Colombia: una «pace» insanguinata

di Damiano Matasci

 

Dopo l’accordo di pace siglato tra le Forze armate rivoluzionarie colombiane (FARC) e il governo colombiano nel mese di novembre 2016, più di 40 ex-combattenti, familiari e leader comunitari sono stati assassinanti da gruppi criminali o paramilitari legati all’estrema destra.

 

Dalla fine del più lungo conflitto d’America latina e l’addio alle armi della più potente e longeva organizzazione guerrigliera del continente, si sono prodotti decine e decine di attacchi ai militanti della nuova formazione politica emersa dalle ceneri delle FARC, denominata Forza alternativa rivoluzionaria del comune. Un contesto difficile, quindi, che per certi versi ricorda quello degli anni ’80, quando migliaia di militanti della formazione di inspirazione comunista Unione patriottica furono sterminati dalle milizie paramilitari, con la complicità di polizia e governo, convincendo così molti militanti a ritornare sulle montagne e proseguire la lotta armata.

 

Senza voler entrare in dietrologie o complottismi, è da notare l’assordante silenzio dei media occidentali su questo vero e proprio massacro. Benché abituati a un’informazione «oggettiva» nelle intenzioni ma politicamente sempre ben schierata, questo trattamento ineguale è tanto più rilevante che i «crimini» delle FARC hanno spesso fatto le prima pagine dei giornali, riprendendo in gran parte la propaganda di governo che li dipingeva come dei mostri sanguinari e volgari narcotrafficanti.

 

Malgrado il clima di violenza e gli attacchi subiti, è quindi da sottolineare la disciplina, la pazienza e il sincero impegno degli ex-guerriglieri nel consolidare il cammino verso la pace e la riconciliazione nazionale. Oltre ai problemi legati alla sicurezza personale, infatti, basti pensare che centinaia di prigionieri politici ancora languono nelle carceri colombiane, malgrado l’accordo di pace prometteva loro la libertà immediata.

 

Va pure sottolineato che le forze ostili al processo di normalizzazione del paese sono numerose, in particolar modo tra i settori dell’oligarchia di estrema destra capitanata da Alvaro Uribe, a cui il confl itto ha permesso di arricchirsi impunemente sulle spalle delle masse popolari e contadine. A questo si aggiunge il fatto che le FARC possiedono un’immagine particolarmente negativa, soprattutto tra le élite urbane, frutto di anni di propaganda e del fatto che dopo le grandi offensive governative nei primi anni 2000, sostenute dal governo degli Stati Uniti nel quadro del Plan Colombia e del Plan Patriota, il gruppo guerrigliero si è arroccato nelle zone rurali e montagnose del paese, dove è più forte il suo radicamento tra la popolazione locale.

 

Il percorso di inserimento nella vita civile e politica continua però inesorabile. Il congresso di fondazione della nuova formazione che si è tenuto a settembre 2017 ha ufficialmente investito come futuro candidato alla presidenza Rodrigo Londoño, alias Timochenko o Timo (nel frattempo ritiratosi a causa di problemi di salute), storico leader della formazione guerrigliera e successore di quello che fu il vero architetto della pace, il comandante Alfonso Cano, assassinato durante un bombardamento aereo nel novembre del 2011. Altri dirigenti storici, perlopiù membri del segretariato dello Stato maggiore centrale delle FARC, si sono invece presentati alle recenti elezioni per la Camera dei deputati e del Senato, portando avanti un progetto politico incentrato sulla lotta contro la corruzione e il clientelismo, la pacificazione della società e la promozione di uno sviluppo economico e sociale rispettoso dell’ambiente e delle culture locali.

 

La tornata elettorale, che si è svolta l’11 marzo scorso, ha visto il partito di Uribe uscire largamente vincente dalle urne. La FARC ha raccolto solo lo 0.4% dei suffragi, un risultato atteso e previsibile, ma gli accordi di pace gli garantiscono automaticamente una decina di seggi per due legislature. La vittoria della destra apre però un periodo di incertezza.

 

Saranno in effetti da valutare, da una parte, le conseguenze sui negoziati attualmente in corso a Quito con l’Esercito di Liberazione Nazionale, principale formazione armata ancora in attività, che hanno conosciuto una fase di stallo negli ultimi mesi in seguito a numerosi attacchi guerriglieri contro le forze di sicurezza.

 

Dall’altra, benché il disarmo sia accertato e definitivo, la smobilitazione delle FARC non ha modificato le radici profonde del conflitto colombiano, che sono da cercare nelle gravi ineguaglianze economiche e nell’ingiustizia sociale.

 

La rinegoziazione degli accordi di pace, dopo il no al referendum del 2 ottobre 2016 che ha affossato le condizioni dell’accordo di pace stipulate nella Cuba di Raul Castro qualche mese prima, ha infatti fortemente limitato la portata di numerose proposte essenziali emerse nella prima versione, in particolar modo la riforma agraria.

 

 

 

 

Quaderno 15 / aprile 2018