di Francesco Bonsaver
Settimana scorsa è arrivata la nota stampa congiunta: c’è l’accordo fra padronato e sindacati sul rinnovo contrattuale nazionale dell’edilizia. Le mobilitazioni (imponenti) d’autunno sono state decisive.
Dal pacchetto padronale sono sparite la flessibilità estrema di trecento ore supplementari nel carico annuale, l’abolizione del mantenimento delle qualifiche in caso di cambio d’impresa, gli stage senza rispetto dei salari minimi e la soppressione dell’articolo 28 che regola le intemperie.
Gli edili riceveranno 80 franchi di aumento al mese il prossimo anno e altrettanti nel 2020. L’età di prepensionamento nell’edilizia è garantita a 60 anni con rendite immutate e il problema temporaneo del finanziamento, dato dall’arrivo della generazione del baby boom, è risolto con un aumento dei contributi dello 0,5% nel 2019 e un ulteriore 0,25% nel 2020 sui salari dei lavoratori.
La parola fine alla vertenza spetta all’eventuale ratifica dell’accordo delle rispettive assemblee dei delegati, previste il 15 dicembre per i sindacati e il 19 quella degli impresari.
Il giorno successivo all’annuncio dell’accordo, “Radio-cantiere” riporta molta soddisfazione per l’accordo raggiunto tra Ssic e sindacati. «L’accordo trovato è ottimale. Direi che è il frutto delle mobilitazioni in tutto il paese, di cui l’alta partecipazione nelle varie regioni è stata toccante. Siamo bravi, ma non dei coglioni. Da bravi lavoriamo duro, ma quando arrivano delle provocazioni che ledono la nostra dignità di essere umani, sappiamo reagire» racconta Leandro*, muratore di lunga data.
Che la lotta paghi, lo condivide naturalmente anche Dario Cadenazzi, responsabile Unia Ticino dell’edilizia e membro della trattativa nazionale. «La mobilitazione sindacale più importante degli ultimi 15 anni, ha certamente pagato. Per ottenere dei risultati, bisogna organizzare collettivamente i lavoratori, essere presenti sui posti di lavoro, organizzare assemblee, informare costantemente sullo stato delle discussioni». È la ricetta del sindacato ticinese, cantone che ha dato il via alle mobilitazioni regionali il 15 ottobre con oltre 3mila operai nelle vie di Bellinzona.
Un’adesione importante che non ha sorpreso il muratore Marco*: «Personalmente, gran parte del merito l’attribuisco al lavoro preparatorio dei sindacalisti di Unia. Tenuto conto del poco tempo a disposizione, circa un mese e mezzo, direi che il risultato è stato ottimo». Anche gli operai però ci hanno messo del loro, gli facciamo notare, poiché si sono messi in gioco in prima persona. «Certo, ma noi operai abbiamo bisogno di essere stimolati, soprattutto di questi tempi. La coscienza di appartenenza alla classe operaia è andata perdendosi negli anni. Per molti oggi l’importante è avere il telefonino d’ultima generazione per sentirsi appagati. A mio avviso, il sindacato deve trovare il modo di ricostruire la coscienza collettiva, l’importanza di avere dei valori condivisi tra i lavoratori. Di certo, l’aver ottenuto questo risultato grazie all’essersi mobilitati, rinforza nei colleghi l’importanza di agire collettivamente col sindacato».
La riuscita delle mobilitazioni è certamente motivo d’orgoglio per il sindacato, ma equivale anche a un’assunzione di responsabilità importante nei confronti dei lavoratori. «Sarebbe un grave errore vedere nell’accordo trovato, la fine della mobilitazione – chiarisce il sindacalista Cadenazzi –. Le relazioni e i rapporti di fiducia coi lavoratori devono essere costanti, non solo in occasione dei rinnovi. C’è voglia di sindacato in tutta la Svizzera. E sarebbe suicida per l’organizzazione non rispondere a queste attese, a questi bisogni». Stando ai nostri interlocutori, gli operai non hanno reagito a una specifica rivendicazione padronale. «Non credo che l’alta partecipazione si possa spiegare con un solo fattore – osserva Marco –. Ognuno aveva la sua motivazione particolare. Nel mio caso, essendo vicino al prepensionamento, fondamentale era mantenerlo a sessant’anni. Per i più giovani, magari era ottenere un aumento salariale. Per altri, evitare di aggiungere altre ore alle giornate già lunghe. In definitiva, il pacchetto di proposte padronali era talmente provocatorio nel suo insieme che non potevamo non reagire».
A un certo punto delle trattative, il padronato pensava che, sistemato il prepensionamento, con 150 franchi d’aumento nel 2019 si potesse comprare la flessibilità estrema delle 300 ore. Gli operai invece hanno detto no al baratto. Se questa interpretazione sia corretta, lo chiediamo al sindacalista di Unia. «L’ultimo aumento è stato dello 0,4% cinque anni fa. Quest’anno il carovita è dell’1,2%. Il tema degli aumenti era dunque molto sentito, al pari della flessibilità estrema e del prepensionamento. Non avremmo mai potuto accettare un accordo che non prevedesse un aumento del salario reale. Con questo accordo usciamo con un lieve aumento, se si tiene conto dei maggiori contributi pagati dagli operai per il prepensionamento. Ma soprattutto, abbiamo cancellato la richiesta delle trecento ore».
Prima di dichiarare chiusa la vertenza, ci vorrà la ratifica dei rispettivi gremii. Quello padronale sconfesserà la sua delegazione? «È difficile, ma possibile – risponde Cadenazzi –. Se dovessero farlo, di certo la reazione dei muratori sarebbe ancor più imponente di prima».
Una volta chiuso il capitolo nazionale, si aprirà il confronto cantonale. Nicola Bagnovini, direttore della Ssic ticinese, ha già messo le mani avanti, evidenziando il tema dell’aumento salariale. «Non vedo grandi possibilità rispetto al Contratto nazionale, perché quello cantonale non può essere peggiorativo – chiarisce il sindacalista di Unia –. Ascolteremo le loro proposte. Anche noi abbiamo degli aspetti che vorremmo migliorare, ad esempio la protezione dei lavoratori più anziani. Ci confronteremo come sempre».
Nei cantieri, c’è un mondo intero: fissi, interinali, operai d’imprese in subappalto, distaccati, stranieri e residenti, anziani e giovani. Costruire su questa frammentazione un’unione, non è una scommessa facile. «Molti di noi sono frontalieri, come il sottoscritto – risponde Leandro –. Tanti ti dicono che potresti sbattertene se perdi qualche diritto. E invece no. Ci sono dei valori che non si possono vendere per un pugno di soldi. Siamo degli esseri umani e ci sono dei limiti che non si possono superare. Per questo abbiamo reagito compatti, al di là delle storie individuali».
Il capocantiere spinge la riflessione ad altre professioni, che magari guardano un po’ invidiose alla capacità di reagire degli edili. «Tutti i lavoratori sono nella stessa barca, con le condizioni che peggiorano giorno dopo giorno. Stiamo cavalcando il capitalismo, spingendo per avere sempre di più, di più… Ma dove stiamo andando e cosa vogliamo raggiungere, resta una domanda senza risposta che mi trascino da tempo. Basterebbe pochissimo per stare meglio tutti. Ma il capitalismo premia gli avidi, non i giusti».
Tratto da areaonline.ch