"Berna fuori, entra la Cina"

di Simonetta Caratti

 

Formare patologi, radiologi, chirurghi, fornire tecnologia moderna per avere una diagnosi e terapia dei tumori al seno in Kirghizistan. Un progetto che coinvolge vari medici ticinesi, coordinati dal prof. Franco Cavalli. Berna chiude i rubinetti,ma li ha aperti la Cina che ingrandirà il progetto, utile anche contro l'islamizzazione del paese.

 

Ogni giorno, in Ticino, una donna riceve una terribile notizia (‘Lei ha un tumore al seno’), inizia un percorso difficile, guardando avanti con un certo ottimismo, sapendo che l’80% guarisce. La stessa diagnosi ad una donna in Kirghizistan (non l’Africa, ma un Paese dell’Asia centrale che fa parte dell’Helvetistan) arriva talmente tardi che l’unica soluzione, per le più fortunate, è amputare il seno. «Abbiamo trovato il Medioevo: niente diagnosi precoce, niente radiologia o strumenti adeguati per fare una biopsia, tante donne coi corpi devastati da cicatrici orribili», spiega la dott. Olivia Pagani del Centro di senologia della Svizzera italiana.

 

La viceprimario all’Istituto oncologico della Svizzera italiana (Iosi) è impegnata in un progetto umanitario in Kirghizistan, promosso dall’oncologo Franco Cavalli per sviluppare diagnosi e cure per il tumore al seno, con investimenti in macchinari ma soprattutto nella formazione di patologi, radiologi, chirurghi e oncologi. Iniziato nel 2015, il progetto – che coinvolge anche l’Istituto cantonale di patologia e quello dei Tumori di Milano – punta a diventare un modello per lo sviluppo della lotta contro i tumori nei Paesi poveri.

 

Quest’anno c’è stata una importante svolta. La nuova collaborazione con l’Accademia cinese delle scienze mediche – che finanzierà parte del progetto, destinato a ingrandirsi – subentrando a Berna, che ha chiuso i rubinetti.

 

 

Berna chiude le porte al progetto

 

Ci spiega tutto l’oncologo Cavalli: «Il progetto, finanziato dalla Lega Svizzera contro il cancro e dalla Scuola europea di oncologia che ha una sede a Bellinzona, era inizialmente sostenuto anche dall’ambasciata svizzera a Biskek. Abbiamo chiesto quest’anno al Dipartimento federale degli esteri di continuare a sostenerci. Non lo faranno perché hanno altre priorità, malgrado il Kirghizistan sia nel cosiddetto Helvetistan».

 

Per una porta chiusa a Berna, un portone si apre a Est: «La Cina ci sosterrà in que- sto progetto oncologico da sviluppare nell’ambito del faraonico progetto della Nuova Via della Seta. Qualche settimana fa, con noi a Biskek, c’era una delegazione scientifica cinese con cui abbiamo convenuto un ampliamento del progetto, che si estenderà anche al tumore della cervice», precisa il prof. Cavalli.

 

Tanta carne al fuoco tra Bellinzona e Biskek. Ed ora si parlerà anche cinese. La prima fase, ci spiega l’oncologo, è stata formare i loro patologi, sono venuti all’Istituto di patologia a Locarno e all’Istituto dei tumori di Milano, dove hanno imparato a fare diagnosi con strumenti adeguati. In una seconda fase, incentrata sulle terapie, sono state messe a punto linee guida per i medici, ai chirurghi dovremo insegnare un approccio conservativo e non devastante ed è urgente una formazione in radioterapia. «Formeremo un gruppo di radioterapisti kirghisi all’ospedale San Giovanni di Bellinzona. Abbiamo trovato vecchi (e pericolosi!) apparecchi di radioterapia che risalivano ai tempi sovietici, ma anche un’apparecchiatura per determinare i recettori ormonali nel tumore (essenziale per decidere quale terapia fare) regalato dalla Svizzera, che nessuno sapeva usare», precisa il prof. Cavalli.

 

Anche con l’Accademia cinese delle scienze mediche, il programma è intenso: «Una parte dei radioterapisti sarà formata ad Urumqi, la capitale della regione cinese confinante. Estenderemo il progetto al tumore della cervice, introducendo un test a domicilio da spedire per i risultati. Infine, introdurremo una diagnosi a distanza con ultrasuoni. Basterà applicare una macchinetta sul seno mentre la diagnosi digitalizzata verrà fatta in un laboratorio a distanza», conclude.

 

 

 

"Aiutare in Kirghizistan anche per arginare l’islamizzazione"

 

Costruire in 5 anni un sistema sanitario efficace per diagnosticare e curare il tumore al seno. Investimenti contenuti (250mila franchi annui) ma passi da gigante. Questa è la sfida del progetto in Kirghizistan, che vuole diventare un modello per altri Paesi poveri e sarà presentato l’anno prossimo a Singapore al Congresso della società europea di oncologia (Esmo Asia). «Anche la Banca mondiale invita ad investire nel tumore la seno, perché con investimenti contenuti si ha un grande impatto sulla sopravvivenza», spiega il dottor Cavalli.

 

Un Paese come il Kirghizistan, con 6 milioni di abitanti e un reddito medio pro capite di 90 dollari al mese, ha le dimensioni giuste per fare da modello. Tutto è iniziato, come spesso accade, quasi per caso. Un viaggio in Kirghizistan dell’oncologo sulle rive dell’Ysykköl (il secondo lago alpino più grande al mondo) sulle tracce di Ajtmatov (il suo scrittore preferito) è diventato, grazie all’intraprendenza del medico, un piano sanitario che sta salvando molte vite e avrà un impatto sulle generazioni future.

 

Ma c’è di più. A motivare l’oncologo è stata anche l’islamizzazione in atto in questi Paesi dell’Asia centrale: «Lì la situazione politica si sta ‘radicalizzando. Quando incontri gli over 50, ti dicono: “Ridateci l’Unione Sovietica!”, perché loro investivano (mentre ora scuole ed ospedali sono in condizioni pietose) e arginavano l’islamismo». Infatti, durante il periodo sovietico l’Islam da quelle parti era moderato. «Ora tutto è cambiato. La gente ti racconta che i giovani sono diventati molto più religiosi, le ragazze portano il velo, cosa che prima nessuno faceva. Infatti, gli unici che veramente investono lì sono in parte i turchi ma soprattutto i sauditi che hanno costruito nuove moschee e finanziano un grande numero di scuole religiose», spiega il medico. Non per nulla alcuni dei terroristi che hanno compiuto attacchi in Europa erano di origine kirghisa o uzbeka.

 

Dietro il progetto sanitario, c’è anche una riflessione politica: «Ritengo che dobbiamo darci da fare, senza sopravvalutarci naturalmente, per aiutare questa gente, che altrimenti si radicalizza, perché gli unici che li sostengono sono gli islamisti», conclude il prof. Cavalli.

 

 

 

 

 

Tratto da LaRegione Ticino