Putin taglia le pensioni, ora la gente reagisce

Nostra corrispondenza da Mosca di Yurii Colombo

 

Il giorno dell'inaugurazione dei mondiali, il 14 giugno, con timing perfetto il governo russo portò alla Duma la proposta di innalzamento dell'età pensionabile (da 55 a 63 per le donne e da 60 a 65 per gli uomini). In precedenza Putin, durante la campagna per le presidenziali del 2018, aveva accuratamente evitato di affrontare la questione ben sapendo quanto tengono i russi a questa ultima vestigia del welfare sovietico.

 

La “riforma” ha provocato uno scontento generalizzato. Un sondaggio della Levada Group ha messo in luce che ben il 78% dei russi è contrario alla legge e il rating di popolarità di Putin, proprio per tale ragione, è sceso sotto la soglia critica del 50%.

 

Una insofferenza particolarmente acuta si è percepita tra le donne. Non a caso. Le donne russe vivono condizione sociale particolarmente complessa che ha radici nell'era elsiniana ma anche nella storia dell'URSS. Spesso si sposano e divorziano presto e devono procacciarsi la propria sopravvivenza e dei figli autonomamente, visto che ben pochi mariti in Russia pagano gli alimenti. A cui si deve aggiungere il cattivo funzionamento e qualità degli asili nido e dei servizi sociali in generale.

 

Risulta quindi evidente che la pensione seppur spesso non è la panacea di tutti i mali (la media nazionale parla di un assegno di 200 dollari al mese più qualche benefit) rappresenta un traguardo importante per il sesso femminile russo. Non è un caso che prima della seconda lettura della “riforma” Putin abbia voluto indorare la pillola amara con uno “sconticino” di 3 anni per le donne (non più 63 anni ma 60 sarà l'età pensionabile, o 37 anni di lavoro).

 

La proposta di innalzamento dell'età pensionabile ha risvegliato una sonnolenta sinistra russa, pressoché narcotizzata dopo il plebiscito per Putin dello scorso marzo. Manifestazioni e assemblee con la parola d'ordine “no al genocidio sociale” si sono tenute in tutto il paese in cui ha partecipato non solo il Partito Comunista della Federazione Russa ma anche il Fronte di Sinistra di Sergey Udalzov, formazioni della “nuova sinistra”, “neo-staliniste” e trotskiste. Il Partito Comunista ha dichiarato che raccoglierà le firme per un referendum contro la misura governativa mentre la Confederazione del Lavoro Russa, combattivo sindacato indipendente, ha raccolto contro la “riforma” ben 3 milioni di firme.

 

Ma malgrado queste dimostrazioni siano state le più partecipate degli ultimi anni è improbabile che riusciranno a far deragliare la proposta del governo. Rassegnazione e disillusione nei confronti della partecipazione alla vita politica allignano un po' in tutta la Russia. Tuttavia i balbettamenti di Medvedev e di Putin e le defezioni al voto di molti deputati di Russia Unita stanno a dimostrare che la presunta solidità del Cremlino è più formale che reale. In seguito alle sanzioni occidentali la divisa russa si sta sempre più indebolendo.

 

A settembre il cambio euro contro rublo ha toccato gli 80 a 1, alimentando spinte inflazionistiche e riduzione del potere d'acquisto. E a gennaio scatterà l'aumento di due punti, dal 18 al 20%, dell'imposta al consumo. In una clima di crescente preoccupazione e con una crescita economica bloccata al +1,5% malgrado il rafforzamento del prezzo del petrolio, l'inverno 2019 potrebbe portare delle brutte sorprese al regime di Mosca.