Dai Gilet gialli a Beltraminelli

L'editoriale

 

La Francia, con la sua tradizione di rivolte popolari, ci ha abituati al sorgere improvviso ed imprevisto di movimenti sociali travolgenti. Ricordiamoci che appena un mese prima del maggio 68 un documento ufficiale del PCF certificava che purtroppo l’opposizione appariva così cloroformizzata che non ci si doveva aspettare nessun movimento sociale d’opposizione se non a lunga scadenza.

Anche questa volta il fenomeno dei gilet gialli è esploso all’improvviso e ha assunto una forza quasi travolgente in un paio di settimane. La goccia che ha fatto traboccare il vaso dello scontento popolare è stata, come ormai ben noto, la decisione di aumentare le tasse sui carburanti, ciò che andava a colpire soprattutto le popolazioni rurali e delle periferie, malservite dai trasporti pubblici.

 

All’inizio quindi il movimento ha avuto anche una certa connotazione anti-ecologica: questo fatto, assieme alla presenza di gruppuscoli di estrema destra dalle tinte xenofobiche, ha fatto inizialmente inneggiare Salvini, Le Pen ed il Mattino della Domenica a questa rivolta da “Prima i nostri”. Ma più il movimento si sviluppava, più diventava chiaro che la stragrande maggioranza delle rivendicazioni erano chiaramente di sinistra: dall’estensione dei servizi pubblici ai miglioramenti delle pensioni, dalla reintroduzione dell’imposta sui patrimoni ad una serie di richieste di stampo egualitario, soprattutto nel settore fiscale. Non per niente il movimento era stato sin dall’inizio sostenuto da Mélenchon, il quale giustamente aveva commentato che quando scoppia una rivolta di massa non si può storcere il naso per la presenza anche di elementi “indifendibili”, come li aveva un po’ spregiativamente definiti il segretario generale della CGT.

 

Decisivo in queste situazioni è chi è in grado di giocare un ruolo egemonico quando la rivolta si organizza. Anche per il rientro nel movimento di buona parte dei quadri sindacali, ben presto è diventato evidente che la protesta era contro il dominio sempre più soffocante del capitale finanziario monopolistico, raffigurato dal Presidente Macron, vissuto giustamente come un prodotto quasi robotico generato dai poteri forti. Oggi nessuno più dubita che il fenomeno dei gilet gialli è una delle tante espressioni del profondo disagio sociale che sta travolgendo in tutto il mondo capitalista la parte meno resistente della classe media e gli strati sociali medio bassi.

 

In questo senso ha somiglianze con il Brexit o con il voto pro-Trump dei “bianchi impoveriti” del Mid-West americano. Alcuni storici francesi lo stanno paragonando a quelle rivolte popolari di tipo luddista che nell’Ottocento portavano per esempio a fare incendiare le filande per distruggere i primi macchinari che stavano creando disoccupazione tra gli operai. Come allora, anche adesso si tratta spesso di rivolte poco strutturate, proprio perché la controrivoluzione neoliberista ha fortemente indebolito le strutture partitiche e sindacali, che durante il periodo fordista incanalavano simili movimenti.

 

Questi fenomeni sottolineano quindi l’urgenza sia di una rifondazione di un’opposizione radicale di sinistra strutturata che di un approccio meno istituzionalizzato (alcuni direbbero un po’ populista) a sinistra, come sostenuto da diversi filosofi per i quali attualmente la contraddizione principale sembra essere tra l’1% dei superricchi ed il rimanente 99% della popolazione.

 

Anche da noi assistiamo ad un peggioramento del disagio sociale, soprattutto per la diminuzione del reddito disponibile per buona parte della popolazione, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi. Un ruolo decisivo in questa dinamica è giocato dal continuo ed importante aumento dei premi di cassa malati, che in una situazione di non aumento dei salari, non solo erodono continuamente il potere d’acquisto, ma che nella loro iniquità (uguali per l’impiegato e per il milionario) suscitano giustamente l’indignazione popolare.

 

Ed è in questo senso che nel titolo di questo editoriale ci riferiamo a Beltraminelli, quale figura simbolica del problema, e non solo perché ogni settembre lui si limita a dire che “l’aumento dei premi avrebbe ancora potuto essere peggiore”. Beltraminelli è stato responsabile di una serie di tagli (da quello dei sussidi per i premi agli assegni di prima infanzia), sostenendo contemporaneamente a spada tratta gli oltre 50 milioni di regali fiscali ai superricchi. E, ciliegina sulla torta, il nostro ministro della sanità sta accumulando nei suoi profondi cassetti, senza muovere dito e permettendosi addirittura risposte poco rispettose in Gran Consiglio, le iniziative popolari che domandano soluzioni urgenti a diversi problemi: copertura dei costi delle spese dentarie, garanzia della qualità delle cure, ruolo degli ospedali di valle.

 

È perciò che in un nostro recente comunicato non abbiamo escluso che la prossima volta invece di un’infreddolita manifestazione contro i cassamalatari, come è stato il caso l’ultimo 17 novembre, si passi a visitare in modo un po’ più caldo il Palazzo.

 

 

 

 

 

Quaderno 19 / Gennaio 2019