Un Sì alla sovranità alimentare ponderato e ragionato

Cristina Gardenghi Ingegnere ambientale BSc

 

L’iniziativa per la sovranità alimentare intende promuovere maggiormente le strutture per la vendita diretta dei prodotti agricoli svizzeri vicine alla popolazione, così si potrà bypassare più facilmente la grande distribuzione, che rende i prodotti più cari grazie a margini lordi dei più alti in Europa (nel 2015 Migros avrebbe approfittato di un margine lordo del 40.2%, mentre Coop del 29.8%, come riporta il CdT in un articolo del 19 febbraio 2017).

Complici di un margine così alto i salari dei dipendenti e gli affitti più elevati rispetto al resto dell’Europa, ma anche una buona fetta di spese energetiche e pubblicitarie.

 

Dal 2000, i prezzi dei prodotti agricoli sono diminuiti del 12%, ma sono aumentati del 5% per i consumatori finali…il prezzo delle derrate alimentari non sarà per forza più alto, ma distribuito più equamente tra le diverse parti.

 

Attualmente l’agricoltore è spesso costretto a vendere il proprio prodotto sotto il costo di produzione, per poter trovare sugli scaffali del nostro supermercato preferito un prodotto finale che abbia un prezzo “concorrenziale” dopo una serie di taglia e incolla di margini. E visto che parliamo di costi e prezzi, proviamo a vedere che costi potremmo risparmiare allo Stato (che siamo noi tra l’altro), alla società, all’ambiente e al clima, se l’iniziativa verrà accettata.

 

Grazie ad un’agricoltura remunerativa, i produttori non avrebbero più bisogno di una buona parte dei pagamenti diretti stanziati dalla Confederazione di cui beneficiano oggi per arrivare alla fine del mese (nel 2015 si calcola che il 62% del reddito di un’azienda agricola proveniva dalle casse pubbliche secondo il Rapporto Agrario 2016 e nel 2017 sono stati spesi circa 2.8 mia di franchi in pagamenti diretti agli agricoltori su circa 3.7 mia di CHF spesi in totale in ambito agricolo, come riportato dalla Statistica tascabile Agricoltura e Alimentazione 2018, Ufficio Federale di Statistica). Ben inteso, i servizi ecologici resi alla società e all’ambiente sarebbero comunque retribuiti, ma il pagamento diretto non sarebbe più il principale mezzo di sostentamento di buona parte delle aziende, bensì la vendita del proprio prodotto, ciò che favorirebbe maggiormente creatività e spirito imprenditoriale degli agricoltori, e si ripercuoterebbe positivamente sulla qualità dei prodotti.

 

Grazie ad un aumento degli effettivi in ambito agricolo, si contribuirebbe ad allentare la pressione dovuta alla mole di lavoro (sempre secondo la Statistica tascabile 2018 di Agricoltura e alimentazione, i normali orari di lavoro settimanali nell’industria alimentare e nell’agricoltura e selvicoltura sono tra i più lunghi di tutti i rami economici - in media 60 ore alla settimana-), che causa la chiusura in media di 3 aziende agricole al giorno e drammi più gravi come il suicidio di 12 agricoltori vodesi tra il 2015 e 2016, come riporta Swissinfo nel febbraio 2017. Sarebbero inoltre creati posti di lavoro nel settore primario, che non nuocciono visto il tasso di disoccupazione SECO del 3.2% registrato nel 2017.

 

Per quanto riguarda il controllo di alimenti importati, gli introiti derivanti dai dazi di importazione potrebbero coprire una parte delle spese per la certificazione, non compiuta per forza dallo Stato, ma che potrebbe essere delegata con mandati specifici ad aziende che di certificazione se ne occupano già oggi, generando più posti di lavoro anche nel suddetto ambito. La sovranità alimentare, promuovendo un commercio internazionale equo e sostenibile, potrebbe essere una soluzione a lungo termine per la crisi ambientale e climatica, ma anche migratoria.

 

Prima di tutto, grazie ad una riduzione delle merci importate si ridurrebbero notevolmente le emissioni di gas a effetto serra legate ai trasporti. Preferendo derrate alimentari prodotte in modo sostenibile, contribuiremmo a migliorare le condizioni ambientali dei paesi di produzione (dalla deforestazione illegale per lo stabilimento di monoculture da olio di palma in Indonesia e Malaysia, ma anche in altri paesi tropicali come Papua Nuova Guinea, Colombia, Nigeria e in Costa d'Avorio, come riporta WWF Svizzera, alla crisi dell’acqua in Cile per la coltivazione di avocado, di cui abbiamo importato 8000 tonnellate nel corso del 1° semestre del 2018, come riporta l’Amministrazione federale delle dogane), potendo accostare un impegno ancor più concreto ai numerosi trattati e accordi internazionali sul clima e sulla protezione dell’ambiente stipulati nel corso degli anni.

 

Stessa cosa per l’esigenza di condizioni di produzione più eque e rispettose delle popolazioni locali, che creerebbero i presupposti per una situazione politica più stabile e uno sviluppo economico sostenibile nei paesi del sud e ridurrebbero quindi i flussi migratori verso il nord.

 

Per tutti questi motivi con il Sì alla sovranità alimentare il prossimo 23 settembre contribuiremo concretamente ad un mondo migliore!