Dai narcos messicani al 1 maggio cubano passando per Managua in fiamme

Appunti di viaggio di Franco Cavalli

 

A cavallo tra fine aprile e inizio maggio sono stato per tre settimane dapprima per ragioni professionali a Città del Messico, poi soprattutto per seguire i progetti di AMCA in Nicaragua, terminando poi con una settimana a Cuba...

 ... tra l’altro per verificare lo stato di avanzamento dei progetti di Medicuba-Europa.

 

Il Messico è oramai già in preda alla febbre elettorale: all’inizio di luglio si eleggerà il nuovo presidente. A questo punto i sondaggi danno vincente Amlo, il candidato “chavista” già sindaco della capitale federale e a cui per ben due volte nel passato hanno rubato la vittoria con enormi imbrogli elettorali. Il suo terzo tentativo, come fu il caso per Lula, potrebbe essere quello buono, anche se non si possono escludere nuovi brogli elettorali. Ma proprio questa eventualità sta facendo scatenare i media della grande capitale, che lo stanno dipingendo come una brutta copia di Maduro e predicono disastri infernali in caso di sua vittoria, peggiori ancora di quanto sta capitando con la crisi economica in Venezuela.

 

Dalla sua Amlo ha una crisi economica grave, con un aumento della povertà e della disoccupazione, anche a seguito della politica anti-messicana di Trump, che sta rendendo molto più difficile l’emigrazione verso gli Stati Uniti. Sicuramente poi la rabbia contro i vicini statunitensi sta aiutando Amlo, che è stato il primo a condannare con parole di fuoco la politica di Washington. Ad ogni modo, ci possiamo aspettare tutta una serie di invenzioni e di colpi bassi dalla cricca che governa il paese: quanto capitato in Brasile contro Lula ci fa capire di cosa siano capaci le oligarchie che dominano l’America Latina.

Amlo è anche l’unico a tematizzare in modo chiaro il problema principale del Messico attualmente: quello della sicurezza. Durante la mia permanenza, i giornali scrivevano che “per fortuna la media giornaliera degli omicidi era scesa, attestandosi attorno a non più di 35 al giorno”!!! Nei 12 mesi precedenti gli omicidi hanno di gran lunga superato la cifra di 35'000 ed ormai nessuno dubita più che tra i narcotrafficanti ed il potere politico-economico del paese ci siano dei collegamenti molto stretti. Almeno altrettanto stretti di quelli che c’erano stati, a suo tempo, tra la mafia siciliana e molti politici che comandavano a Roma.

 

Il peggio è, come mi commentavano i partecipanti messicani al corso di oncologia che dirigevo, è che “ormai ci siamo abituati a questa situazione e l’avere anche una cinquantina di morti al giorno è diventato quasi normale”.

 

Durante gli ultimi due giorni della mia permanenza in Messico, soprattutto attraverso la CNN di lingua spagnola, mi arrivano notizie molto preoccupanti dal Nicaragua: disordini con diversi morti, scontri molto duri tra studenti e polizia antisommossa, immagini ripetute continuamente che fan pensare ad un iniziale guerra civile. Mi si sconsiglia di andare, alla fine decido però di partire.

 

Sull’aereo molti sono i commenti, spesso critici verso il governo sandinista. Quando l’aereo si abbassa e si prepara ad atterrare, tutti cercano di capire dagli oblò quale sia la situazione. C’è chi vede dei carri armati nelle strade, io invece non riesco a scoprire niente di particolare. All’aeroporto la situazione è più tesa del solito, i controlli più stretti: il funzionario doganale si insospettisce perché non so dire con esattezza l’indirizzo della casa di AMCA: in Nicaragua non ci sono numeri sulle strade, che quasi sempre non hanno neanche un nome. Per dare l’indirizzo si dice per esempio “30 metri al sud dalla stazione di benzina Shell che si trova vicino a Piazza di Spagna”.

 

Finalmente posso uscire. L’aeroporto e le strade sono presidiate dall’esercito, si vedono segni di incendi e di saccheggi dei supermercati, diverse strade sono disselciate perché i sassi sono serviti quale arma da lancio per i manifestanti. Qua e là ci sono ancora resti di barricate. Tutti i ristoranti sono chiusi e lo resteranno per buona parte della mia permanenza, una settimana, come pur sarà il caso per tutte le scuole. Alle pompe di benzina lunghe fila di automobilisti, che fanno il pieno, perché temono che magari il giorno dopo sarà impossibile.

 

Diversi degli alberi di plastica, che di notte vengono illuminati con vari colori e che Rossano Murillo (moglie di Daniel Ortega e vice-Presidente) ha disseminato in città, sono stati abbattuti. Questo simbolo kitsch del potere (sembra che ognuno costi 80'000 dollari) continua tutt’ora ad attirare la rabbia dei contestatori.

 

La situazione diventerà, almeno apparentemente, un po’ meno tesa verso la fine della mia permanenza, anche se tutt’ora (fine maggio), gli scontri sporadicamente continuano e si è ben lungi dal ritornare ad una normalità accettabile.

Sul posto cerco di farmi un’idea di quanto accaduto. Incontro diversi militanti sandinisti, che in lacrime si chiedono “come si è potuto arrivare a questo punto?”. Il tutto è iniziato quando il governo, senza averne discusso in parlamento o con le parti sociali, ha voluto imporre una riforma pensionistica che peggiorava la situazione, aumentando anche le quote da pagare, e obbligando anche tutti i responsabili degli uffici statali a far accettare nolens volens la decisione al personale a loro sottoposto. Una prima piccola manifestazione di alcuni pensionati, accompagnati da un paio di dozzine di studenti, viene repressa a bastonate da i gruppi della gioventù sandinista, organizzati in modo paramilitare.

 

Questo scatena la protesta dapprima nelle università e poi nelle strade, e provoca l’intervento sicuramente sproporzionato della polizia antisommossa.

 

In un secondo momento tutto viene peggiorato da bande criminali (pandilleros), che si danno al saccheggio e che sicuramente sono anche i responsabili della morte di alcuni poliziotti. Non mancano indubbiamente anche poi molte provocazioni da parte dell’opposizione, marginalizzata politicamente: pensare, come fanno alcuni circoli sandinisti, ad un intervento diretto del grande fratello di Washington, mi sembra però una scusa un po’ facile.

 

Subito i circoli oltranzisti della chiesa cattolica (che ha un peso enorme in Nicaragua: forse il popolo più cattolico di tutta l’America Latina) e del padronato organizzano manifestazioni a ripetizione contro il governo, smarcandosi quindi dal sandinismo di Daniel Ortega, che era ritornato al potere annacquando e di molto le posizioni ideologiche iniziali e facendo compromessi sul piano economico, ma anche dei diritti civili (per esempio proibendo ogni forma di aborto, anche terapeutico) proprio con la chiesa ed il padronato.

 

Poche ore dopo il mio arrivo il governo aveva annullato la riforma pensionistica e dopo qualche giorno accetta anche di aprire un “dialogo nazionale”, che però impiegherà varie settimane a partire e che tutt’ora non ha portato a grandi risultati.

 

Assolutamente inaccettabile è il fatto che anche un mese dopo questi disordini non si sappia ancora esattamente quanti siano stati i morti (30? 40?): il silenzio del governo dà naturalmente adito a tutta una serie di speculazioni, anche di tipo complottistico.

 

Riparto, con un senso di sollievo ma con un grosso peso sul cuore, non avendo un quadro chiarissimo della situazione, ma del tutto convinto che se il sandinismo non vorrà subire una sconfitta storica a vantaggio delle forze più reazionarie ed anche filo—americane, dovrà profondamente rinnovarsi e soprattutto liberarsi dal duo Ortega-Murillo, ormai diventati invisi a buona parte della popolazione, anche per una politica nepotistica e non priva di aspetti di corruzione.

 

Sbarco all’Avana, dove noto immediatamente un’efficienza migliorata nell’organizzazione aeroportuale… ormai meglio della Malpensa! Sono molto curioso perché da poco più di due settimane Cuba ha un nuovo presidente (vedi anche l’articolo di Roberto Livi in questo numero dei Quaderni). Il coordinatore dei nostri progetti di Medicuba, che vive tutto l’anno sul posto, dice che nella popolazione ci sono parecchie aspettative e che secondo lui certi piccoli cambiamenti già si intravvedono. Così per esempio l’articolo che ha descritto nel quotidiano del PC Granma, di solito abbastanza noioso e burocratico, i risultati della prima riunione del governo, ha riferito tutta una serie di particolari e di discussioni su problemi specifici, ciò che prima non succedeva.

 

Visitando poi uno dei progetti di Medicuba a Santa Clara, città dove il neopresidente Diaz Carnel è stato per 10 anni segretario regionale del PC, ho potuto verificare come egli sia tutt’ora molto popolare in quella regione, anche perché tutti gli riconoscono un’enorme impegno (lo chiamavano scherzosamente “Diaz y noche”, alludendo cioè al fatto che lavorava giorno e notte) ed una sua presenza molto poco burocratica a livello di incontri con la popolazione.

 

Scopo principale della mia visita è controllare a che punto siamo con il grande progetto di Medicuba, sia di quella svizzera che di quella europea, nel rinnovamento tecnologico dell’Istituto Pedro Kouri (IPK), che coordina tutta la sorveglianza microbiologica dell’isola. In pratica vogliamo dare a loro le possibilità, che non possono altrimenti acquisire per via del blocco economico, di avere una tecnologia che permetta loro di diagnosticare rapidissimamente qualsiasi tipo di infezione batterica o virale. L’istituto IPK è fondamentale anche per le oltre 70 delegazioni di medici ed infermieri cubane presenti in altrettante nazioni, in quanto li prepara a combattere sul posto le infezioni, per esempio l’Ebola. È questa la ragione fondamentale per cui Trump, che sta annullando tutte le mini-riforme permesse da Obama, espressamente, ha espressamente proibito a qualsiasi istituto scientifico americano di collaborare con l’IPK!

Il nostro progetto, di un costo di circa 2 milioni di euro, intende creare tre centri diagnostici, supervisionati da IPK, nelle tre principali città del paese: Avana, Santa Clara e Santiago de Cuba. Tutto sta andando molto bene e non posso che dirmi soddisfatto. Ancora di più lo sarò dopo un lungo colloquio con il Ministro della sanità Morales, appena nominato quali uno dei Vicepresidenti della Repubblica, che tra l’altro mi chiede di ritornare presto per una valutazione globale dell’efficienza dei programmi di prevenzione e di trattamento del cancro a Cuba. Una cosa simile a quanto ho già fatto per esempio in Nicaragua e in El Salvador. Anche questa richiesta del Ministro indica una nuova apertura ed uno spirito critico che in passato un po’ mancava.

 

La visita l’avevo però organizzata in modo tale da poter finalmente partecipare al mitico corteo del 1 maggio all’Avana, di cui avevo sempre solo sentito parlare in modo entusiastico. Ci si propone (ero accompagnato da Manuela Cattaneo, coordinatrice dei progetti di Medicuba Europa) di trovarci già alle 6.00 sulla tribuna degli ospiti stranieri nel bel mezzo della Piazza della Rivoluzione, per assistere alla sfilata.

Già verso le 2 vengo svegliato da musica e canti di giovani, che si stanno riunendo nelle strade della capitale per prepararsi a sfilare. Per arrivare a tempo alla tribuna, avremmo dovuto partire alle 4, già che tutti i trasporti sono bloccati, essendo le strade intasate da una moltitudine di persone festanti. Non ce la facciamo, per cui decidiamo di sfilare assieme alla delegazione di uno degli ospedali dell’Avana. Alle 7.30 in punto parla il segretario generale dei sindacati cubani, nessun altro prende la parola. Subito dopo inizia la sfilata e alle 9.30, quando noi già stiamo facendo colazione in un ristorantino, gli ultimi transiteranno davanti alle tribune.

 

Certo che trovarsi nel mezzo di almeno un milione di persone che sfilano cantando e ballando è un’impressione enorme, che uno non dimenticherà mai più. Altrettanto impressionante è il fatto che quando verso mezzogiorno rientriamo a domicilio ci rendiamo conto che tutta la città è già stata ripulita e non c’è ormai più traccia alcuna di quanto può lasciare una simile moltitudine.

 

Questa enorme festa popolare, dove non c’è neanche un’esibizione di tipo militare, mi rincuora e mi fa dimenticare l’amarezza vissuta in Nicaragua. È quindi con il cuore molto più leggero che riparto dall’Avana.