Il caso italiano distrugge il mito europeo

di Marc Botenga

 

"L’inusuale intervento di Mattarella ha per il momento archiviato (o forse dovremmo dire rimandato?) la formazione di un governo giallo-verde. In che misura questo governo avrebbe portato a un reale cambiamento?

Tra quali alternative politiche possono realmente scegliere gli elettori italiani, e più generalmente gli elettori dei paesi membri dell’UE? Che strada deve seguire la sinistra?"

 

Vi proponiamo questo articolo pubblicato alcuni giorni fa sul sito di Solidaire, la rivista di analisi e approfondimento del Partito del lavoro belga (PTB), nel quale viene analizzato il programma di governo dell’alleanza Lega-M5S. Gli avvenimenti delle ultime ore confermano in buona parte quanto affermato da Marc Botenga.

 

 

“Non possiamo che consigliare di mantenere la linea attuale in materia di politica economica e finanziaria, di promuovere la crescita tramite delle riforme e di mantenere il deficit pubblico sotto controllo.” Ancora prima della sua formazione ufficiale, Valdis Dombrovskis, vice-presidente della Commissione europea, minacciava già il nuovo governo italiano. “Giocano con il fuoco, perché l’Italia è già molto indebitata. Delle azioni irrazionali o populiste potrebbe causare una nuova crisi europea”, aggiungeva Manfred Weber, il dirigente tedesco del Partito popolare al Parlamento europeo. “Se il nuovo governo prendesse il rischio di non rispettare i suoi impegni sul debito, sul deficit, ma anche sul risanamento delle banche, allora tutta la stabilità finanziaria della zona euro sarebbe messa in pericolo”, avvertiva da parte sua Bruno Le Maire, ministro francese dell’economia.

 

Delle ricette europee fallimentari

Sarebbe come prescrivere una dieta dimagrante ad un affamato. Da oltre un quarto di secolo sono precisamente le ricette europee, applicate dai governi di sinistra e di destra, che hanno spinto l’Italia sul bordo del precipizio. La liberalizzazione del mercato del lavoro che impone attualmente in Francia il presidente Emmanuel Macron è cominciata addirittura prima delle riforme Hartz in Germania. Il lavoro precario e iper-flessibile diventerà la nuova norma.

 

Certo, l’Italia è pur sempre la terza economia della zona euro. E ne è anche la seconda potenza industriale. Ma le cose cambiano. La ricercatrice italiana Marta Fana spiega che da venticinque anni l’Italia si sposta sempre più verso la periferia europea, a causa della sua progressiva sottomissione alla leadership economica di Germania e Francia. Mentre la Germania ha approfittato di questi ultimi venticinque anni per investire massicciamente nell’industria, l’Italia ha praticamente smesso di fare investimenti. Roma si è piegata interamente a tutte le direttive europee, sugli aiuti di Stato, l’euro, il deficit, perdendo così il 25% della sua struttura di produzione. Questa tendenza è stata rinforzata dalla crisi del 2008. Nel 2017, la produzione industriale italiana era sempre inferiore del 20% rispetto al suo livello prima della crisi. L’Italia, sintetizza Fana (leggi) si sta progressivamente declassando: “Non perdiamo la struttura di produzione perché le imprese chiudono, ma perdiamo la struttura di produzione nazionale perché le imprese italiane sono comprate da delle multinazionali francesi e spesso tedesche. Queste utilizzano l’Italia come mano d’opera ma spostano i centri di decisione, e la ricerca e lo sviluppo, verso i loro paesi.”

 

Dopo decenni di governance europea, i partiti tradizionali sono collassati alle ultime elezioni. La destra berlusconiana ha mancato il suo grande ritorno. L’ex-Primo ministro social-democratico Matteo Renzi, grande esempio per Emmanuel Macron, ha pagato il prezzo di tutte le sue liberalizzazioni. Dopo venticinque anni di promesse non mantenute, gli Italiani non credevano più a queste alternative. Confrontati con un tasso di disoccupazione elevato e un avvenire incerto, milioni di giovani italiani lasciano il paese per trovare lavoro a Berlino, Bruxelles o Parigi. Altri invece fanno fiducia a chi promette di rompere radicalmente con il modello europeo. Sono i populisti del Movimento 5 Stelle e l’estrema destra che hanno dato l’impressione di poter incarnare al meglio queste aspirazioni di rottura.

 

Un neoliberismo nazionale?

Tuttavia, nel loro programma di governo, i due partiti non offrono un modello sociale radicalmente diverso da quello attuale. Certo, ci sono delle misure popolari. In mancanza di un sussidio di disoccupazione, l’introduzione di un “reddito di cittadinanza” di 780 euro per due anni è popolare, soprattutto nel sud del paese. Misure come questa hanno sancito il successo della retorica dei 5 Stelle. Ma malgrado misure come questa, il programma del nuovo governo italiano fa pensare anzitutto a un “neoliberismo in un solo paese”, come lo descrive il giornalista inglese Paul Mason (leggi) destinato a ridare forza alle imprese italiane. Si tratta in effetti prima di tutto di favorire il padronato italiano, il quale sa che la lotta con i suoi concorrenti tedeschi è perduta. Non è prevista nessuna misura concreta contro il lavoro precario, per esempio.

 

Per ogni gesto “di sinistra”, ci sono tre misure forti di destra. L’introduzione di un salario minimo va di pari passo con la reintroduzione dei “vouchers” che permettono non solo di aggirare la legislazione sociale vigente, ma anche di evitare di passare da un contratto di lavoro. Il nuovo reddito di cittadinanza è accompagnato dall’obbligo di accettare certe offerte di lavoro. La messa in piedi di una banca di investimenti, per sovvenzionare le imprese private, è appaiata con l’instaurazione di una “flat tax” per la quale le grandi imprese e i super-ricchi pagheranno molte meno imposte. I mezzi promessi per la sanità saranno anzitutto razionalizzati anziché approfittare di nuovi investimenti.

 

A queste misure socio-economiche si aggiunge una matrice fortemente nazionalista e razzista. È una tecnica usata anche dal primo ministro ungherese Viktor Orban per ottenere un sostegno popolare. Alcune misure di sinistra e una buona dose di nazionalismo servono anzitutto a spingere i lavoratori a sostenere il “loro” padronato. Perché si tratta in effetti di difendere il padronato locale. Questo obiettivo fa sì che l’accordo di governo nasconda una verità molto semplice: è proprio l’alleanza tra federazione padronale e governi italiani ad essere la causa principale della crisi sociale vissuta oggi dal paese. Ma questo resta un tabù. Con lo scopo di sdoganare il padronato italiano dalle sue responsabilità, l’accordo di governo se la prende con i migranti. L’Italia avrebbe parecchie ragioni per criticare la mancanza di solidarietà degli altri Stati europei che le hanno abbandonato la gestione di una buona parte dei rifugiati del continente. I migranti sono tra l’altro le prime vittime del lavoro precario. Ma il programma di governo italiano non se ne cura minimamente e non fa altro che soffiare sul fuoco del razzismo e della discriminazione. I miranti sono sistematicamente associati, senza prove, al terrorismo e addirittura alla cattiva salute dei conti pubblici. Per far fronte a ciò, il governo propone la messa in piedi di “centri di accoglienza” per circa mezzo milione d’immigrati da rimandare in Africa.

 

Scontro con l’Europa?

Queste potenziali deportazioni di massa non preoccupano minimamente l’Unione europea. Né il fatto che un partito di estrema destra come la Lega entri in governo. Né che Marine Le Pen lo sostenga. No, è la volontà del governo italiano a rinegoziare i trattati a preoccuparla. Contrariamente alle loro promesse elettorali, i due partiti di governo non ambiscono più all’obiettivo esplicito di un’uscita dall’euro, ma il loro programma è chiaramente troppo costoso per le regole finanziare europee. Questo riflette una contraddizione in seno al padronato italiano, di cui una parte ha approfittato e approfitta ancora del mercato unico europeo, ma che allo stesso tempo vuole più sostegno al “suo” Stato. Le misure di sostegno promesse all’industria italiana dell’armamento nella competizione europea ne sono la conseguenza logica. Questo liberalismo più “nazionale” non promette niente di buono per i lavoratori. Al contrario, nella corsa alla competitività, questi ultimi saranno spinti sempre più a fare dei sacrifici per “rinforzare” l’economia. E dunque, il padronato italiano. L’assenza di misure concrete per migliorare i diritti sociali non è quindi una coincidenza.

 

Tra neoliberalismo europeo e liberalismo xenofobo italiano, delle soluzioni sono sempre possibili. Tuttavia, il rischio di uno scontro tra i due è sempre possibile. Le istituzioni europee, e i loro alleati a destra e a sinistra in Italia, faranno di tutto per far girare l’Italia al ritmo dei trattati. Nel contesto attuale, una pressione aggressiva non potrà che rinforzare il nazional-liberalismo razzista. Dalla Ungheria, alla Francia, all’Austria, all’Italia, ecco le alternative offerte dall’attuale integrazione europea: un liberalismo autoritario europeo o un nazional-liberalismo xenofobo.

 

La sfida per la sinistra italiana, e per la sinistra europea in generale, è di uscire da questa falsa scelta per imporre un cambiamento sociale che la finisca con il precariato e il declino sociale. Un progetto di sinistra che rompa con i diktat europei, non in favore del padronato nazionale, ma dei lavoratori.

 

 

 

 

 

Fonte: solidaire.org, 24 maggio 2018

Trad. it.: Damiano Bardelli