Francesco Mismirigo I Verdi del Ticino
Il modo di fare la spesa è decisamente cambiato. In Svizzera e nella maggior parte dei Paesi europei, grazie anche a sensibilizzazioni e informazioni fornite da associazioni di consumatori e dai media, il cittadino è più attento a cosa acquista, alla qualità e alla provenienza. E’ più critico.
Per non perdere clientela e guadagni la grande distribuzione ha reagito a questi cambiamenti di mentalità. E c’è stato il boom del bio, un marchio che si presta a varie interpretazioni in funzione del Paese di provenienza dei prodotti. I consumatori chiedevano più derrate alimentari locali e di stagione. E il locale è arrivato sugli scaffali, ma di fatto la globalizzazione dei mercati ha creato situazioni assurde: ad esempio del prosciutto svizzero passa più volte le Alpi su dei camion per essere elaborato prima in Austria e confezionato poi in Slovenia; della panna svizzera parte in Belgio o nelle Puglie per essere messa sotto pressione; della farina svizzera per il pane è mischiata a quella prodotta in Polonia (da dove arriva parte del pane venduto nelle stazioni di servizio).
Per quanto riguarda i prodotti di stagione la globalizzazione ha annullato le stagioni! Con la scusa di voler rispondere alle esigenze del cliente, il quale non li sognava i mirtilli con le frolle di carnevale, ecco apparire le fragole a Natale. Ma non solo: da novembre all’Epifania gli scaffali traboccano di frutta tropicale e frutti di bosco tipicamente estivi, ma prodotti (per noi) in Perù, Cile o Nuova Zelanda. In pochi anni la grande distribuzione ci ha resi dipendenti di prodotti di cui non avevamo bisogno, e ha creato una generazione che pensa che le mucche sono viola, che il latte è un liquido in scatola e che i lamponi sono come caramelle in scatole. Un mondo di consumatori disconnesso dal mondo reale dove sono prodotti gli alimenti.
Il consumatore oggi chiede condizioni di lavoro eque invece di sfruttamento per chi produce gli alimenti, e un migliore sfruttamento delle risorse, in Svizzera e all’estero. Le multinazionali e la grande distribuzione, per non deludere il consumatore promettono con slogan e marchi un mondo migliore per chi lavora la terra e alleva animali. Il cittadino ci crede. Non ha scelta. Poi bastano alcune trasmissioni TV per denunciare situazioni inaccettabili come il mare di plastica che ricopre la provincia di Almeria in Spagna dove, sotto coperture sintetiche, crescono tutto l’anno pomodori, arance e mandarini e vivono e lavorano migliaia di persone provenienti da Maghreb, Africa subsahariana o Romania; oppure come la frutta prodotta in Israele e territori palestinesi sfruttando in modo intensivo la poca acqua del fiume Giordano, lasciandone poche gocce per alimentare il Mar Morto o per irrigare i campi giordani.
Il benessere degli animali senza allevamento intensivo è già oggi una priorità in Svizzera. Malgrado elevati criteri elvetici in materia di protezione degli animali, nei negozi troviamo ancora carne e uova provenienti da allevamenti intensivi, soprattutto esteri. Spesso senza indicazione sulle condizioni di detenzione. Quindi dobbiamo esigere non solo alimenti sani, ma pure condizioni di vita e di lavoro corrette sia per i lavoratori agricoli sia per gli animali. E una giusta distribuzione dei profitti fra grande distribuzione, trasportatori, aziende agricole e lavoratori. Perché pagare 1.20 frs il cesto di fragole egiziane in dicembre è un insulto.
Nonostante le richieste dei consumatori la monocultura si diffonde e sta uccidendo la biodiversità. Spazi agricoli e foreste tropicali nel Borneo, in Amazzonia o in Malesia, necessari alle popolazioni locali, sono trasformati in immensi campi dove, grazie alla distruzione dell’ecosistema, si coltivano palme per produrre dell’olio per permetterci di gustare dei biscuits au beurre senza burro o delle Rueblikuchen più morbide. Pagandoli pochi centesimi in meno rispetto a quelli prodotti con burro svizzero, e penalizzando i contadini svizzeri.
L’iniziativa per alimenti equi vuole dunque offrire un vantaggio concorrenziale agli alimenti prodotti localmente seguendo il corso delle stagioni. È un sostegno che va a premiare alimenti freschi, sani e rispettosi dell’ambiente e del clima, e crea prossimità tra produttore e consumatore. Vuole privilegiare prodotti coltivati in condizioni salariali dignitose e migliorare il benessere degli animali.