Parità salariale. Punto e basta! È tempo di scegliere tra solidarietà e divisione sociale.

di Red

 

Vi proponiamo il discorso pronunciato a Zurigo in occasione della Festa del 1 maggio da Vania Alleva presidente nazionale del sindacato Unia. Un discorso che ben evidenzia come la lotta per i diritti debba coinvolgere l’insieme delle persone senza distinzione di genere o nazionalità.

 

Per il 1° maggio 2018 abbiamo scelto uno slogan breve e incisivo: «Parità salariale. Punto e basta!».

 

Abbiamo scelto questo slogan perché ne abbiamo abbastanza. Adesso basta. Non abbiamo più intenzione di tollerare le deplorevoli tattiche dilatorie dei politici e le assurde scuse dei datori di lavoro. È incredibile che non esistano ancora controlli salariali e che il Parlamento respinga addirittura una minuscola revisione della Legge sulla parità con miglioramenti minimi.

 

Ma tutto questo non è un caso. In Svizzera quando in ballo ci sono i diritti delle donne, ci vuole sempre un’eternità. Abbiamo aspettato 100 anni prima di ottenere il suffragio femminile e 60 per l’assicurazione maternità. E già molto di più per la parità salariale.

 

Noi sindacaliste lo sappiamo: non ci viene regalato nulla, né nelle imprese né nella società. Sappiamo che i salari migliori, le condizioni di lavoro migliori e le rendite migliori non cadono semplicemente dal cielo. Sappiamo che dobbiamo batterci duramente per tutto. Che conquisteremo il progresso sociale solo se eserciteremo le pressioni necessarie. Solo così le cose cambiano. Lo sappiamo. Ecco perché tutte noi sindacaliste in un modo o in un altro abbiamo una natura combattiva!

 

Il progresso sociale richiede una grande energia collettiva. E l’uguaglianza richiede un’energia enorme. La lentezza con cui le cose cambiano è semplicemente assurda.

 

«Parità salariale. Punto e basta!». Il nostro slogan è breve, ma ha alle spalle una storia estremamente lunga. È la storia delle donne lavoratrici che scelsero di organizzarsi all’interno di associazioni. È una storia che ha radici lontane. A Zurigo già nel 1844 esisteva ad esempio un’unione di cucitrici. Dal 1886 in varie località svizzere le operaie, le casalinghe e le domestiche iniziarono a creare organizzazioni di lavoratrici.

 

Queste donne organizzate, le nostre bisnonne, sollevarono la «questione femminile» all’interno del movimento sindacale e con essa anche la questione della parità salariale.

 

Uguaglianza! I loro colleghi di sesso maschile avrebbero dovuto accogliere con grande favore questa rivendicazione – dopo tutto in quasi tutti i Paesi i sindacati avevano fatto proprio il motto della Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fratellanza. Ma appunto, la «fratellanza» conferiva all’«uguaglianza» un volto maschile. Per tanto tempo le lavoratrici ne rimasero escluse. I sindacati a dominanza maschile chiusero gli occhi di fronte ai legami tra capitalismo e patriarcato.

 

Il sistema economico del capitalismo si basa non solo sullo sfruttamento del lavoro retribuito, ma anche sulla separazione tra lavoro produttivo retribuito e lavoro riproduttivo non retribuito e sulla separazione tra sfera pubblica e privata. L’uomo provvede alla famiglia con il suo stipendio, mentre la donna si occupa gratuitamente della casa e dei figli. Questo ideale di famiglia raggiunse il suo apice nel dopoguerra. Anche all’interno dei sindacati. La rivendicazione delle donne di includere la parità salariale nel programma di lavoro dell’Unione sindacale svizzera fu bocciata nel Congresso USS del 1960. Anche la semplice espressione «in generale anche i salari delle donne dovrebbero crescere» andava troppo oltre per la mentalità di quell'epoca. Si temeva, infatti, che questi «interessi particolari» spaventassero gli associati di sesso maschile.

 

Fortunatamente negli ultimi decenni le cose sono cambiate, anche grazie all’influenza del movimento femminista. Oggi le giovani donne vivono in modo diverso dalle loro nonne e dalle loro madri. Rappresentano la maggioranza degli studenti, di norma svolgono un’attività lucrativa e naturalmente intendono ottenere l’indipendenza finanziaria, la parità salariale e le pari opportunità.

 

Anche i sindacati sono cambiati. Il fattore decisivo è stato il progressivo aumento delle donne che si sono organizzate e che hanno iniziato ad alzare la voce. Oggi per i sindacati è chiaro che la parità salariale non è una questione di interessi particolari! È un indicatore della nostra capacità di superare la divisione capitalistica dei lavoratori in base al genere e di lottare per migliorare i diritti delle donne E degli uomini.

 

Questa nuova prospettiva che crede in una lotta comune ai due sessi in favore di condizioni lavorative e salariali migliori e uguali per tutti ha coinciso con un secondo grande sviluppo: fino agli anni Novanta la Svizzera era caratterizzata da un sistema di chiusura del mercato del lavoro che penalizzava gravemente una parte delle lavoratrici e dei lavoratori. Mi riferisco al sistema xenofobo dei contingenti e al relativo statuto dello stagionale. Centinaia di migliaia di persone e più tardi milioni di colleghi con le loro famiglie hanno subito una discriminazione insopportabile, a volte accompagnata da condizioni di vita e di lavoro disumane.

 

Analogamente alla discriminazione femminile, anche quella dei migranti obbediva a una logica di sfruttamento capitalista: in quanto massa manovrabile a basso costo, i migranti consentivano grandi profitti nei periodi di alta congiuntura. Poi, quando scoppiava la crisi, venivano rispediti nei loro Paesi di origine, senza alcun diritto all’indennità di disoccupazione. «Tampone congiunturale»: questa era la designazione disumana in uso al tempo.

 

Per i sindacati è stato importante riconoscere di dover organizzare tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, a prescindere dalla loro nazionalità. Oggi per i sindacati è chiaro che la parità di diritti per i migranti non è una questione di interessi particolari! È un indicatore della nostra capacità di superare la divisione capitalistica dei lavoratori in base alla provenienza e di lottare per migliorare i diritti dei lavoratori oriundi E immigrati.

 

La parità vale per tutti, anche per le donne e anche per i migranti! Non dobbiamo mai dimenticare l’importanza di questo principio elementare.

 

La lotta comune di donne e uomini, oriundi e immigrati, è stato il fattore decisivo che negli ultimi tre decenni ha consentito ai sindacati svizzeri di imporsi di fronte agli attacchi sempre più brutali delle associazioni padronali neoliberali e di fronte alla campagna di odio della cricca miliardaria nazionalconservatrice dell’UDC.

 

La «parità per tutti» continua a essere la premessa di una politica della solidarietà di classe che superi le differenze di genere e le frontiere nazionali. Di una politica che ad esempio ha ottenuto l’assicurazione maternità e finora è riuscita a difendere le rendite. Di una politica che ha contribuito a far sì che nel mercato del lavoro svizzero più di un milione di colleghe e colleghi europei non possano più essere trattati come persone di seconda classe sprovviste di ogni diritto. Di una politica che ha anche fatto sì che oggi più di due milioni di lavoratori di questo Paese godano di una certa protezione grazie ai contratti collettivi di lavoro, ai salari minimi e ai controlli del mercato del lavoro. Mai così tanto prima d’ora.

 

Tutti questi successi sono il risultato della solidarietà. La solidarietà, così come la concepisco io, significa …

 

  • comprendere che il MIO diritto dipende dal fatto che la mia collega e il mio vicino beneficino di un diritto analogo al mio;

 

  • comprendere che il MIO salario equo, le mie buone condizioni di lavoro, la mia giustizia sociale e la mia libertà di movimento dipendono dal fatto che TUTTI beneficino di questi stessi diritti;

 

  • comprendere che i NOSTRI diritti sono indivisibili.

 

Solidarietà significa comprendere questi principi basilari E poi lottare insieme. Contro la divisione e per gli stessi diritti per TUTTI.

 

Non dobbiamo mai tradire questo principio. Tanto più adesso che le forze solidali sono più che mai sotto pressione. Ho menzionato i crescenti attacchi che i datori di lavoro e i capi dell’UDC sferrano contro i diritti dei lavoratori e i sindacati in Svizzera. Questi attacchi sono il segno di una crisi sociale globale che si estende ben oltre la Svizzera.

 

La crisi ha un nome: si chiama «globalizzazione neoliberista». Tre decenni di ideologia del mercato, massimizzazione del profitto e profittatori hanno provocato devastazioni. Lo smantellamento sociale e le politiche dell’austerità, i mercati dei capitali scatenati, i regali fiscali ai ricchi, la privatizzazione del servizio pubblico e della sanità, la deregolamentazione e la flessibilizzazione delle condizioni di lavoro: tutto questo ha distrutto le reti di solidarietà sociale e creato un’estrema disuguaglianza sociale.

 

  • l’1% più ricco della popolazione mondiale possiede più del restante 99%;

 

  • anche nei Paesi ricchi i salari bassi e la precarizzazione del lavoro fanno aumentare il numero dei working poor;

 

  • addirittura nella ricca Svizzera, il Paese che in assoluto vanta la percentuale più elevata di miliardari e superricchi, più di mezzo milione di persone è indigente. E un altro milione è a rischio povertà.

 

Quest’estrema disparità è un terreno fertile per la politica della paura e della divisione sociale propria delle forze conservatrici, autoritarie e addirittura fasciste.

 

I prossimi anni saranno decisivi per il dibattito politico. Ci giochiamo il tutto per tutto nella lotta per la sicurezza sociale e imposte eque, nella lotta per i salari e le condizioni di lavoro e nella lotta per la parità di diritti delle donne e della popolazione migrante! Se le forze reazionarie della divisione sociale riusciranno a imporsi, un regime sempre più autoritario sostituirà l’attuale sistema in qualche modo democratico e fondato sullo Stato di diritto. Ma noi - le forze della solidarietà - possiamo proporre una via alternativa per un futuro migliore, dimostrando che la nostra lotta comune contro la discriminazione e in favore della parità di diritti conduce a una vita migliore per tutti.

 

La nostra campagna per la parità salariale delle donne è parte di questa lotta. Ormai dovrebbe essere chiaro che la posta in gioco è molto più di qualche parola nella Costituzione federale. Quando diciamo: «Parità salariale. Punto e basta!» in realtà proponiamo una scelta tra la solidarietà e la divisione sociale.

 

Questa è la lotta di tutti noi. Tutti insieme possiamo vincere. Uniti siamo forti!