di Franco Cavalli
Un mese fa mi trovavo a San Diego per un congresso. Vedo sugli edifici pubblici e sulle navi da guerra ancorate nella baia la bandiera americana a mezz’asta. Mi informo: è morto Bush senior, il 41esimo Presidente degli Stati Uniti, eletto nel 1988 e sconfitto poi quattro anni più tardi da Bill Clinton.
Di lui ho due ricordi personali. Nel 2006 ero a Washington per essere eletto alla Presidenza dell’Unione Internazionale Contro il Cancro (Uicc). Oratrice d’onore all’apertura del congresso era Barbara Bush, l’ex First Lady che era accompagnata dal marito, che ho dovuto intrattenere durante una decina di minuti. Mi disse subito «parliamo di tutto, ma non di mio figlio, ma non lo dica a mia moglie sennò mi sgrida». Alle mie rimostranze su quanto aveva fatto con il Nicaragua durante la sua presidenza, rispose in modo sibillino «talvolta qualche piccolo sbaglio nella vita lo si fa».
Un anno dopo stavo visitando nel reparto di oncologia a Bellinzona quando mi arriva una telefonata: è “Bush il vecchio” che si informa sullo stato di salute di un suo amico, che era ricoverato da noi. Due episodi che sembrerebbero confermare quell’immagine di “vecchio gentleman di stampo anglosassone”, su cui si sono lungamente soffermati i media nel diluvio di necrologi apparsi dopo il suo decesso.
Un’immagine a cui veniva contrapposta la descrizione del suo figlio pure lui presidente, dipinto come un essere un po’ primitivo ed incapace di prendere decisioni ben ponderate. Tutto questo può anche essere vero a livello psicologico: a noi dovrebbe però interessare quasi esclusivamente l’aspetto politico. E qui Bush senior, durante la cui presidenza cadde il muro di Berlino, continuò senza battere ciglio la politica imperialista reaganiana, arrivando a formulare l’ipotesi di un nuovo ordine mondiale unipolare, retto dall’Impero statunitense. È all’interno di questa visione del mondo che bisogna interpretare la prima invasione dell’Iraq, che Bush senior scatenò nel gennaio del 1991, pietra angolare di tutte quelle guerre che seguiranno (Afghanistan, Iraq II, Libia, Siria eccetera), che dobbiamo definire come criminali e che oltre a milioni di morti hanno avuto come conseguenza principale la nascita e il rafforzamento dell’Isis e di tutta la galassia islamista radicale.
Di fronte a tutte le cavolate continuamente vomitate dagli islamofobi locali (Quadri, Ghiringhelli, solo per nominarne due), non dimentichiamo quindi mai che tutto ciò è stato provocato dall’Occidente! E per capire la situazione attuale c’è un altro fatto fondamentale da far risalire al 41esimo Presidente degli Stati Uniti. Egli fu il primo a cominciare a disattendere la promessa fatta a Gorbaciov di non spostare i confini della Nato a Oriente, in compenso dell’accettazione da parte sovietica della riunificazione tedesca. Sappiamo poi come è andata: oggi la Nato arriva ai confini russi ed è ciò che spiega in gran parte la politica internazionale di Putin, compreso quanto sta capitando ora in Ucraina.
Bush il vecchio secondo me non passerà alla storia come un politico che ha contribuito al benessere dell’umanità.
Per sua fortuna postuma, la totale impresentabilità dell’attuale inquilino della Casa Bianca per un momento l’ha fatto apparire in una luce molto più positiva di quanto abbia meritato. E questo la dice lunga su dove siamo purtroppo arrivati: non per niente Noam Chomsky ha recentemente scritto che attualmente il partito repubblicano è l’organizzazione politica più pericolosa al mondo.
Tratto da areaonline.ch