Dopo Putin, la Rivoluzione?

di Yurii Colombo

 

L’elezione di Putin per la quarta volta a presidente della Federazione Russa rappresenta un fatto storico. Putin venne eletto per la prima volta nel 2000, e malgrado non sia stato presidente nel quadriennio 2008-2012, di fatto e salvo evoluzioni sempre possibili, governerà la Russia fino al 2024.

 

Più di lui restò al potere nella Russia contemporanea solo Josif Stalin (1924- 1953). Per questo si può parlare di regime putiniano. Ma non solo per questo.

 

Dal punto di vista economico, durante la sua permanenza al Cremlino si è assistito in Russia a una vera e propria “rinazionalizzazione” dell’economia (non solo nel settore energetico ma anche in quello bancario, immobiliare) che ha fatto dire a molti studiosi della transizione post-sovietica che la Russia si è trasformata in un capitalismo di Stato. Secondo Simeon Djankov “dalla metà del 2015 circa il 55% dell’economia russa è nelle mani dello Stato, con 20 milioni impiegati direttamente dal governo, circa il 28% della forza-lavoro”. Per lo studioso bulgaro il processo ha avuto un’accelerazione dopo l’introduzione delle sanzioni occidentali contro la Russia: “compagnie e settori che prima dipendevano dal finanziamento all’estero ora sono costrette a farsi finanziarie dalle banche dello Stato, e in caso di costanti difficoltà la proprietà viene spostata nelle mani del governo”.

 

Il crollo dell’Urss non poteva cambiare il DNA della Russia a meno che ci fosse la sua balcanizzazione: un DNA segnato da grandi spazi e dipendenza dall’esportazione di materie prime da cui deriva un forte potere centrale, tendenzialmente autoritario.

 

Il contatto con l’Europa a partire da Pietro I, ha lentamente modificato alcuni caratteri della Russia, ma non li poteva stravolgere. L’accumulazione primitiva del capitale, per stare a Marx, fu realizzata e gestita in Russia sempre dallo Stato. Prima da quello zarista, poi da quello sovietico, ora, dopo la confusa era eltsiniana, dal regime putiniano. Per cui se si vuole comprendere la Russia dobbiamo superare la nostra visione eurocentrica.

 

Thane Gustafson ha definito il sistema putiniano, una “formula politica che mescola l’appello ideologico al patriottismo russo e una rinnovata forza dello Stato con le motivazioni dell’interesse individuale avvolte nel linguaggio del liberalismo di mercato”. La sociologa Olga Kryshtanovskaya che ha studiato l’evoluzione della classe dirigente russa ha sostenuto che Putin “cresciuto come comunista, venne a trovarsi nel mondo dei democratici. La metamorfosi delle sue idee fu quella tipica degli ex funzionari di quegli anni: sviluppò una coscienza ambivalente nella quale era accettata sia la nuova economia di mercato sia le vecchie idee della potenza russa e dell’eguaglianza socialista. Putin... divenne simultaneamente di destra e di sinistra”.

 

Ora, la Russia, nel prossimo decennio si troverà di fronte a sfide gigantesche. Certamente sul piano internazionale ma anche sul piano interno.

 

 

 

Un bilancio critico del regime putiniano (2000-2017)

 

Per provare a intuire quelli che saranno le prospettive del Paese, varrà la pena di fare un primo bilancio del regime putiniano.

 

I risultati dei primi 17 anni della sua amministrazione sono stati, per certi versi, straordinari. Come ha affermato lo stesso presidente russo nella conferenza stampa del dicembre del 2017 durante questo periodo: “Il Pil dal 2000 è cresciuto del 75%, la produzione industriale del 60%… i salari sono aumentati di 3.5 volte come del resto le pensioni… il nostro debito si è ridotto di 3 volte e le riserve valutarie sono aumentate di 30 volte…”. Nelle grandi città si è formato uno strato di middle- class: la famiglia media russa nel 2010, secondo l’Istituto di Ricerca Sociologa di Mosca, era in grado di permettersi due settimane di vacanza all-inclusive in Turchia.

 

Ma anche dal punto di vista sociale i risultati sono stati significativi: l’aspettativa di vita media dei russi è passata da 65 anni a 73 e la riduzione della mortalità infantile ha fatto passi da gigante. La piccola criminalità è calata significativamente.

 

Tutti questi successi però sono stati ottenuti in gran parte nei primi 12 anni del suo regime quando il petrolio oscillava intorno e oltre i 100 dollari al barile. Dopo di allora, la ruota a ha iniziato a girare all’indietro.

 

La crisi mondiale del 2008 ha toccato anche la Russia e poi sono venuti il calo del prezzo del petrolio e le sanzioni occidentali.

 

La politica di Putin si è dimostrata d’un tratto meno dinamica e inclusiva. La Banca Centrale Russa ha difeso poco e male il rublo sui mercati internazionali, producendo bruschi cali di reddito della popolazione. Dal 2007 al 2017 il rublo nei confronti dell’euro si è svalutato del 70, si sono ridotti drasticamente gli incentivi al piccolo-medio business, il Pil è stagnato quando non si è contratto, il potere d’acquisto delle famiglie è calato del 40%.

 

I successi della politica estera di Putin non hanno destato grandi entusiasmi nell’opinione pubblica. Se l’unificazione/ annessione dell’Ucraina è stata salutata dai russi come un’inevitabile ricongiungimento con una penisola da sempre russa, non lo stesso si può dire per l’intervento in Siria. Secondo un sondaggio del 2017 il 45% dei russi era per il ritiro delle truppe russe da quel teatro di guerra, una tendenza isolazionista già presente nella società sovietica.

 

 

 

Prospettive del putinismo

 

Il grande successo elettorale di Putin nelle elezioni presidenziali del marzo 2018 non deve trarre in inganno. Il consenso ricevuto è stato il frutto di molti fattori di cui però le manipolazioni hanno avuto un ruolo minore. Hanno giocato invece un ruolo importante nel plebiscito la capacità dell’apparato statale nel mobilitare l’elettorato e la mancanza di un’alternativa credibile a “Zar Vladimir”. Si tratta però di una fiducia condizionata.

 

Durante gli anni del boom la Russia azzerò il debito con l’estero e accumulò grandi riserve auree. Tuttavia la modernizzazione delle infrastrutture è proceduta a rilento, la corruzione e la mancanza di trasparenza del mercato sono restate pesanti zavorre mentre i clan economici continuavano a spostare le loro ricchezze nei “paradisi fiscali” rendendo la Russia uno dei paesi più affamati di capitali del mondo.

 

Per far ripartire l’asfittica economia del paese (Putin ha promesso una crescita del Pil per i prossimi anni del 3.8%) senza fare azzardi sul futuro prezzo del petrolio, la Russia ha necessità di riformare le pensioni e il fisco e attirare investimenti stranieri. E ciò finirà per produrre inevitabili tensioni sociali.

 

Ma esistono altri problemi strutturali decisivi che Putin nel suo quarto mandato dovrà prendere di petto: prima di tutto la crisi demografica e l’immigrazione. La popolazione russa nel 2017 era di soli 144 milioni. Alcuni dei motivi del declino sono noti: scarsa qualità dei servizi sanitari, alcolismo, bassi tassi di natalità. Putin non ha mai sottovalutato il problema. Nel 2012 il presidente russo ha affermato che se non ci sarà una brusca inversione di tendenza, la popolazione russa nel 2050 scenderà a 107 milioni. Per questo sono pronti programmi per incentivare le donne ad avere più figli e investimenti a pioggia per gli asili-nido, ma il problema del reperimento delle risorse non è di poco conto.

 

Il calo demografico del paese è stato per ora frenato dall’assorbimento di forza-lavoro immigrata. In primo luogo migranti provenienti dall’Ucraina (operai specializzati, badanti e babysitters) e dai paesi del Centro Asia (operai edili, pulizia delle strade e portierato). Un esercito di oltre 11 milioni di persone a cui si devono aggiungere 3.5 milioni di stagionali.

 

Putin, al contrario della destra xenofoba e purtroppo anche del Partito Comunista della Federazione Russa, è contrario alla limitazione della libertà di circolazione all’interno dello spazio territoriale ex-sovietico e ha favorito persino la concessione della cittadinanza russa ai migranti. Ma la politica di integrazione dei migranti ha fatto pochi passi avanti, lasciando aperta la possibilità nel futuro di scontri inter-etnici e di tensioni sociali.

 

 

 

Democrazia e sinistra russa

 

Con l’avvento di Putin nel 2000, i già ampi poteri del presidente furono ulteriormente accresciuti. Paradossalmente mentre si stabilizzava la situazione socio-politica, il regime accresceva i propri caratteri autoritari. Dal 2011 il diritto a manifestare è stato messo in causa da una legge che impone di chiedere l’autorizzazione alla polizia almeno con 15 giorni di anticipo. Il diritto di sciopero è di fatto riconosciuto solo in caso di mancato pagamento dei salari.

 

La Corte di San Pietroburgo a inizio 2018 ha messo fuorilegge il combattivo sindacato dell’auto perché collegato a sindacati europei come IG-Metall tedesca e FIOM italiana. Fermi ingiustificati e arresti per brevi periodi di tempo nei confronti degli oppositori politici in Russia sono la norma. E dal 2000 nel Paese sono stati assassinati oltre 130 giornalisti. Malgrado ciò definire la Russia una dittatura è una forzatura. Si tratta piuttosto di un sistema in cui autoritarismo e paternalismo producono un cocktail particolare in cui la sfera della libertà politica è sempre più confinata nel privato o nel web. Va sottolineato inoltre, particolare di non poco conto, che la democrazia nella Russia post-comunista non è nata come in Europa Occidentale a partire dalle lotte del movimento operaio ma sulla macerie del regime burocratico sovietico.

 

La sinistra russa quindi, debole e frammentata, non potrà quindi svilupparsi se non sulla base di importanti battaglie democratiche che possano aprire il campo a più ampie battaglie sociali.

 

Putin ha promesso, dopo la sua rielezione, che non si ripresenterà per un quinto mandato nel 2024. Mancando ad oggi un successore e non favorendo il sistema politico russo l’emergere di alternative o alternanze, però continua ad essere difficile immaginare una Russia post-Putin che non passi per forti tensioni. Tra le elites ma anche nella società. Quasi come se la Russia non potesse evitare a ogni cambio di fase, terremoti politici e rivoluzioni.

 

 

 

 

Quaderno 16 / Giugno 2018