Fate tacere il dissenso. La polizia ci sta e ci da dentro

il nostro inviato Ivan Miozzari

 

Siamo ancora al Palapenz. La presentazione delle meraviglie del Centro federale di asilo è in corso. A Gobbi, a Beltraminelli e al SEM, lo sfruttamento dei migranti fa tirare il PIL. C’è da guadagnare per tutti. Ricchi contributi della Confederazione, posti di lavoro, appalti a ditte private e così via. La promessa di una pioggia di soldi con la costruzione del campo di semi detenzione.

 

Una donna subisce una violenza. Di fronte a tutti, pubblico, autorità politiche e polizia un uomo pieno di odio aggredisce la ragazza che sta esprimendo il suo dissenso verso la politica svizzera sulla migrazione. Si saprà in seguito che l'uomo che l'ha aggredita è un municipale di Coldrerio.

 

Ho autorizzato la pubblicazione della foto che mi ritrae mentre vengo portato via con la forza dalla polizia perché ho ritenuto che la gente, i cittadini, dovessero sapere come viene declinata questa nostra illusoria democrazia. Non ho autorizzato l’accostamento della mia immagine al titolo “Quasi rissa alla serata sul centro d’asilo Pasture”. Collocandomi di conseguenza al centro della rissa. La Regione ha deciso di costruire una verità alternativa. Rsi scrive “contestatori” accanto alla foto. Equivale a una qualifica. Un po’ meglio fa il CdT che riporta il fatto quasi come è stato: un cameraman - il sottoscritto - è stato accompagnato fuori perché denunciava i modi considerati troppo bruschi usati dal municipale. Apparentemente per il giornalista che sigla l’articolo, trascinare via con la forza equivale ad accompagnare, e un atto di violenza su una donna è equiparabile a modi che qualcuno potrebbe considerare bruschi.

 

Io non sono un giornalista e non riesco a prendere le distanze da ciò che vedo per privilegiare la documentazione di ciò che accade. Sono solo un cittadino che si indigna quando ci sono palesi ingiustizie. Perché la ragazza che ha solo esercitato il diritto di parola è stata portata via con la forza? Perché il macho che ha voluto dimostrare il suo potere con un atto violento è potuto ritornarsene, appagato, al suo posto?

 

C'entra il fatto che sia un municipale e che sia un leghista? O perché è un uomo e notoriamente le donne sono causa del loro male? Nel caso ci fosse bisogno di aggiungere ancora motivi allo sciopero delle donne il prossimo mese di giugno!

 

Quest’uomo ha nel suo comune la responsabilità della sicurezza pubblica! Immaginate. O forse dipende dall’uomo grigio? Una persona che si dichiara dipendente del SEM tenta più volte di vietarmi le riprese video. Non ce la fa, deve arrendersi anche al pubblico in sala. Questo personaggio si avvicina continuamente alla polizia. E ogni volta che accade gli agenti prelevano qualcuno con la forza. Se non conoscessi la Costituzione (l’organo superiore della polizia è il Consiglio di Stato) potrei pensare che il corpo di polizia del Cantone sia agli ordini di un impiegato della Confederazione.

 

Faccio la mia rimostranza ad un agente perché il violento viene lasciato tranquillo come se nulla fosse accaduto. Ecco che arriva l’uomo grigio. Ha la sua occasione per farmi portare via. E così accade. Vengo preso di forza da due agenti che mi trascinano fuori. La forza è tale che quasi non riesco a fare dei passi. Identificazione e bullismo è ciò che mi aspetta.

 

Mentre attendo di riavere i miei documenti faccio presente all’agente che mi sorveglia a vista che devo terminare il mio lavoro. Che perlomeno dovrei recuperare l’attrezzatura, costosa e in gran parte non mia. Insisto. L’agente probabilmente pensa che debba mettere a frutto le ore di allenamento per i suoi addominali e pettorali. Dunque si avvicina e con un colpo di petto mi sbatte contro il muro. Io non reagisco e lui lo fa di nuovo e di nuovo. Gli chiedo se si senta meglio ora che ha sfogato la sua frustrazione. Sembra appagato.

 

L’attesa continua e nel frattempo in sala ci sono altre contestazioni. Si sente il boato del pubblico rissoso. Una ragazza è trascinata fuori. Un poliziotto la tira a destra per il braccio, l’altro agente la tira a sinistra. Lei è sofferente e io intervengo. Chiedo di fare piano, di fermarsi, non sono l’unico, è un coro di proteste per la brutalità. Ad un agente scatta qualcosa nella testa. Mi sbatte contro la vetrata. Ne arrivano altri tre.

 

Mi immobilizzano e mi storcono le braccia dietro la schiena per ammanettarmi. Chiedo di fare con calma perché non faccio opposizione. Dico loro che mi lascio ammanettare. Non serve, ormai gli è partito lo schizzo. Sembrano agire come un branco, con un proprio codice, un metodo che fa astrazione dalla situazione e va in automatico. Ho ancora male al gomito. Passerà.

 

Mi portano dietro l’edificio, in una zona al buio. Comincia il teatrino del poliziotto buono. Con una certa dose di paternalismo e comprensione mi dicono che mi tolgono le manette se mi calmo. Io sono agitato per la situazione. Per la violenza che sto subendo. Spiego che mi passerà l’ansia dal momento che smetteranno con il trattamento. Mi viene fatto presente che ho superato i cinquant’anni e dunque non dovrei più fare certe cose. Certe cose. Forse si riferiscono alla pace dei sensi. Alla mia età parrebbe disdicevole non aver perso un certo senso di umanità. Via le manette mi viene imposto il divieto di rientrare.

 

Poi spiegano. Possiamo condividere le sue motivazioni ma noi riceviamo ordini. Dobbiamo eseguire gli ordini. Qualunque essi siano aggiungono rispondendo alla mia domanda.

 

Sono all’esterno e vedo portare nell’atrio altre persone. Qualcuno lasciato con calma avviarsi da solo, qualcuno trascinato con veemenza. Una ragazza mi riferisce di essere stata sollevata di peso e portata fuori a testa in giù, con il vestito ripiegatosi sulla testa a mostrare le mutande alla platea. E dei colpi ricevuti intanto sulla pancia. Non lo sa, non ha potuto rendersi conto. Forse calci.

 

Penso che si sia trattata più che altro di un’azione molto goffa degli agenti. Almeno lo spero. Le cose sembrano tornate alla calma dunque chiedo di poter recuperare l’attrezzatura. Sono preoccupato. Se qualcuno urtasse il cavalletto i danni potrebbero essere ingenti. Insisto e chiedo ai poliziotti di farmi passare. Ricevo una spinta da tergo da uno di loro. Frano in avanti con le mani che istintivamente si preparano ad attutire il colpo e mi ritrovo appoggiato al poliziotto di fronte. Ho messo le mani addosso ad un poliziotto, secondo lui. Chiedo se è questo il metodo usato per costruire un reato.

 

Adesso basta. Urla un tale con i gradi gettandosi su di me. Mi afferra la gola affondando il pollice sotto la mascella. Mi spinge fuori. Non voglio reagire e con quella presa forse neppure posso. Mi porta a sbattere contro il muretto basso all’esterno del Palapenz. Perdo l’equilibrio. Non cado perché la sua presa è ancora stretta. Quando mi restituisce il mio corpo cominciano le minacce.

 

Ti spaccherei la faccia se potessi. Urla fuori di sé, totalmente privo di autocontrollo. Vieni qui che te la faccio vedere. Un atteggiamento quantomeno infantile. Siamo a meno di un metro di distanza quando mi urla in faccia questa provocazione. Cerco di restare tranquillo. Lui insiste. Fatti avanti. Gli dico che è facile per lui, indossa il blu, che qualunque cosa accada sarò io a commettere reato. L’agente scalmanato si strappa allora il grado dal velcro sul petto e lo getta per terra. E riprende ad urlare. Adesso va bene? Gli dico che dovrebbe vergognarsi. Il resto del branco lo circonda limitandogli i movimenti. Lo convincono a desistere. Mentre si allontana io pretendo che i colleghi lo identifichino. Che lui si identifichi. Spara un numero di identificazione, cinquezeroseicinque, che ha tutta l’aria di essere un’invenzione istantanea. Poi abbandona il luogo in furgone.

 

Ho atteso fino al termine. Ho atteso che i convenuti si bevessero il bianchino di rito. Forzando un po’ le cose, ho recuperato le apparecchiature e tutta l’attrezzatura, soprattutto grazie al prezioso aiuto di un cittadino.

 

Non potendo intervistare Gobbi mi accontenterò del primo qualunque, anche fosse di scarsa caratura intellettuale e dialettica. Mi capita Robbiani. Prima rifiuta di rispondere e seccato mi spintona con entrambe le mani. Un signore. Forse si rende conto che potrebbe averla fatta fuori dal vaso, un’altra volta. Quindi si calma e si presta alle domande pur avviandosi frettolosamente all’auto. La Lega contesta il CAF. La lega promuove e sponsorizza il CAF. Mi può spiegare? È una farsa o è schizofrenia? Io difendo i cittadini del mendrisiotto. L’onorevole Gobbi fa il suo lavoro. Non ho capito.

 

Serata alla fine. Accompagno per un tratto le persone che sono state estromesse per raccogliere le loro impressioni. Scatta un dispositivo di sicurezza. Sei o sette agenti ci seguono a distanza schierati su un largo fronte. Forse approfittano per esercitarsi. Forse ci ritengono pericolosi. La seconda ipotesi sembra più probabile. Durante la breve sosta in un piazzale, dove ascolto il commento su questi eventi, la pattuglia della cantonale passa a cadenza di un minuto. Nessuno è tranquillo. Come potrebbe?