Preludio alla manifestazione nazionale #ENOUGH18

Barbara Di Marco

 

“(…)Uomo e donna hanno diritto a un salario uguale per un lavoro di uguale valore.” Così dice la Costituzione federale svizzera già dal 14 giugno 1981. Dopo 37 anni la parità salariale non è tuttavia stata raggiunta, e ancora oggi le donne devono lavorare 6 giorni per guadagnare quanto un uomo in 5. A chi piacerebbe lavorare gratis ogni sabato dopo 5 giorni di lavoro, caricandosi anche gran parte del lavoro domestico e di cura dei famigliari (figli, parenti anziani)?

 

Sabato a Berna le donne (e gli uomini) manifesteranno. Le donne deplorano la decisione del Consiglio degli Stati di introdurre un controllo sulla parità salariale solamente per le aziende con più di 100 dipendenti ogni 4 anni, per un periodo limitato di 12 anni. Il Consiglio nazionale deciderà su questa modifica di legge fra pochi giorni.

 

Le donne il 22 settembre 2018 protesteranno tra le tante cose contro la decisione del Consiglio degli Stati, che ha adottato una modifica di legge all’acqua di rose, che esclude dai controlli il 99% delle aziende (solo l’1% delle aziende ha più di 100 dipendenti!) e che non prevede alcuna sanzione per chi non rispetta la parità salariale. Eppure le donne dovranno tremare per l’approvazione di quello che loro chiamano un compromesso!

 

Il Consiglio degli Stati dovrebbe essere messo sotto accusa per il mancato impegno nella difesa della Costituzione, ossia per non difendere adeguatamente i diritti di più della metà della popolazione. Con la sua proposta annacquata ha dato di nuovo ad intendere che la difesa delle donne è secondaria e che queste ultime sono cittadine di serie B.

 

Le Nazioni Unite hanno definito la disparità salariale come il più grande furto della storia. Il Consiglio degli Stati è complice del perpetuarsi di questo furto, perché evidentemente la sua pseudo proposta non può fermare la discriminazione salariale.

 

Per le donne è iniziato un anno di lotta, che molto probabilmente sfocerà in uno sciopero nazionale il 14 giugno 2019. È arrivata l’ora di dire basta!