Parità salariale: "J'ACCUSE" di protesta davanti al tribunale federale a Bellinzona

di Red

 

Azione di protesta questa mattina davanti al Tribunale penale federale di Bellinzona delle Donne USS Ticino e Moesa e Coordinamento Donne della sinistra. Un “J’accuse” per denunciare gli abusi e le discriminazioni che le donne e le persone più vulnerabili soffrono ancora oggi nel nostro Paese.

 

Sono passati 37 anni dall’introduzione del principio costituzionale del salario uguale per un lavoro di pari valore e ne sono trascorsi 27 dal quel 14 giugno 1991, giorno in cui lo sciopero nazionale delle donne segnò una svolta nelle lotte femministe nel nostro Paese.

 

Ogni anno il 14 giugno rappresenta un’occasione per noi donne per mobilitarci e per accendere i riflettori su una condizione di discriminazione costante che subiamo durante la nostra vita privata e professionale. Una discriminazione che ci rende sfruttate tra gli sfruttati.

 

La nostra lotta non è un’azione solo di oggi per rivendicare i nostri diritti nel presente, ma è l’investimento per il nostro futuro, per costruire una società più giusta per noi e per le future generazioni. Siamo stanche di aspettare una parità solo enunciata ma che non arriva mai!

 

Siamo stanche di tutte le resistenze che ostacolano il nostro cammino verso l’uguaglianza sostanziale. Oggi puntiamo il dito contro i colpevoli; contro chi si ostina a non riconoscere i nostri diritti.

 

J'ACCUSE

 

Oggi NOI accusiamo. IO accuso!

 

IO accuso tutti coloro che hanno atteggiamenti e comportamenti sessisti, che mi discriminano con lo scopo di mettermi in una situazione di inferiorità.

 

IO accuso tutti coloro i quali parlano della violenza fisica, sessuale psicologica come di un problema emergenziale.

 

IO accuso la collettività che minimizza o giustifica le molestie sessuali e criminalizza le donne che denunciano gli abusi.

 

IO accuso tutti coloro che mettono costantemente in questione la mia identità sessuale a seguito del mio coming out.

 

IO accuso tutti coloro che strumentalizzano il dibattito sulle molestie sessuali deviando la discussione su argomenti xenofobi.

 

IO accuso agli odiatori del web che mi attaccano per il mio aspetto fisico e non per i miei argomenti e che utilizzano il web per disseminare odio e violenza verbale.

 

IO accuso gli uomini che monopolizzano i discorsi e mi interrompono costantemente.

 

IO accuso i media per i loro pregiudizi e per l’utilizzo di una narrazione sessista su determinati temi sociali, politici ed di cronaca.

 

IO accuso la società che mi impone dei modelli stereotipati che vogliono farmi credere che in quanto donna io debba soddisfare le esigenze di tutti ed essere perfetta a lavoro, in famiglia e nella società.

 

IO accuso il mio datore di lavoro che mi trova troppo ambiziosa e mi tratta da diva perché ho richiesto un aumento salariale. Questo accade solo perché sono donna.

 

IO accuso i datori di lavoro che mancano di trasparenza sui salari e dividono i lavoratori e le lavoratrici, rompendo le dinamiche di solidarietà e di unione tra lavoratori.

 

IO accuso il Parlamento e le istituzioni in cui le donne sono sempre troppo poco rappresentate rendendo le loro decisioni non rappresentative di più della metà della popolazione.

 

IO accuso il Consiglio degli stati che boicotta l’applicazione del principio della parità salariale attraverso vili tattiche dilatorie.

 

IO accuso i datori di lavoro che violano la Costituzione federale da 37 anni e che impediscono la realizzazione della parità salariale.

 

IO accuso il sistema di formazione che continua a perpetuare quegli stereotipi di genere che avranno un forte impatto sul futuro personale e professionale delle giovani generazioni.

 

IO accuso la società che si rifiuta di realizzare una riduzione generale del tempo di lavoro per donne e uomini, per favorire una conciliazione più sana tra lavoro e vita privata.

 

IO accuso i partiti politici che hanno respinto il congedo parentale di cui tutta la società ha bisogno.

 

IO accuso le istituzioni che continuano a non permettere un accesso egualitario alle strutture di custodia per l’infanzia, oggi un privilegio riservato solo ai più ricchi.

 

IO accuso il Consiglio degli Stati che ha adottato una modifica di legge all’acqua di rose che esclude dai controlli per la parità salariale il 99% delle aziende svizzere e non prevede sanzioni per i trasgressori.

 

IO accuso il mio datore di lavoro che mi vuole sempre reperibile e disponibile, tutti i giorni a tutte le ore, non permettendomi di conciliare lavoro e famiglia.

 

IO accuso la società che rimprovera noi donne di non saper negoziare il nostro salario, scaricando su di noi la responsabilità per essere sottopagate.

 

IO accuso la società che mi obbliga ancora a lottare per vedere riconosciuto il mio diritto alla non discriminazione e alla parità salariale.

 

IO accuso i datori di lavoro che precludono a noi donne la possibilità di carriera.

 

IO accuso la società che si complimenta con gli uomini che si occupano dei figli e restano a casa per badare a loro, quando ciò non dovrebbe più rappresentare un’eccezione.

 

IO accuso i datori di lavoro per i 7 miliardi di franchi che ogni anno mancano nelle tasche delle donne.

 

IO accuso le tavole rotonde, i convegni e i seminari nei quali non si esprimono che gli uomini, facendo passare il messaggio che non ci siano donne esperte nel campo.

 

IO accuso la Svizzera, classificata al 23° posto in Europa in materia di parità salariale.

 

IO accuso quei datori di lavoro che mi obbligano ad accettare contratti precari a chiamata o con un basso numero di ore garantite, imponendomi quella che loro chiamano flessibilità ma che per me è solo una gabbia di precarietà e povertà.

 

IO accuso i datori di lavoro che impongono dei bassi salari in quei i settori a manodopera prevalentemente femminile.

 

IO accuso i datori di lavoro che licenziano le donne in maternità, che allattano o che hanno bimbi piccoli o anziani di cui occuparsi.

 

IO accuso tutti coloro che si ostinano a dire che la disparità salariale e le discriminazioni non esistono.

 

IO accuso la società e le istituzioni che non riconoscono il valore di quel carico di lavoro ancora appannaggio delle donne che non è remunerato e non è considerato ai fini sociali e previdenziali.

 

IO accuso! NOI tutte accusiamo!

Siamo stanche e siamo in collera! Non attenderemo oltre! Siamo in tante e siamo organizzate! Siamo unite oggi come nel 1991 e non cesseremo di mettervi sotto pressione affinché l’uguaglianza sia realizzata.

 

Avanti compagne! Ritroviamoci tutte in Piazza Federale il 22 settembre! Riprendiamo la nostra voce collettiva e conquistiamo ciò che ci spetta di diritto!