L’iniziativa dell’UDC è un insulto alle vittime dell’amianto

di Red

 

Con il solito senso del marketing l’hanno chiamata “iniziativa per l’autodeterminazione”. Ma in caso di sua accettazione in votazione il prossimo 25 novembre, la Svizzera diventerebbe, assieme alla Bielorussia, l'unico paese nel quale i cittadini non potrebbero più appellarsi alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU).

Alcuni cittadini svizzeri, dando prova di molto coraggio, in passato si sono rivolti alla CEDU, portando al miglioramento della nostra legislazione. È il caso della Signora Renate Moor. Suo marito è morto a causa di un cancro ai polmoni dovuto all’esposizione durante il lavoro a sostanze nocive come l’amianto. La testimonianza è tratta dal sito “fattore di protezione D” (https://meine-geschichte.schutzfaktor-m.ch/it). Il sito riporta vicende di svizzeri che si sono battuti per il riconoscimento dei propri diritti. Diritti che non sono scontati, nemmeno in Svizzera.

 

Anni di lotta per ottenere giustizia per le vittime dell’amianto.

 

Sul letto di morte di Hans Moor, la moglie e le figlie giurarono che avrebbero lottato per ottenere giustizia ad ogni costo, facendo anche ricorso, qualora necessario, alla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’eredità di Hans Moor è proprio questa lotta perpetuata con tenacia della sua famiglia per conto di tutte le vittime dell’amianto. Morì nel novembre del 2015 all’età di 58 anni, a causa di un cancro ai polmoni dovuto all’esposizione durante il lavoro a sostanze nocive come l’amianto.

 

La morte avvenne a seguito di decine di anni di lavoro presso l’azienda costruttrice di auto di Oerlikon prima BBC, poi ABB e più recentemente Alstom, dove venne a contatto con la pericolosa sostanza. «Fino al 1978 mio marito ha installato turbine in tutto il mondo, respirando grandi quantità di amianto. Non gli sono mai stati spiegati i pericoli dell’amianto, nonostante chi era responsabile ne era a conoscenza», racconta la vedova Renate Howald Moor. La diagnosi della malattia mortale arrivò un anno e mezzo prima della sua morte. Spese il tempo rimanente per querelare la Alstom, per un indennizzo di 200'000 franchi.

 

«Non è mai stata una questione di soldi, ma piuttosto di un principio. Ovvero il fatto che non solo i più deboli, ma anche i più forti devono prendersi carico dei loro errori», spiega Renate Howald Moor. Quando il tribunale del lavoro di Baden e la Corte d’appello di Aargau rifiutarono il suo ricorso, Hans Moor era ormai già deceduto. Il motivo risiedeva nel fatto che il caso era caduto in prescrizione nel 1988, dieci anni dopo l’ultimo contatto con la sostanza nociva. Questo nonostante il fatto sia stato clinicamente provato che gli effetti dell’amianto si manifestano solo dopo venti o quarant’anni. «Come può cadere in prescrizione una cosa di cui nessuno era conoscenza?», si chiede la famiglia di Hans Moor.

 

Mantenendo la loro promessa la famiglia ha portato il caso al Tribunale federale. Nel 2010 il tribunale ha deliberato a sfavore della famiglia Moor, attenendosi e confermando il breve tempo di prescrizione. Il Tribunale federale afferma a questo proposito che si vuole evitare che le aziende vengano tutto ad un tratto accusate per danni quando è ormai difficile risalire ai fatti e ai documenti. «Il verdetto suggerisce quindi che le aziende vengano prima della sicurezza dei lavoratori», afferma Renate Howald Moor.

 

La famiglia Howald Moor si è rivolta alla Corte europea dei diritti dell’uomo per rivendicare il diritto a un processo equo. Il cammino per Strasburgo è stato premiato e dopo nove lunghi anni di perseveranza è stata data loro ragione. Nel 2013 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha deliberato che la sentenza del Tribunale federale sul caso Moor infrange il diritto a un equo processo, garantito dall’articolo 6 della Convenzione. La procedura adottata dal Tribunale federale, che stabilisce un breve periodo di prescrizione, impedisce categoricamente un equo processo. Secondo il verdetto di Strasburgo il Tribunale federale deve quindi riaprire il caso. Questa decisione dà a migliaia di vittime dell’amianto e alle loro famiglie la speranza che le aziende vengano riconosciute responsabili e che paghino i danni causati.

 

La lotta però non è ancora terminata. La famiglia Moor, dopo dodici anni di perseveranza, aspetta ora il verdetto del Tribunale del lavoro di Baden. Sulla base della decisione di Strasburgo il Tribunale federale ha dal canto suo ordinato la riapertura del caso per una rivalutazione. La domanda di prescrizione potrebbe quindi non esser più considerata valida, bisogna ora però stabilire se vi è una base per il risarcimento danni richiesto da Hans Moor prima della sua morte. «Finalmente siamo stati presi sul serio. Prima della decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo, ci è stato semplicemente impedito di avere un processo, nonostante ne avessimo il diritto», dichiara Renate Howald Moor sottolineando l’importanza di questa decisione. La vedova è certa che giustizia sarà fatta, non solo per la sua famiglia, ma anche per le altre numerose vittime. L’impegno di Renate Howald Moor va infatti ben oltre gli interessi della sua famiglia. «Forse in futuro, grazie al verdetto di Strasburgo, le aziende si prenderanno più cura della sicurezza dei propri lavoratori». In Svizzera il numero di decessi annui causati dall’amianto è di circa ottanta persone ed è in costante crescita.