"Scuola che verrà": una sconfitta pesante per il DECS

Partito Comunista

 

La decisione di non sperimentare la riforma “La scuola che verrà” è politicamente pesante! Noi l’abbiamo sostenuta, pur criticamente, perché ci siamo convinti che, nella sua ultima variante effettivamente messa al voto, la riforma contenesse elementi progressivi che meritavano di essere implementati.

Ora i vertici del DECS dovrebbero porsi qualche domanda autocritica sui propri metodi di lavoro, poiché da essi sono scaturiti parecchi solamente eufemistici "mugugni" fra studenti e docenti (cioè i protagonisti della scuola), contribuendo così ad alimentare un diffuso malcontento verso le proposte dipartimentali.

 

Il rischio è ora che il PLR e il PPD mollino il PS (che sul tema non ha brillato per distacco critico) e si buttino quindi furbescamente a destra per riciclare alcune delle proposte di UDC & Co. volte a privatizzare la scuola, a mantenere la selezione precoce e a mettere in concorrenze fra loro gli allievi e le scuole ticinesi. Questo scenario, che naturalmente non auspichiamo, andava tenuto conto anche da chi nella sinistra estremista ha fatto apertamente campagna contro la riforma, senza capire la fase, i rapporti di forza politici e dunque facendo solo un grosso favore a Morisoli & Co.

 

Il Partito Comunista ora auspica che il Consigliere di Stato Manuele Bertoli, direttore del DECS, avanzi speditamente su 4 priorità, mettendole in cantiere già prima delle elezioni:

 

1. Consultazione stabile delle associazioni magistrali e studentesche per costruire dal basso una nuova riforma complessiva della scuola obbligatoria;

 

2. Abolizione immediata dei livelli alle scuole medie e graduale estensione della figura del docente d’appoggio;

 

3. Adozione di un decreto esecutivo inerente gli aiuti allo studio volto a trasformare i prestiti in borse di studio sul modello proposto dal SISA;

 

4. Revisione totale del Piano di studio della scuola dell’obbligo con l'attiva partecipazione delle associazioni magistrali e studentesche, con l'abolizione del cosiddetto “approccio per competenze” (ereditato dagli USA).