Sanità e casse malati: tra black list e proposte caotiche, talora demenziali

di Franco Cavalli

 

Nonostante che UDC e Lega continuino a battere la grancassa sul tema dell’immigrazione, tutti i sondaggi recenti mostrano che attualmente il problema dell’aumento continuo dei premi di cassa malati è diventata la preoccupazione principale dei ticinesi e degli svizzeri.

Ed è facilmente comprensibile: difatti se negli ultimi 20 anni il salario medio è aumentato del 18%, i premi di cassa malati sono invece cresciuti quasi del 140%, ciò che basta a spiegare come mai la situazione economica della classe medio-bassa sia oggi peggiore di quella di 20 anni fa.

 

Questo vale soprattutto per coloro che sono appena al di sopra del limite che garantisce i sussidi dei premi di cassa malati. Ma anche per chi li riceve, in quanto tendenzialmente nella maggior parte dei cantoni la situazione sta peggiorando: basti pensare che negli ultimi 8 anni il contributo dei cantoni per questi sussidi è diminuito di ben 300 milioni. E il parlamento federale dovrebbe a breve diminuire di almeno 75 milioni anche i sussidi elargiti annualmente da Berna. In media e dopo aver tolto già tutto quanto è coperto dai sussidi, i premi di cassa malati si mangiano oggi già più del 12% del reddito disponibile: in Ticino siamo appena appena al di sotto di questo limite, la percentuale sale addirittura a 16-18% in cantoni come Berna o Soletta. Ma c’è di peggio, anche se si stenta a crederlo. Il recente studio della SUPSI ha rilevato che in Ticino quasi 4’000 persone sono iscritte nella black list, per cui non hanno diritto a prestazioni mediche, se non in caso di urgenza.

 

Dopo gli interventi sollecitatori dei comuni, ora richiesti per legge, negli ultimi tre anni solo una persona su quattro è uscita da questa black list, mentre il numero di coloro che entrano o vi rientrano continua ad aumentare. È quindi parecchio difficile capire come Paolo Beltraminelli abbia potuto giudicare incoraggianti questi risultati, quando ciò significa che a quasi 4’000 persone viene negato uno dei diritti umani più fondamentali e cioè quello del libero accesso alle cure mediche.

 

Il PPD si dà da fare (male)

A fronte di questa situazione obbiettivamente disastrosa, tutti si sentono ora in dovere di dire qualcosa. Assistiamo quindi ad un fuoco d’artificio di prese di posizione e di proposte, spesso caotiche, e dove frequentemente si ha l’impressione che si cerchi deliberatamente di buttare la palla in corner e di evitare che il cittadino medio possa capirne qualcosa in un settore che è già estremamente complesso di per sé. Prendo ad esempio la posizione del gruppo parlamentare federale PPD (23.2.2018) che fa di ogni erba un fascio.

Riassumo i punti principali del loro comunicato: adottare un finanziamento analogo per le prestazioni ambulatoriali e stazionarie, lottare contro la lievitazione dei volumi delle prestazioni, usare criteri più rigorosi per fissare il prezzo dei nuovi medicinali. Su quest’ultimo punto, per esempio, quando chi scrive l’aveva proposto, in parlamento, il PPD assieme a tutte le altre forze borghesi, sotto l’influenza delle lobby farmaceutiche aveva affossato questa richiesta. Ai budget globali (volumi delle prestazioni) il PPD si è sempre opposto, mentre per quanto riguarda il finanziamento ambulatoriale/stazionario ha sempre voluto concederne il controllo alle sole casse malati.

 

Questo eliminerebbe praticamente la libertà di scelta del medico, perché le casse malati non sarebbero più obbligate a riconoscere le fatture di tutti i medici. Un altro tranello in questo settore è rappresentato dalla lista appena pubblicata dall’Ufficio Federale di Sanità (e diversi cantoni ne hanno già fatte delle simili in precedenza) che obbliga a eseguire una serie di interventi chirurgici «limitati» in ambiente ambulatoriale e non più stazionario. Ciò significa un trasferimento dei costi sui premi di cassa malati, che coprono completamente le attività ambulatoriale, mentre per quelle stazionarie un po’ più della metà dei costi vengono presi a carico dei cantoni.

 

Sarebbe un po’ quindi come aumentare l’IVA, per diminuire l’imposta federale diretta, che è proporzionale al reddito.

 

C’è chi dà i numeri

In questo coro stonato di reazioni, non poteva mancare il solito controllore dei prezzi Stefan Meierhans, che per l’ennesima volta (ne abbiamo già parlato in un paio di occasioni nei numeri precedenti), si distingue per osservazioni che dimostrano solo che del sistema sanitario non capisce assolutamente niente. Così pubblicando l’ennesimo paragone tra i costi dei vari ospedali, commenta il fatto che Economie Suisse da parte sua non trova di meglio che proporre la deregolamentazione totale del sistema, che dovrebbe essere aperto completamente alle forze di mercato, togliendo allo stato ogni possibilità di regolamentazione.

 

Economie Suisse fa quindi il verso a Donald Trump, incurante del fatto che non solo la scienza economica, ma anche l’esperienza degli ultimi 50 anni mostra che nel settore sanitario più si apre il mercato, più i costi aumentano. Ciò spiega per esempio come mai gli Stati Uniti, dove è il mercato a decidere tutto, sia di gran lunga il paese che spende di più per la sanità, nonostante che un quinto della sua popolazione ne sia escluso. Tant’è vero che il Canada, che ha il sistema della cassa malati unica e della regolamentazione statale, spende la metà degli Stati Uniti e ha indici sanitari di successo migliori.

 

In questa situazione caotica, anche il serafico Alain Berset sta a poco a poco perdendo la pazienza e ultimamente ha minacciato i medici di drastici interventi, per impedire che parecchi di loro continuino ad avere dei guadagni milionari. Inoltre egli ha riesumato la proposta dei budget globali ambulatoriali, con costo decrescente al di là di un certo limite del volume globale, di quanto viene pagato per la singola prestazione idea sin qui sempre sonoramente bocciata dalla maggioranza borghese. Di per sé la proposta è parecchio ragionevole e assomiglia molto al sistema canadese: per essere attuabile richiede però chiaramente l’istituzione di una cassa malati unica.

 

Una sfilza di iniziative popolari

Quest’ultima è già stata affossata a due riprese negli ultimi 15 anni grazie alle martellanti campagne milionarie finanziate dalle casse malati. L’idea sta ora ritornando però sul tappeto grazie a una nuova iniziativa popolare, lanciata da un gruppo coordinato dal Consigliere di Stato socialista vodese Pierre-Yves Maillard, che vorrebbe introdurre nella costituzione federale la possibilità per i cantoni di istituire una cassa malati unica sul loro territorio.

 

La proposta si differenzia da quella storica della Lega dei Ticinesi, che voleva semplicemente una cassa malati cantonale, che sarebbe stata una tra le tante e che accumulando i casi peggiori (e probabilmente tutti quelli della black list!) sarebbe stata irrimediabilmente votata al rapido fallimento finanziario. Una cassa malati cantonale ma unica potrebbe invece servire da detonatore per far accettare l’idea anche in quei cantoni, soprattutto della Svizzera tedesca, dove l’opinione pubblica è tutt’ora abbastanza scettica.

 

Il PSS sta invece preparando un’iniziativa che vorrebbe limitare i premi di cassa malati al 10% del reddito disponibile, come sarà già il caso a partire dal 2019 nel canton Vaud, dove tutto il resto verrà preso a carico dal cantone.

 

Queste proposte «riformiste», pur andando nella buona direzione, non potranno risolvere il fondo del problema e rimangono ben al di qua di quanto voleva 20 anni fa l’iniziativa della sinistra «Per una sanità sostenibile» che introduceva premi proporzionali al reddito, controllo di qualità e limitazione dei costi dei farmaci. Purtroppo fu affossata, sempre a suon di propaganda milionaria da parte delle casse malati e dei partiti borghesi, anche perché aveva un neo evidente: metà dei premi sarebbero stati coperti da un aumento dell’IVA.

 

Rimane però tutt’ora evidente che la soluzione radicale, nel senso di arrivare alla radice del problema, rimane ovvia, nonostante tutti i tentativi di menare il can per l’aia, annegando il tutto in un mare di proposte caotiche. Questa soluzione, come è stato confermato da tutti gli esperti internazionali che si sono chinati sulla sanità svizzera, è rappresentata da: premi proporzionali al reddito, budget globali con finanziamento decrescente nel settore ambulatoriale, abolizione della diversa chiave di finanziamento ambulatoriale/stazionario, controllo di qualità delle prestazioni e dei costi dei medicinali.

 

Ma per arrivarci, conoscendo il nostro paese, forse ci vorrà qualcosa di simile allo sciopero generale del 1918…

 

 

 

Quaderno 15 / aprile 2018

 

 

 

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