interessarsene. Anzi, considerando la nostra posizione privilegiata rispetto a tanta altra gente nel mondo, è un dovere occuparci anche delle discriminazioni che non hanno un effetto diretto su di noi, in quanto esistono persone che appartengono a minoranze etniche, religiose, per orientamento sessuale o identità di genere che non sono nella posizione di poter combattere per i propri diritti. Questo però non vuol dire definire le lotte altrui e sovradeterminarle.

 

Le lotte appartengono a chi le pronuncia, dal basso; noi possiamo amplificarne la voce e offrire una mano, ma ognuno deve avere la possibilità di autodeterminarsi a modo proprio. Attenzione quindi a sostenere che le donne dovrebbero essere votate in quanto donne senza tenere conto delle precise idee delle quali si fanno portatrici.

 

Il femminismo intersezionale è costruito su obiettivi comuni, non sull’essere donna, e promuove in definitiva un posizionamento conflittuale contro la società patriarcale e a favore della decostruzione degli stereotipi di genere, dell’intersezione delle lotte, dell’autodeterminazione delle singole persone. È volto all’emancipazione collettiva di categorie di persone che subiscono prevaricazioni. Rimette in discussione regole arcaiche che ancora interferiscono quotidianamente nelle relazioni, nell’educazione dei figli, nella sessualità, nelle scelte in merito al proprio corpo. E agisce globalmente contro culture autoritarie, ovunque e a partire da qualunque genere esse si manifestino.

 

Riconosciamo allora l’importanza e il valore di tutte le lotte contro l’ingiustizia, la gerarchia, il precariato senza decretare quali siano primarie e quali marginali. Sono tutte interrelate e abbiamo ottime ragioni per occuparcene e per essere solidali tra noi.

 

 

 

Quaderno 15 / aprile 2018

 

 

 

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