La fine del progressismo latino-americano? Riflessioni sul Brasile

di Eleonora Selvatico

 

I candidati in disputa per le presidenziali del 7 ottobre annunciano le rotte che il Brasile immagina per il futuro. Lo spettro del progressismo s’aggira per il paese che il 7 aprile, dopo la campagna giuridico-mediatica per impedirne la candidatura, ha visto il favorito arrestato, allontanato dall’agone politico sull’onda dell’impeachment di Dilma Rousseff.

 

 

Il mito Lula

 

Nel contesto del Lava Jato, Lula è stato condannato a 12 anni di prigione sulla base d’informazioni d’un delatore “premiato” arricchite da presunzioni dell’emblema dell’anticorruzione e titolare di prima istanza Sergio Moro. Lula avrebbe accettato da Oas una tangente (un lussuoso triplex a Guaruja?) per il ruolo d’agevolatore d’affari tra l’impresa edile e Petrobras.

 

Contadino migrante nordestino mutato in operaio e dirigente sindacale dei metallurgici, Lula è l’incarnazione del processo descritto ne Il Capitale che ha realizzato una politica di massa di sinistra alternativa al modello stalinista, lottando contro la fame.(1) “Se l’appartamento è di Lula, il popolo può prenderlo, e se non è suo, perché è in galera?”: la casa è stata occupata dal Popolo Senza Paura, mentre i Senza Terra hanno bloccato più di 50 strade di 18 stati.

 

Dopo la raccolta d’oltre 200’000 firme per candidarlo al Premio Nobel per la Pace e la campagna “Sono Lula, sono PT”, l’adesione al PT è incrementata. L’eterogeneità dei manifestanti in veglia democratica a Curitiba rivela che il fallimento del governo progressista ha originato speranze concrete nelle lotte femministe, nere e native – che in quest’“Aprile indigeno” hanno dipinto di rosso le strade di Brasilia per simboleggiare il sangue versato nella lotta per la protezione delle terre contro l’espansione della frontiera estrattivista e denunciato l’intenzione di chiudere la Fondazione Nazionale dell’Indio.

 

 

 

I candidati corrotti

 

L’anticorruzione promulgata dalle élite imprenditoriali, politiche e religiose accostate dai mass media ha assunto uno statuto ideologico che delegittima gli esponenti dei governi progressisti sorti tra 1996 e 2003. Il modo per destituire i gruppi politici al potere senza mettere a rischio le linee del neoliberalismo è l’accusa di corruzione. Questo discorso non formula una critica al modo in cui lo Stato trasferisce le ricchezze ai grandi gruppi economici e di credito internazionali, cioè alla corruzione generalizzabile al sistema politico brasiliano – e a parte del PT – che s’origina nella necessità di comprare una maggioranza in parlamento (cf. Carta aos Brasileiros del PT e la nascita del Partito Socialismo e Libertà)(2) aggravata dall’abitudine d’arricchimento personale dei politici.

 

Il codice penale e i valori morali che nessuno rispetta sono diventati il fondamento ultimo della politica, scansando il conflitto poiché venduti e consumati come sostitutivi della “vecchia” lotta di classe(3). La giustizia della “meritocrazia” – valore del capitalismo cognitivo e meccanismo di selezione che discontinuerebbe la corruzione politica e sociale – criminalizza la democratizzazione dei diritti (come le quote etniche rivendicate negli anni ’90 dal movimento nero e regolate dalla promozione dell’uguaglianza razziale con una legge nel 2012 che non solo ha affermato l’esistenza di neri e bianchi come gruppi sociali, ma ha anche associato l’auto-dichiararsi nero come un beneficio – limitante l’accesso dei bianchi a quella preziosa risorsa che è l’istruzione di qualità)(4) e le pratiche democratiche (come la resistenza all’opera idroelettrica Belo Monte sul fiume Xingu(5), le dispute delle comunità autogestite quilombolas – frutti della resistenza alla schiavitù – con l’agroindustria e la critica alle politiche imperialiste in Angola, Mozambico e Bolivia di cui Lula s’è fatto ambasciatore promovendo le “proprie” multinazionali)(6) che anche il PT social-liberista aveva represso, percependole come minacce alla conservazione della governance.

 

Lontano dall’essere caldeggiati dalla CIA, dei corpi resistenti e subalterni si sono manifestati come ostacoli al “progresso” delle misure adottate da Rousseff per fronteggiare la recessione. Queste pratiche minoritarie dell’oltre fabbrica, centrate sulla riproduzione del “comune”, insorsero nel 2013-14 col movimento contro le tariffe dei trasporti rinvigorito dall’organizzazione qualitativa e quantitativa dei Lavoratori Senza Tetto presieduti da Guilherme Boulous, “speranza del futuro” per bocca di Lula.

 

Criticando le istituzioni emerse dalla Costituzione del 1988 come parzialmente democratiche, il precandidato “movimentista” del PSOL – che aderisce al #Lulalivre come condannò nel 2016 il golpe contro Rousseff creando il fronte unitario Povo Sem Medo – rappresenta però anche la volontà di rompere la politica di conciliazioni delle classi o riformismo debole alimentato dall’assistenzialismo del PT che, nella battaglia per l’accesso al consumo, ha appiattito ogni forma e aspirazione di vita sul modello di classe media.

 

Dando voce al conflitto distributivo con Sônia Guajajara, candidata alla vice-presidenza ecosocialista, anticapitalista e coordinatrice nazionale dell’Associazione dei Popoli Indigeni, questo progetto di riorganizzazione del campo progressista per un socialismo brasiliano mira a smantellare i privilegi, lanciando la sfida di perfezionare i canali di partecipazione democratica valorizzando l’autonomia politica di persone, pratiche e saperi di (ri)produzione sociale dei movimenti popolari che rivoltano dalle radici l’ordine istituito.

 

 

 

Oltre il Bue, la Bibbia e il Proiettile

 

Il precandidato Jair Bolsonaro del Partito Sociale Liberale propone un progetto etico-securitario che costituisce una delle sfumature del ritorno in campo politico dei militari con la destra. L’ex militare sostiene d’essere una minaccia per le oligarchie e i corrotti che distruggono i valori della famiglia, dimonstrando alla deputata Maria do Rosário che “Non ti stupro perché non te lo meriti”.

 

Se le pratiche di sinistra agiscono contro la mercificazione della società (che senza partecipazione crea forme di vita esclusivamente per il mercato), la mobilitazione di massa delle destre trova nel conservatorismo un’ideologia che naturalizza l’uso della violenza come strumento politico per intimidire gli avversari e polarizzare la situazione politica, rafforzando le proposte autoritarie d’uscita dalla “crisi”: calunnie, false notizie, aggressioni e assassinii – tutte pratiche già presenti nel ruralismo schiavista dove squadroni della morte operano storicamente a sostegno delle élites locali. Esempi del loro agire sono gli spari contro la Carovana di Lula… e il femminicidio della consigliera di Rio de Janeiro Marielle Franco, cria da Maré e sociologa diplomata in una tra le 18 università (e il centinaio di scuole tecniche) create nei governi PT?

 

La militarizzazione delle strutture di sicurezza pubblica per la “lotta al narcotraffico” del presidente Temer (accusato di corruzione) è stata una mossa più per aggraziarsi l’elettorato di Bolsonaro che per affrontare le guerre tra bande per il controllo della tratta e le milizie che, con la complicità delle forze dell’ordine, agiscono in più di 200 località.

 

Rio è “un laboratorio per il Brasile” – come affermato dal generale Braga Netto – che rende le vite nere faveladas(8) delle cavie per nuovi modelli securitari – come ha denunciato l’afro-brasiliana assassinata e non a caso corpo attivo del Nem Uma A Menos turbat* per il genocidio della gioventù nera.

 

Infatti, nelle lotte per la democratizzazione in (post)dittatura sono state le femministe nere a identificare una geografia della razza dove la bianchezza s’è distinta come processo storico-culturale (e non fatto in sé), pacchetto di risorse non “meritate” su cui contare, passe-partout d’accesso a un insieme di vantaggi sociali, economici e di status e posizione di potere strutturale(9).

 

 

 

1 Toni Negri, “Note sul Brasile. Dove va il PT? Dove vanno le lotte?”, Euronomade, 5/12/2016.

 

2 Achille Lollo, “Brasile: Il PSOL di Marielle, storia di un partito di sinistra”, Abya Yala, 28/3/2018.

 

3 Diego Stulwark, “Lula, nosotros y el problema de la corrupción”, Contratapa, 10/4/2018.

 

4 Cidinha da Silva, “La questione razziale al tempo di Lula e Dilma”, Gli Asini, nº 50, aprile 2018.

 

5 Eliane Brum, “Lula, o humano”, El País – Brazil, 9/4/2018.

 

6 Raúl Zibechi, “Lula, colpevole o innocente?”, Comune-info, 23/4/2018.

 

7 Sávio Machado Cavalcante, “La crisi brasiliana e il ruolo della classe media”, Gli Asini, nº 50, aprile 2018.

 

8 Le ondate migratorie dal nord-est verso Rio (fine XIX) portarono alla nascita d’agglomerati di case-baracche costruite illegalmente su aree non edificate e senza pianificazione, accesso a acqua, elettricità, gas, fognature, servizi sanitati e educativi statali. La loro (non)presenza è dovuta all’assenza cronica di politiche per l’edilizia popolare.

 

9 Valeria Ribeiro Corossacz, Bianchezza e mascolinità in Brasile. Etnografia di un soggetto dominante, Milano-Udine, Mimesis, 2015

 

 

 

 

 

Quaderno 16 / Giugno 2018