Condannate pure i crimini del comunismo, ma non dimenticate gli orrori del capitalismo

di Owen Jones

 

Il comunismo è tornato. O perlomeno, è tornato a dominare il dibattito politico nel Regno Unito. Giornalisti e commentatori non parlano d’altro da quando è diventato virale il video in cui l’attivista Ash Sarkar apostrofa il giornalista Piers Morgan (una sorta di Marcello Foa britannico con l’attitudine pacifica di Vittorio Sgarbi) con un memorabile “I am a communist, you idiot!” (“Sono una comunista, idiota!”)

 

Se riuscite a decifrare l’inglese con accento britannico, potete vederlo qui:

 

Grazie alla rete, Sarkar e le sue idee hanno ottenuto un’inaspettata notorietà, come testimoniato per esempio dallo spazio che riviste popolari come Elle https://www.elle.com/culture/career-politics/a22126614/girl-shouted-communist-you-idiot-piers-morgan/

e Teen Vogue https://www.teenvogue.com/story/ash-sarkar-communist-called-piers-morgan-idiot hanno dedicato all’evento. Di fronte a questa popolarizzazione delle idee di Karl Marx, tutti i principali media britannici hanno subito dato ampio spazio ai commentatori conservatori e della cosiddetta “sinistra liberal” desiderosi di ricordare i crimini del comunismo e di elogiare il capitalismo. In reazione a questo discorso a senso unico contro il comunismo ha preso la parola l’attivista Owen Jones, autore regolarmente ospitato sulle colonne del Guardian.

 

Vi proponiamo qui di seguito il suo pezzo.

Uno spettro si aggira per i media britannici: lo spettro delle opinioni negative sul capitalismo. Sin da quando l’accademica e scrittrice Ash Sarkar ha pronunciato le parole “Sono una comunista, idiota!” in diretta su una rete televisiva nazionale, la destra è in preda all’orrore. La prontezza con cui i commentatori si sono avventati sulla reazione di Sarkar per dissotterrare i discorsi della Guerra fredda è profondamente eloquente.

 

Da quando il Partito laburista di Jeremy Corbyn ha privato i Conservatori di una maggioranza alle elezioni dell’anno scorso, la destra è terrorizzata alla prospettiva di perdere la guerra delle idee che la oppone alla sinistra. L’involontario salvataggio da parte di Sarkar della visione marxista del comunismo – inteso come una società senza classi e senza stato in cui l’umanità è liberata dal lavoro salariato – dalla fusione con il totalitarismo stalinista ha spinto la rivista Elle a dichiarare che lei è “letteralmente una comunista e letteralmente la nostra eroina”. Il conservatore Daily Telegraph, da parte sua, rifletteva: “Il comunismo ha mandato milioni di persone alla morte, quindi perché dovrebbe essere figo avere una maglietta che lo celebra?” [il sito d’informazione Novara Media ha lanciato la vendita di magliette con lo slogan “I’m literally a communist” https://shop.novaramedia.com/products/literally. Stando all’opinione di Douglas Murray del conservatore Spectator, intanto, Sarkar non sarebbe meglio di una fascista.

 

Non fraintendetemi: dei regimi che si sono definiti “comunisti” – da quello di Stalin a quello di Pol Pot – hanno commesso dei crimini mostruosi. Ma per la destra, la rinascita dell’interesse per la visione del comunismo pre-stalinista di Karl Marx costituisce una presa di coscienza del collasso della propria supremazia ideologica: “comunismo” è sinonimo di decine di milioni di morti e basta. Il capitalismo, invece, è presentato come un motore di prosperità esente da spargimenti di sangue e da colpe di qualsiasi tipo.

 

Ovviamente, la storia del capitalismo è molto più complicata di così. Se volete leggere un caloroso elogio del capitalismo, non avete che da aprire il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels: il dinamismo rivoluzionario dei capitalisti, scrivevano, aveva creato “ben altre meraviglie che non le piramidi d’Egitto, gli acquedotti romani e le cattedrali gotiche”. Ma il capitalismo è anche un sistema economico zuppo del sangue di innumerevoli milioni di individui.

 

Questo, ovviamente, non scusa gli orrori dello stalinismo, il modello totalitario sviluppato e esportato dal regime di Stalin che ha privato milioni di persone della loro libertà e, in molti casi, delle loro vite. Allo stesso modo, le milioni di vite perse a causa degli omicidi e della carestia nella Cina di Mao non potranno mai essere dimenticati. Eppure questa lista di colpe del comunismo non aiuta molto i difensori del capitalismo. Secondo il famigerato Libro nero del comunismo, sciagurata opera di riferimento della destra, quasi cento milioni di esseri umani sarebbero morti per mano di regimi che si definivano “comunisti”, di cui quasi tutti vittime del regime di Mao Zedong in Cina. L’economista e premio Nobel Amartya Sen nota che tra 23 e 30 milioni di persone sono effettivamente morte in conseguenza delle disastrose politiche del “grande balzo in avanti” volute da Mao tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60.

 

Ma lo stesso Sen notava anche in un articolo del 2006 che a metà del XX secolo, la Cina e l’India avevano la stessa speranza di vita, vale a dire circa 40 anni. Dopo la Rivoluzione cinese, ha cominciato a formarsi un enorme scarto. Nel 1979, la Cina di Mao aveva raggiunto una speranza di vita di 68 anni, oltre 14 anni più lunga di quella dell’India capitalista.

 

L’eccesso di morti dell’India capitalista su quelli della Cina comunista è stimato a un orripilante 4 milioni di vite umane all’anno. Quindi perché l’India non viene usata come un esempio da manuale della natura omicida del capitalismo?

 

Il capitalismo è stato costruito sui corpi di milioni e milioni sin dalla sua nascita. Dal tardo XVII secolo in avanti, il commercio transatlantico di schiavi divenne un pilastro del capitalismo emergente. Buona parte della ricchezza di Londra, Bristol e Liverpool – un tempo il principale porto europeo della tratta degli schiavi – era basata sul lavoro di schiavi africani. Il capitale accumulato grazie alla schiavitù – si pensi al tabacco, il cotone e lo zucchero – portò allo sviluppo della rivoluzione industriale a Manchester e nel Lancashire; e diverse banche possono tutt’oggi tracciare la loro origine ai profitti tratti dalla schiavitù.

 

Anche quando la tratta internazionale degli schiavi cominciò a sgretolarsi, i soldi insanguinati del colonialismo arricchirono il capitalismo occidentale. L’India fu a lungo governata dalla Gran Bretagna, la principale forza capitalista dell’epoca: come mostrato dal libro di Mike Davis Late Victorian Holocausts, oltre 35 milioni di Indiani morirono in inutili carestie, mentre milioni di tonnellate di grano venivano esportate dal paese verso la Gran Bretagna. Si trattava non a caso di una delle principali fonti di ricchezza del capitalismo britannico, che alla fine del XIX secolo divenne addirittura la principale fonte di guadagno del paese. L’Occidente è costruito sulla ricchezza rubata ai popoli soggiogati, con immensi costi in termini umani.

 

Era il XX secolo quando l’Europa capitalista cominciò a importare gli orrori di massa che aveva precedentemente inflitto agli altri popoli. La Grande depressione – a tutt’oggi la più grave crisi del capitalismo – aiutò a creare le condizioni per lo scontento popolare che portò all’ascesa dei nazisti. Nei primi anni del regime di Hitler, le grandi aziende, impaurite dalla forza della sinistra tedesca, scesero a compromessi con il Nazional Socialismo, vedendo nei nazisti uno strumento con il quale indebolire sia il comunismo che i sindacati. Le industrie tedesche fecero immense donazioni al partito nazista sia prima che dopo la loro ascesa al potere, tra cui per esempio il conglomerato industriale IG Farben e Krupp. Diverse compagnie approfittarono del prodotto della schiavitù e dell’Olocausto, tra cui IBM, BMW, Deutsche Bank e il gruppo Schaeffler.

 

È possibile credere appassionatamente nel capitalismo, o semplicemente essere rassegnati a considerarlo come l’unico sistema fattibile, ma bisogna anche riconoscere le sue ombre e la sua partecipazione a diversi episodi terribili della storia dell’umanità. Sopprimere l’idea che ci sia un’alternativa al capitalismo, basata su principi e valori profondamente diversi, ha ovviamente una chiara funzione politica.

 

La sinistra democratica radicale ha da tempo ripudiato l’incubo totalitario, e ha riflettuto a lungo sulle sue cause. Ma quasi tutti i difensori acritici del capitalismo non si sono voluti confrontare con il passato di quest’ultimo: politici e storici di primo piano difendono ancora il colonialismo, malgrado i suoi mostruosi orrori. Non ha quindi alcun senso rivangare gli anni bui dei totalitarismi del XX secolo per criticare i socialisti democratici del XXI secolo.

 

Aspirare ad un mondo di ricchezza materiale, di libertà dallo stato, ancorato nella cooperazione, non rende qualcuno un potenziale totalitarista sanguinario. Anche se credeste che tutto ciò non potesse mai essere realizzato, questo non implica necessariamente di arrendersi al fondamentalismo dei mercati, fosse anche solo per il cambiamento climatico – dovuto a un sistema economico insostenibile – che sta devastando il nostro pianeta. Una nuova società democratica e giusta aspetta di nascere; una società che rompa definitivamente con tutti i sistemi falliti del passato.

 

 

 

 

 

 

Fonte: The Guardian, 26 luglio 2018

Trad. it.: Damiano Bardelli