Jeremy Corbyn, un modello per la sinistra ticinese

di Damiano Bardelli

 

In un’Europa in cui i partiti socialdemocratici inanellano una batosta storica dietro l’altra, il successo vissuto dal Partito laburista britannico non può che sorprendere.

In barba alle previsioni catastrofiche di analisti ed “esperti” di vario genere, da quando ha svoltato a sinistra sotto la guida di Jeremy Corbyn il Labour è tornato ad essere un serio contendente al governo e, cosa ancora più importante, è andato ad erodere il bacino elettorale della destra populista, invertendo così una tendenza che altrove pare inarrestabile.

 

Questo successo fa ovviamente gola alle altre formazioni della socialdemocrazia europea: le innovazioni amministrative introdotte dalla direzione laburista, come l’informatizzazione delle campagne e l’utilizzo dei social network, vengono seguite con estremo interesse, e a ogni tornata elettorale ci si affretta a riprendere gli slogan di Corbyn nel tentativo di sfruttarne il brand sul mercato elettorale.

 

Gli stessi partiti socialdemocratici europei non sembrano però disposti a fare un lavoro di autocritica sul piano dei contenuti – discorso che vale anche per il PS, sia a livello nazionale che cantonale. Eppure, per chiunque volesse “fare come Corbyn”, la risposta sta proprio nel cambiamento radicale avvenuto negli ultimissimi anni nella linea politica dei laburisti. A ricordarlo, è lo stesso Corbyn: “di elezione in elezione, gli elettori hanno dimostrato di non credere che i partiti socialdemocratici rappresentino una reale alternativa,” ha ammonito i suoi omologhi in occasione di un incontro organizzato all’Aia lo scorso luglio. “Dopo un decennio di austerità a seguito della crisi finanziaria, di anni di stagnazione della qualità di vita e di aumento dell’insicurezza, la classe lavoratrice non è più disposta ad accettare le stesse politiche” (“Corbyn Tells European Social Democrats: ‘Reject Austerity and Neoliberalism or Voters Will Reject You’”, The Independent, 5 luglio 2018).

 

In linea con questo pensiero, il Partito laburista ha deciso di rompere in modo chiaro e netto con le logiche neoliberali a cui la stessa socialdemocrazia si è piegata negli ultimi trent’anni. Sin dai tempi del “tournant de la rigueur” inaugurato da François Mitterand nel 1983, i governi socialdemocratici non hanno infatti rappresentato una reale alternativa alla destra liberale e hanno anzi partecipato attivamente allo smantellamento dello stato sociale, alla deregolamentazione del mercato del lavoro e alla liberalizzazione dei servizi pubblici. Oltre allo stesso Mitterand, si pensi per esempio a Schröder e ai governi della Grösse Koalition in Germania, ai governi del centro-sinistra in Italia, da D’Alema a Prodi a Renzi, al recente quinquennato di Hollande in Francia, o ancora agli anni di Tony Blair alla guida del Regno Unito, macchiati anche dal criminale intervento imperialista in Iraq a sostegno degli Stati Uniti di George W. Bush.

 

Rompendo con il passato recente, il Partito laburista ha ridato centralità ad alcuni concetti classici del pensiero marxista, tra cui in particolare la lotta di classe. Ogni velleità di compromesso con il capitalismo, riconosciuto come un sistema economico non riformabile, è stata quindi abbandonata, e il partito è tornato a difendere gli interessi di tutti coloro che ne subiscono il funzionamento, vale a dire i lavoratori e la classe media sempre più impoverita, ma anche i piccoli imprenditori e chiunque ruoti attorno alle piccole e medie imprese.

 

In piena coerenza con il contesto storico contemporaneo, non ci si è quindi infantilmente intestarditi sulla lotta tra “proletari” e “borghesi” di cui era stato testimone Marx verso la metà del XIX secolo, ma si è riconosciuto che il capitalismo finanziario implica degli interessi divergenti e conflittuali tra i pochi che ne traggono beneficio e la maggioranza della popolazione che invece ne fa le spese, e che questo conflitto non può essere risolto con dei compromessi tra le parti in causa. Andando ben oltre il ritorno a Keynes auspicato dalle correnti di sinistra degli altri partiti socialdemocratici europei, con Corbyn i laburisti sono tornati a proporre un discorso di alternativa al capitalismo, denunciato in quanto insostenibile sia sul piano umano che sul piano ambientale (denuncia, sia ricordato en passant, con la quale si è schierato anche Jean Ziegler in una lunga intervista pubblicata lo scorso 21 giugno sul quotidiano romando Le Courrier).

 

Che insegnamento trarre, nel nostro piccolo, dal successo di Jeremy Corbyn? La sinistra non può limitarsi a difendere lo status quo, né tanto meno può accettare compromessi al ribasso con lo scopo di raddolcire le ingiustizie del sistema economico nel quale viviamo. Anzi, deve avere il coraggio di riconoscere che il capitalismo implica per sua stessa natura un conflitto di classe e deve schierarsi con chi oggi ne esce sconfitto. Se la sinistra non tornerà a difendere i più deboli e a proporre un modello economico alternativo al capitalismo, chi subisce lo stato attuale delle cose smetterà di credere nell’utilità del processo democratico e nel peggiore dei casi si accoderà alle sirene della destra populista, con conseguenze catastrofiche.

 

Bisogna al contempo essere realisti e riconoscere che tale cambiamento non potrà mai avvenire all’interno del PS. Nel Regno Unito, ciò è stato possibile (e necessario) semplicemente perché il sistema elettorale vigente, il cosiddetto “first-pastthe-post”, implica di fatto un sistema essenzialmente bipartitico, per cui chiunque volesse portare avanti con successo delle lotte di sinistra e ambientaliste deve necessariamente militare nel Partito laburista. Il sistema proporzionale che conosciamo in Ticino e in Svizzera, invece, favorisce il multipartitismo e lo sviluppo di formazioni alla sinistra della socialdemocrazia, la quale è di conseguenza portata ad abbracciare posizioni più omogeneamente moderate e centriste, come avviene nel resto d’Europa. E non per niente nel PS ticinese non si vedono cambiamenti di rotta all’orizzonte, adesso che è passata l’illusione legata alla presidenza Righini.

 

L’unica soluzione nell’immediato è quindi quella di coagulare chi si oppone al sistema economico attuale in una nuova piattaforma elettorale, aperta e plurale, che dia forza alle rivendicazioni degli ambientalisti e della sinistra radicale, oggi indebolite dalla loro frammentazione. Una piattaforma in cui la base del PS sia la benvenuta, ma che non abbia nulla a che fare con gli organi dirigenziali socialisti. Perché l’istituzione PS, ingabbiata nelle logiche di gestione dello status quo, impedisce di far germogliare il sogno di una società liberata dal capitalismo che assicurerebbe alla sinistra ticinese un futuro di successi, sulla scia di quello costruito da Jeremy Corbyn.

 

 

 

 

 

Quaderno 17 / Settembre 2018