Nicaragua: meno fake-news e più oggettività, prego

di Franco Cavalli, Fondatore AMCA

 

Il Nicaragua è ritornato ad interessare i media purtroppo, a seguito dei tragici avvenimenti degli ultimi 3 mesi, che hanno già provocato circa 250 morti. Se si vuole cercare di capire quanto sta ora capitando e non cadere vittima di una serie di fake-news, bisogna fare un passo indietro.

 

Il Nicaragua, per la sua posizione geografica, con una lunga e ben utilizzabile costa atlantica, è sempre stato considerato dagli Stati Uniti un “cortile di casa” e usato spesso come una specie di “porta aerei” p. es. come punto di partenza dell’invasione della Baia dei Porci a Cuba.

 

Eroe nazionale in Nicaragua è Augusto Sandino, distintosi in una delle tante battaglie contro gli invasori americani e a cui si rifà il fronte sandinista (FSLN), che dopo una lunga guerra di liberazione, sconfisse nel 1979 la sanguinaria dittatura della famiglia Somoza. Arrivati al potere, i sandinisti lanciarono, in quello che dopo Haiti è il Paese più povero dell’America latina, un modello economico misto e realizzarono rapidamente la più che necessaria riforma agraria, concentrando anche molti sforzi nell’alfabetizzazione e nella sanità. Contrariamente ad altre rivoluzioni, i sandinisti, in parte legati alla Teologia della liberazione, evitarono ogni vendetta, liberando anche i peggiori aguzzini somozisti.

 

Quest’epopea creò grande entusiasmo nella gioventù occidentale e migliaia di volontari affluirono verso Managua. Ancora in piena guerra fredda, Washington reagì invece come aveva fatto 20 anni prima con la rivoluzione cubana: blocco economico e navale (condannato dall’ONU), coalizione con gli ex somozisti ed i latifondisti espropriati dalla riforma agraria e presto si arrivò all’invasione da parte dei cosiddetti “contras”, in gran parte contadini poverissimi, prezzolati, armati e guidati dalla CIA. Ne nacque un conflitto quasi decennale, che fece circa 50'000 morti, tra i quali anche due giovani volontari svizzeri, vittime di attentati terroristici dei contras.

 

Le ferite di questa guerra sono lungi dall’essere ben rimarginate e spiegano in parte la situazione attuale. Nel 1990 i sandinisti, già allora sotto la presidenza di Daniel Ortega e che per la prima volta nella storia nicaraguense avevano organizzato elezioni libere, furono sconfitti di misura, anche perché il Paese, stremato dal lungo conflitto, si lasciò convincere da Washington che promise mari e monti in caso di sconfitta elettorale sandinista.

 

Seguirono invece una quindicina d’anni di governi neoliberali che, sotto la guida del FMI, ridussero letteralmente alla fame buona parte della gente, annullando tutti i programmi sociali precedenti.

 

Nel 2007 i sandinisti, sempre guidati da Ortega, ritornarono a vincere le elezioni, grazie ad un pateracchio con la Chiesa, a cui concessero la proibizione assoluta dell’aborto, e con il padronato, rinunciando a qualsiasi intervento nella struttura economica. Nella nuova situazione geopolitica, lo spirito rivoluzionario era ormai scomparso. Nonostante ciò e contrariamente a quanto scrive Osvaldo Migotto (CdT 20.07.2018) non è vero che i sandinisti non si adoperarono per ridurre gli squilibri sociali.

 

In questi 10 anni il Nicaragua è stato il Paese centroamericano con la maggior crescita economica e la più marcata riduzione della povertà, essendo anche l’unico a garantire la gratuità dell’istruzione e della sanità, come posso testimoniare grazie alle mie visite almeno annuali nel Paese. In una regione che ha il più alto tasso di omicidi al mondo, il Nicaragua ha inoltre goduto di una situazione di buona sicurezza. Tutto ciò fu in parte possibile grazie agli aiuti finanziari del Venezuela, che ora sono evidentemente quasi scomparsi.

 

Per ciò e anche per la generale crisi economica latinoamericana, il modello orteghista ha cominciato a scricchiolare, il tutto peggiorato poi da macroscopiche pecche nepotistiche e di corruzione. Una riforma pensionistica, voluta dal FMI, e ordinata senza consultazione delle parti sociali e del Parlamento, ha fatto traboccare il vaso.

 

Il 18 aprile una piccola manifestazione di pensionati fu sciolta a pugni e schiaffi da un gruppo di giovani sandinisti. La protesta scattò allora nelle università: io arrivai proprio in quei giorni a Managua e l’atmosfera, almeno nelle strutture accademiche, mi ricordava in parte quella del ’68, anche perché prevalevano i canti rivoluzionari sandinisti. Sicuramente ci fu allora un intervento sproporzionato della polizia, come era stato nel ‘68 anche a Parigi, ciò che non poteva che peggiorare la situazione. E’ qui impossibile, per problemi di spazio, entrare nel dettaglio di quanto è capitato da allora.

 

Come AMCA (Associazione di Aiuto Medico al Centro America), assieme ad una dozzina di altre associazioni svizzere di solidarietà, che mantengono stretti legami con ampi settori della società nicaraguense, abbiamo seguito e seguiamo molto da vicino gli avvenimenti, avendo anche condannato pubblicamente il comportamento iniziale del governo.

 

Tutte le testimonianze da noi raccolte, ci danno però un quadro parecchio diverso da quello che viene presentato dai media internazionali e anche dal CdT. Per noi è evidente che il movimento di protesta è stato poi ampiamente recuperato dai settori più reazionari del clero e del padronato e che la protesta si è fatta via via sempre più violenta, spesso sfruttata da bande delinquenziali, come avviene giornalmente nel vicino El Salvador. Così il Paese è stato paralizzato per quasi due mesi da enormi barricate, spesso veri blocchi stradali, dove avveniva di tutto: dal richiedere pedaggi, alle violenze sessuali, sino agli omicidi.

 

In base ai dati più oggettivi disponibili (per esempio della commissione Paz y Verdad) si può oggi affermare che il numero dei morti da imputare al governo o all’opposizione grossomodo si equivalgono, senza contare i presunti assassinii, le cui vittime sono vive e vegete.

 

Una buona parte delle vittime è poi il risultato di regolamenti di conti risalenti al conflitto coi “contras”. In questa situazione confusa, una ben diretta propaganda internazionale sta moltiplicando le fake-news e mi limito ad un solo esempio. Il 14 luglio le agenzie internazionali diffondono la notizia che a Morrito 5 dimostranti erano stati vittime del governo. Testimonianze inequivocabili in nostro possesso dimostrano che invece si è trattato di un assalto ad una stazione di polizia (e le vittime sono tutti poliziotti) e che per ore gli assalitori hanno impedito alle ambulanze di intervenire per aiutare i feriti.

 

E di queste contro-verità, rispetto a quanto diffuso dai media, ne potrei citare molte. Fatto sta che l’opinione pubblica nicaraguense, all’inizio piuttosto favorevole alla protesta, ora, non da ultimo perché sfinita dalle conseguenze dei blocchi stradali, è tornata ad essere piuttosto dalla parte del governo. Solo così si spiega che il 19 luglio, ricorrenza della vittoria della rivoluzione sandinista, più di mezzo milione di persone l’hanno festeggiata con enormi cortei e manifestazioni in tutto il Paese, dopo che la polizia, che per lunghi periodi era stata confinata nelle caserme, aveva eliminato tutti i blocchi stradali. Da notare che sinora l’esercito non è mai intervenuto, nonostante le richieste avanzate da diverse parti.

 

Tutte le associazioni svizzere di solidarietà con il Nicaragua sono univoche nel pensare, come richiesto anche dal Nunzio Apostolico, che l’unica via di uscita dalla situazione attuale sia un dialogo costruttivo tra tutte le parti, che il duo Ortega-Murillo non può più rappresentare il futuro del Paese, contrariamente al sandinismo, le cui forze migliori sembrerebbero ora di nuovo in grado di riprendere il controllo del movimento. E’ l’unica speranza per il Nicaragua.