La Svizzera è il paese ideale per introdurre un reddito di base

di Claudio Carrer

 

Il professor Sergio Rossi illustra il funzionamento e i benefici, sia sul piano dell’individuo sia su quello della società, di un sistema che slega il reddito dal lavoro. E pronostica: è solo una questione di tempo.

 

La crescente precarietà del lavoro, la sua intermittenza, la sotto-occupazione, la sostituzione dell’uomo con le macchine e l’inadeguatezza dei sistemi sociali attuali a far fronte alle conseguenze di tali trasformazioni in atto del mondo del lavoro: insufficienza di reddito (e quindi povertà) e distribuzione sempre più iniqua della ricchezza prodotta.

 

Questo è il contesto che fa da sfondo al dibattito sul cosiddetto reddito di base incondizionato (o universale), cioè un’indennità in denaro versata a ciascun cittadino durante tutta la vita, indipendentemente dalle sue condizioni economiche e d’impiego e senza alcuna contropartita.

 

Già oggetto in Svizzera di una votazione popolare nel 2016 (in cui l’idea è stata respinta dal 77% del popolo), il reddito di base non va confuso con il reddito di cittadinanza promesso in Italia dal Movimento 5 stelle (assicurandosi così peraltro, soprattutto nel Sud depresso, lo strepitoso successo elettorale), che è una sorta di reddito minimo garantito, devoluto a soggetti disoccupati o che vivono al di sotto di una soglia ritenuta di povertà dopo accertamento della situazione economica e in cambio di una serie di obblighi (svolgimento di lavori di pubblica utilità, ricerca attiva di un impiego, formazione professionale eccetera). Una proposta insomma con una forte componente assistenzialista.

 

Il reddito di base costituisce invece un radicale cambio di paradigma, perché slega totalmente il reddito dal lavoro e lo lega all’esistenza stessa dell’individuo. Un’utopia o un processo inevitabile? Quali i vantaggi e quali gli svantaggi? Come andrebbe finanziato e che ne sarebbe dello Stato sociale che oggi conosciamo?

 

Per rispondere a questi e ad altri interrogativi abbiamo interpellato l’economista Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia e di economia monetaria presso l’Università di Friburgo, che nel 2016 aveva sostenuto la citata iniziativa «Per un reddito di base incondizionato».

 

Professor Rossi, nella storia dell’economia quando e come nasce l’idea di un reddito di base incondizionato?

 

Questa idea ha due origini storiche. La prima si trova nel pensiero filosofico di Thomas Paine, alla fine del XVIIIº secolo, quando propose l’introduzione di una tassa sulla proprietà fondiaria con cui finanziare un fondo le cui entrate dovevano essere distribuite a tutti i cittadini a mo’ di contropartita per le disuguaglianze nell’accesso alla proprietà fondiaria. La seconda origine ha una matrice liberale in quanto Friedrich von Hayek suggerì questa idea per evitare l’instabilità dell’economia nazionale a seguito dell’esistenza di un’ampia fascia di popolazione povera. Fu poi Milton Friedman – il padre del monetarismo – a riproporre questa idea sotto forma di una tassazione negativa: chi guadagna meno di un certo reddito, deve ricevere un reddito da parte dello Stato, per eliminare la burocrazia statale dovuta alle politiche sociali.

 

In linea generale, quali sono i benefici di un reddito di base e quali eventuali distorsioni potrebbe produrre?

 

Ci sono numerosi benefici. Sul piano dell’individuo, egli sa di avere un reddito garantito a vita e può dunque dedicarsi meglio e maggiormente alle attività per le quali ha una motivazione: la formazione, il volontariato, la creazione di una piccola impresa, la cura dei figli o delle persone bisognose. Gli studenti universitari, per esempio, potrebbero evitare di dover lavorare al fine di finanziare la loro formazione, che potrebbero portare a termine più rapidamente e con dei risultati migliori. Sul piano della società e dell’economia nel suo insieme, ciò avrebbe diverse ripercussioni positive: maggiore coesione sociale, minore disoccupazione, maggiore crescita economica, con ricadute positive per le finanze pubbliche anche perché la distribuzione del reddito sarebbe meno polarizzata verso l’alto della piramide.

 

Dalle poche e sin qui brevi esperienze accumulate a livello mondiale (Finlandia, Olanda) quali insegnamenti si possono trarre?

 

Per il momento è prematuro trarre degli insegnamenti generali, ma appare utile proporre un approccio graduale, con un progetto pilota della durata di alcuni anni, magari soltanto su scala locale. Ciò permette di correggere eventuali distorsioni e di calibrare meglio sia l’importo sia le fonti di finanziamento del reddito di base incondizionato.

 

Un paese ricco come la Svizzera, con un reddito medio molto elevato e bassissimi tassi di disoccupazione, avrebbe bisogno di un reddito di base?

 

La Svizzera rappresenta la nazione migliore per introdurre un reddito di base, proprio per le sue caratteristiche economiche che consentono di finanziare senza problemi il versamento di un reddito di base incondizionato a tutta la popolazione residente.

 

Concretamente come funzionerebbe (importo, fonti di finanziamento, beneficiari ecc.)?

 

L’importo del reddito di base incondizionato deve essere legato al costo della vita e non deve disincentivare le persone dall’avere un’attività retribuita nel mercato del lavoro. Si tratta pure di incentivare le nascite versando questo reddito anche ai minorenni secondo una percentuale che può essere aumentata gradualmente fino al raggiungimento della maggiore età. Le fonti di finanziamento immaginabili sono molteplici. Si potrebbe prelevare una tassa sull’insieme del traffico dei pagamenti che avvengono in maniera elettronica, oppure imporre un prelievo sul valore aggiunto dall’attività economica prima che siano versati i redditi da lavoro e quelli da capitale.

 

Una sua introduzione come cambierebbe l’attuale Stato sociale? Andrebbe per esempio a sostituire l’aiuto sociale e le prestazioni dell’assicurazione contro la disoccupazione? Quali effetti avrebbe sul sistema previdenziale che conosciamo?

 

In linea generale, le politiche sociali rimarrebbero intatte, ma sarebbero rese più efficienti in quanto rivolte veramente alle persone bisognose, cui gli assistenti sociali avrebbero maggior tempo da dedicare, perché il reddito di base incondizionato elimina la burocrazia e la necessità di controllo per il versamento di prestazioni finanziarie legate al rispetto di condizioni spesso umilianti per le persone che necessitano di queste prestazioni da parte dello Stato.

 

Non c’è il rischio che il reddito di base diventi una sorta di elemosina e che disincentivi la ricerca di un lavoro?

 

È curioso che nei sondaggi presso la popolazione si reputi che gli altri sarebbero incentivati alla pigrizia, mentre quando la domanda riguarda la persona che risponde al sondaggio, essa afferma che con un reddito di base incondizionato continuerebbe a lavorare come prima. Non c’è in realtà alcun rischio che le persone siano incoraggiate a non lavorare, perché il lavoro è un fattore di integrazione sociale imprescindibile per il genere umano. Si tratta in sostanza di riconoscere che tutto il lavoro deve essere remunerato, compreso il lavoro domestico svolto, in prevalenza, dalle donne.

 

In che misura un reddito di base universale contribuirebbe a rendere il lavoratore meno ricattabile e dunque a combattere un fenomeno come il dumping salariale?

 

La risposta a questa domanda dipende dalle modalità di finanziamento del reddito di base incondizionato. In generale, si può affermare che nessun individuo accetterà uno stipendio inferiore al reddito di base incondizionato, ragion per cui questo reddito rappresenterà la soglia minima sopra la quale dovranno essere fissati i salari dei lavoratori e delle lavoratrici.

 

L’idea raccoglie per ora pochi consensi sia a sinistra sia nel movimento sindacale, che fondamentalmente ritengono sia più giusto garantire il lavoro piuttosto che il reddito. D’altro canto lo Stato sociale che conosciamo non è sempre in grado di garantire continuità di reddito e di diritti sociali in una realtà in cui i periodi di occupazione si alternano sempre di più a momenti di inattività. Come si spiega allora tanta resistenza?

 

Il reddito di base incondizionato impone un cambiamento di paradigma, perché, come disse Alain Berset nel 2015, si tratta di abbandonare una logica di assicurazione per dirigersi verso una logica di esistenza. Come tutti i cambiamenti di paradigma, che rappresentano una svolta epocale, anche l’introduzione di un reddito di base incondizionato spaventa e disorienta molti militanti a sinistra sul piano politico.

 

È forse solo una questione di tempo? Ritiene che presto o tardi questa idea apparentemente utopistica diventi realtà?

 

Certo. Già Oscar Wilde osservava che il progresso non è altro che la realizzazione delle utopie. Basta pensare quanti decenni ci sono voluti prima che la Svizzera introducesse il suffragio femminile o l’assicurazione vecchiaia e superstiti. Diversamente dal XXº secolo, nel quale la velocità del cambiamento tecnologico era notevolmente inferiore a quella attuale, l’automatizzazione e la digitalizzazione delle attività economiche indurranno un rapido e drammatico aumento della disoccupazione tale da far capire che solo un cambiamento di paradigma come quello legato al reddito di base incondizionato potrà risolvere i problemi finanziari cui saranno sempre più confrontate le politiche sociali attuate ai giorni nostri.

 

 

 

 

 

Quaderno 15 / aprile 2018