Un esempio di autogestione al femminile

di RedQ

 

Visita ai campi profughi dei curdi fuggiti da Afrin. Intervista a Sylvia Hauffe*.

 

 

Alla fine di maggio lei è stata con una delegazione femminile a Shahba nel Nord della Siria. Lì vivono centinaia di migliaia di curdi, scappati in marzo davanti all’aggressione delle truppe turche e jihadiste. Che situazione ha trovato?

 

A questi campi profughi arrivano sempre più curdi in fuga davanti all’aggressione turca, per cui c’è oramai un grosso problema di spazio. Molte persone vivono anche nei villaggi vicini, in case mezze distrutte e bombardate. Sono tutte vittime della guerra di annientamento di Erdogan, che ultimamente ha addirittura annunciato di voler “ripulire” anche la regione di Shahba dai curdi. Come ha fatto a Afrin, vorrebbe impiantare anche lì islamisti e rifugiati turchi.

 

 

 

Che prospettive vede l’organizzazione femminile Kongreya Star per questi rifugiati?

 

Queste donne, che dirigono l’amministrazione autonoma sul posto, sono molto esperte, perché avevano già fatto un lavoro simile ad Afrin, dove avevano integrato nella loro comunità persone fuggite da Aleppo e da altre parti della Siria. In poche settimane hanno organizzato a Shahba un sistema funzionante di canalizzazioni, latrine e docce, garantendo anche il rifornimento di acqua, elettricità e cibo. Già ad Afrin avevano organizzato scuole e vari corsi di formazione, ciò che stanno facendo anche a Shahba. Molto attive sono le donne del comitato di salute pubblica. Anche coloro che non conoscevano ancora questo tipo di amministrazione autonoma, sono state rapidamente integrate.

 

 

 

Nel vostro rapporto dite che la gente in questi campi profughi si sente dimenticata dal mondo. Come mai?

 

Le grandi organizzazioni di aiuto internazionale possono cooperare solo con strutture statali e la Confederazione democratica del nord della Siria non è riconosciuta, per cui gli aiuti arrivano solo dai cantoni Rojava, Kobané e Cizire. La mezzaluna rossa curda è riuscita a trafugare da Afrin, in parte da strutture già bombardate, medicamenti e strumenti sanitari, che ora vengono usati sul posto.

 

 

 

Kongreya Start si batte ancora per la partecipazione delle donne?

 

Proprio perché la situazione in questi campi è peggiore che altrove, le donne hanno bisogno di organizzarsi. Ci sono strutture parallele e c’è addirittura un sistema consiliare riservato alle donne. Molti di coloro che sono scappati da Afrin si fermano qui, perché sperano sempre di poter presto ritornare, anche se si preparano a dover magari difendere in qualche modo anche questi campi.

 

 

 

Che notizie si ricevono da Afrin ormai occupata?

 

Da lì non entra e non esce nessuno, a meno di non comperare un salvacondotto per 1’000 dollari. La situazione è particolarmente brutta per le donne, che possono ora circolare solo a capo coperto: tutto viene ora islamizzato, nelle scuole si insegna ormai solo il turco. Erdogan ha ricostruito una specie di consiglio comunale, dove sono rappresentati i jihadisti e quei curdi, che già in passato si erano opposti all’organizzazione autonoma del PYD. Sul posto sono rimasti ad ogni modo solo o coloro che non ce la facevano a fuggire o chi si illudeva che la situazione non sarebbe poi stata tanto brutta.

 

 

 

Cosa può fare la sinistra per impedire che gli invasori distruggano ulteriormente il progetto progressista della Rojava?

 

Purtroppo i movimenti extraparlamentari non realizzano a fondo che lì c’è un’utopia di sinistra, ormai in parte già realizzata, che deve essere difesa. Dobbiamo batterci soprattutto per meglio informare l’opinione pubblica su quanto sta capitando, mentre noi dovremo continuare a mettere sotto pressione il governo tedesco.

 

 

 

 

 

*Sylvia Hauffe è collaboratrice accademica della parlamentaria (Die Linke) Sylvia Gabelmann

 

** Intervista pubblicata nella Junge Welt, 16 luglio 2018. Tradotta dalla Redazione dei Quaderni, con autorizzazione da parte del giornale e dell’autrice.

 

 

 

 

 

Quaderno 17 / Settembre 2018