DONBASS FRA SILENZIO E RESISTENZA

di Collettivo Scintilla

 

Era il febbraio 2014 quando – con un colpo di Stato ben accolto a Occidente – gli oligarchi filo – Ue e Nato e i fascisti di Svoboda e Pravyi Sektor sono saliti al potere in Ucraina.

Un colpo di Stato che ha sdoganato fascismo e intolleranza (una delle prime azioni dello Stato golpista è stata quella di cancellare il bilinguismo fino a quel momento vigente in Ucraina nelle sue regioni russofone) e che ha dunque obbligato le regioni di Doneck e Lugansk nell’Ucraina orientale a dichiararsi Repubbliche popolari indipendenti.

 

Quattro anni e mezzo dopo, continua una guerra sfiancante condotta dal governo di Kiev contro queste due repubbliche, nell’incertezza internazionale e nella più totale indifferenza mediatica.

 

È importante quindi continuare a rompere questo silenzio, a parlare di chi non piega la testa contro il fascismo dilagante e combatte per instaurare un mondo diverso. Ne parliamo dunque con Maurizio Vezzosi, nato ad Arezzo nel 1989, che collabora con RSI Televisione Svizzera, L’Espresso, Limes e altre testate giornalistiche. Nel 2015 ha trascorso alcuni mesi nei territori orientali dell’Ucraina insorti contro il governo di Kiev documentando con il conflitto che insanguina il Donbass. Nel 2016 ha trascorso alcuni mesi in Libano documentando il dramma della crisi siriana nelle sue ripercussioni d’oltreconfine. Nel 2017 dal Caucaso settentrionale ha documentato la radicalizzazione islamica e lo jihadismo nello spazio post-sovietico, di cui segue con attenzione le trasformazioni. Nel 2018 ha lavorato nuovamente nei territori dell’Ucraina orientale documentando la situazione sulla linea del fronte.

 

 

 

Maurizio, innanzitutto, com’è evoluta la situazione negli ultimi anni in Donbass?

 

La guerra in Donbass va avanti dalla primavera del 2014, in quanto, a seguito di una dichiarazione d’indipendenza sostenuta da un referendum popolare, l’esercito ucraino ha risposto lanciando una cosiddetta azione antiterrorismo, inviando l’esercito in queste regioni orientali. Da questo momento è iniziato un conflitto sanguinosissimo, con oltre 10’000 morti, un numero inestimabile di feriti e mutilati e un milione e mezzo di profughi. Una guerra civile che negli ultimi tre anni è andata avanti nel più totale silenzio mediatico, benché sicuramente a intensità ridotta, principalmente a seguito degli accordi siglati a Minsk nel febbraio 2015 tra Ucraina, Unione europea e Russia. Questa staticità del conflitto non ha aiutato nel dare visibilità a questa vicenda, nonostante le persone – sia civili sia militari – continuino a morire quasi quotidianamente.

 

Tutte le trattative intavolate dal 2015 a oggi si sono concluse in un nulla di fatto, giacché la situazione non è mutata, nonostante i tentativi di mediazioni di organismi internazionali. Infatti, il fatto che il governo ucraino continui a negare qualsiasi tipo di legittimità agli insorti impedisce ogni tipo di negoziazione e il raggiungimento di un compromesso effettivo. Nel conflitto ucraino – inoltre – si evidenziano frizioni profonde non solo fra lo schieramento atlantico e la Federazione russa, ma anche interne allo schieramento occidentale, soprattutto fra Stati Uniti e Germania. Tutto ciò genera una situazione drammatica sul piano umanitario e su quello economico: in Donbass, infatti, la guerra impedisce la ripresa delle attività produttive, in quanto i danni ingenti alle infrastrutture e all’approvvigionamento energetico rendono assai complesso l’arrivo d’investimenti.

 

D’altra parte, anche i territori sotto l’influenza di Kiev soffrono di una situazione economica assolutamente tragica: l’Ucraina è infatti uno dei Paesi più poveri d’Europa, in cui i lavoratori percepiscono salari fra i più bassi, un Paese che senza il sostegno degli altri Paesi occidentali e del Fondo monetario internazionale sarebbe tecnicamente uno Stato fallito. L’attuale governo – a partire dal 2014 – ha infatti investito una quota crescente della spesa pubblica nella spesa militare e, seguendo la linea tracciata dal Fondo, ha privatizzato il patrimonio pubblico, con conseguenze nefaste per la popolazione.

 

Quando si parla della guerra si tende a immaginarsela come circoscritta alle regioni orientali dell’Ucraina, quando invece le conseguenze partono sì dai territori orientali ma arrivano sino ai Carpazi, a centinaia di chilometri di distanza. Comunque sia, uno dei problemi principali per i civili in Donbass è l’approvvigionamento idrico: il governo ucraino ha infatti non di rado chiuso gli acquedotti impedendo alla popolazione di utilizzare l’acqua corrente e i continui scontri lungo la linea del fronte non aiutano in questo senso. Basti pensare che nei territori della Repubblica di Lugansk ci siano migliaia di persone che non hanno accesso all’acqua corrente praticamente dall’inizio della guerra! Questa mancanza genera chiaramente problemi sotto il profilo sanitario, soprattutto alle fasce più deboli della popolazione civile. Questa situazione continua a spingere soprattutto i giovani ad allontanarsi per lunghi periodi per cercare lavoro, in particolar modo nella Federazione russa, in quanto le possibilità di accedere a un reddito in Donbass sono basse.

 

 

A livello politico, quali sono ora i rapporti tra istituzioni ucraine e gruppi d’ispirazione fascista?

 

È molto importante sottolineare come dall’inizio delle mobilitazioni di piazza Maidan, in Ucraina si sia sviluppata una società fortemente repressiva, sia sul piano istituzionale sia para-istituzionale (formazioni di chiara matrice neonazista contigue alle attuali istituzioni ucraine). Durante le mobilitazioni sopraccitate, in una prima fase erano presenti anche gruppi e comitati della sinistra post-sovietica ucraina, ma quasi da subito sono stati estromessi violentemente dalle organizzazioni neonaziste. Tutto ciò ha condotto a una messa al bando del Partito comunista ucraino, ad esempio, sia de facto sia giuridicamente parlando.

In questo senso, con il consolidamento dell’attuale governo, non solo si è intensificata la repressione sul piano politico, ma si è andati a sistematizzare la contiguità fra le istituzioni e i gruppi di chiara matrice neonazista e paramilitare (come Svoboda e Pravyi Sektor). Molti crimini in Ucraina restano oggi impuniti e godono della tolleranza e della connivenza istituzionale: si deve infatti tener presente che le stesse istituzioni ucraine sono caratterizzate da una presenza dilagante di personaggi legati alle organizzazioni neonaziste, sia nella polizia, sia nell’esercito, sia nei ministeri. Questa manovra politica è stata possibile attraverso un revisionismo storico sistematico, in cui si è costruita una mitologia celebrativa rispetto ai collaborazionisti ucraini della Seconda guerra mondiale, i quali nella realtà si sono macchiati di atrocità indicibili contro le minoranze etniche e gli ebrei. Questa narrazione è oggi funzionale a ridurre in cenere ogni coscienza e ogni lascito del sistema socialista, soprattutto a livello culturale.

 

 

In che modo è organizzata la resistenza da parte della popolazione, sia sul piano “militare” sia su quello politico?

 

Sul piano militare, sicuramente l’appoggio che viene dato dalla popolazione agli insorti è assolutamente consistente: è difficile incontrare qualcuno che non abbia un familiare all’interno delle milizie, che sono ormai diventate delle forze armate regolare. La Russia sostiene queste compagini del Donbass, ma questo non dev’essere scambiato con una presenza e un coinvolgimento diretto in questo conflitto, in quanto se questo conflitto fosse stato caratterizzato dalla presenza regolare delle forze armate russe, difficilmente avrebbe potuto protrarsi per tutto questo tempo.

 

Sul piano politico, invece, devo fare una considerazione generale: tutte le vicende politiche, non solo dell’Ucraina, ma anche degli altri Paesi della Cortina di ferro si muovono all’ombra della disgregazione dell’Unione sovietica. Questo è un elemento di cui non si fa nemmeno menzione, ma in realtà è molto importante per capire le dinamiche della politica di tutti questi Paesi, per capire la dimensione dell’importanza di concetti quali la nazione, l’identità, il rapporto con il passato e quindi anche con il presente. Sono tutte questioni estremamente complesse che l’opinione pubblica occidentale non considera minimamente, additando le questioni nazionali come puro revanscismo, ignorando la complessità dei processi di trasformazione post-sovietica. Le vicende politiche del Donbass sono molto complesse e gran parte delle frizioni politiche corrispondono a frizioni che hanno luogo nella Federazione russa. L’elemento centrale da ricordare che una regione con una guerra in corso sul proprio territorio ha delle difficoltà serie nello sviluppare una vita politica che caratterizza un Paese in un momento di pace.

 

 

Come si vive in Donbass il fatto che il conflitto, dopo essere stato la notizia di punta di tutti i media per mesi, sia ora scomparso da tutti i radar (almeno dei grossi media)?

 

La popolazione innanzitutto è stanca della guerra, che ha dilaniato la società ucraina: famiglie intere sono state divise da un fronte, mettendo ucraini l’uno contro l’altro. Il fatto che il conflitto si stato derubricato da un punto di vista politico – prima che mediatico – dalle agende internazionali è dovuto al fatto che le principali potenze hanno preferito concentrarsi su altre questioni – come quella mediorientale -– veicolando in tal modo anche l’interesse dell’opinione pubblica. Ciò si spiega, come dicevo prima, dal fatto che manchi un compromesso concretizzabile sulla questione ucraina: sia il vertice di Helsinki, sia il summit fra Ue e Ucraina svoltosi a Bruxelles, sia il recente appoggio promesso da Stati Uniti all’Ucraina dà contezza di questa mancanza di compromesso. Tale quadro complessivo di politica internazionale è percepito perfettamente dalla popolazione, sia da quella del Donbass sia quella sotto il controllo di Kiev, in quanto complica le prospettive future dell’intero territorio e le rende fortemente incerte. L’incertezza è un sentimento assai comune in seno alla popolazione intera: in Donbass perché la fine della guerra non viene percepita come imminente, mentre nei territori sotto il controllo di Kiev perché le aspettative di democratizzazione del Paese – con l’ascesa al potere di queste forze neonaziste e degli oligarchi – sono state completamente smentite.

 

 

Per concludere, quali sono le prospettive future?

 

Salvo colpi di scena, credo che un’annessione delle regioni del Donbass alla Russia sia piuttosto improbabile nel breve-medio termine. Allo stesso modo, credo sarebbe ingenuo pensare che l’Ucraina possa continuare a sostenere una situazione del genere. Ci si trova dunque di fronte a un’impasse, mancano delle possibilità di compromesso effettive, sia nella diplomazia internazionale sia per quanto riguarda la legittimazione delle istituzioni all’interno del Paese. Il quadro è tutt’altro che volto a una prossima risoluzione. Il ventaglio delle possibilità è ampissimo, ma ciò che mi preme sottolineare è che, se la direzione politica ed economica del governo ucraino resterà quella attuale, difficilmente quest’ultimo potrà sopravvivere alle sue stesse scelte, nonostante il sostegno occidentale, soprattutto considerando che il prossimo anno vi saranno le elezioni presidenziali.

 

 

 

 

 

Quaderno 17 / Settembre 2018