L’Africa impestata da Dirty Diesel, soprattutto svizzero

di Franco Cavalli

 

Nel settembre del 2016 Public Eye (l’ex Dichiarazione di Berna), aveva pubblicato una documentazione molto rigorosa su una pratica scandalosa: quella di multi trust petroliferi, che vendono all’Africa prodotti assolutamente invendibili in occidente e che ne stanno avvelenando l’aria e l’ambiente in generale.

 

Si tratta del cosiddetto “Dirty Diesel”, un miscuglio di diesel e di petrolio, arricchito da una serie di sostanze tossiche, prodotte molto a buon mercato. Il risultato è che questo Dirty Diesel satura l’ambiente di una quantità enorme di polveri fini e presenta un tenore di zolfo talvolta 1’000 volte superiore ai limiti accettati in Europa.

 

Coloro che sono addetti a queste pratiche criminali parlano di “qualità africana dei prodotti petroliferi”. L’indagine di Public Eye aveva purtroppo sollevato poco interesse ed i circoli governativi, anche in Svizzera, avevano fatto spallucce, attribuendo la denuncia ai soliti ambientalisti esagitati.

 

Ora (vedi documentazione apparsa in Le Monde, 23 luglio 2018) il governo olandese ha pubblicato un rapporto ufficiale, pensato soprattutto per le autorità di Bruxelles, e che si basa su dei controlli a tappeto effettuati al porto di Rotterdam, da cui parte più della metà dei prodotti petroliferi verso soprattutto i paesi dell’Africa occidentale. Questi controlli hanno confermato completamente quanto aveva già denunciato Public Eye. Interessante è che nel rapporto si indicano una decina di giganti della vendita petrolifera, tra i quali soprattutto gli svizzeri Vitol, Gunvor e Glencore. Quest’ultima è da diverso tempo sotto i riflettori, per una serie di misfatti, non solo in questo settore ma anche in quello dell’acquisto e della gestione di vari tipi di miniere in molti paesi africani. Ultimamente la giustizia americana l’ha denunciata per una serie di scandali di corruzione avvenuti soprattutto in Nigeria.

 

Secondo la documentazione olandese la maggior parte di questi “mixaggi”, che diluiscono il tenore di benzina normale ed arricchiscono il Dirty Diesel di una serie di sostanze tossiche (dal manganese al benzene) avvengono o nei porti di Rotterdam e di Anversa o talora in alto mare, per sfuggire ai controlli delle agenzie statali.

 

Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità soprattutto nelle megalopoli africane c’è una crescente ed importante mortalità dovuta all’inalazione di un’alta concentrazione di polvere fini e di prodotti tossici presenti nell’ambiente.

 

 

All’imperialismo classico, che si concentrava soprattutto sul controllo delle materie prime, si aggiunge ora anche questa nuova forma, basata sull’avvelenamento dell’ambiente nel quale vengono scaricati prodotti invendibili qui da noi. Lo stesso si può dire anche dello smercio di una grande quantità di sigarette ad alto contenuto tossico, che non possono ormai più essere vendute nei paesi più ricchi del mondo. Poi potremmo anche allargare il discorso anche al lavoro minorile o a quello a basso costo usato dalle multinazionali, che delocalizzano la loro produzione in paesi poveri, onde poter importare verso i paesi ricchi prodotti che risultato quindi molto meno cari di quanto sarebbe il caso se venissero prodotti qui da noi.

 

 

L’imperialismo quindi cambia il pelo, ma non il vizio. E poi c’è ancora chi, come i fascio-leghisti, osa sostenere non esserci ragione alcuna che possa spiegare le ondate migratorie dall’Africa verso l’Europa!

 

 

 

 

 

Quaderno 17 / Settembre 2018