Salario minimo: un “compromesso” che spalanca le porte al dumping salariale di stato

Sindacato Unia Ticino e Moesa

 

Parole, parole. Il titolo della celebre canzone, con cui Mina racconta una storia d'amore che si trascina vuota e senza passione, si presterebbe bene anche per descrivere il comportamento svogliato...

... e lo sguardo sfuggente dai problemi reali del paese tenuto dalla maggioranza di destra del Parlamento ticinese, che da un anno e mezzo sta facendo di tutto per ostacolare l’adozione di un salario minimo legale che consenta di vivere dignitosamente in Ticino.

 

La proposta attualmente in discussione nella Commissione della gestione è semplicemente indecente e rappresenta un insulto alla volontà popolare espressa ormai quattro anni fa con l’approvazione dell’iniziativa “Salviamo il lavoro in Ticino”.

 

 

L’ipotesi di salari minimi compresi in una forchetta tra i 19 franchi e i 19,50, che ieri il presidente della Commissione Raffaele De Rosa ha indicato come possibile “compromesso” in grado di raccogliere una maggioranza di consensi, va respinta al mittente. Si tratta infatti di importi totalmente inadeguati a contrastare i dilaganti fenomeni del dumping, dello sfruttamento e della sostituzione della manodopera residente con personale frontaliero “a buon mercato”. Una soluzione di questo tipo porterebbe a una sorta di dumping di stato.

 

La maggioranza borghese del Parlamento sta dimostrando ancora una volta di non voler far nulla per riconoscere il vero valore del lavoro e combattere i fenomeni della povertà e dell’emarginazione che colpiscono sempre più gravemente il nostro Cantone. Evidentemente i suoi rappresentanti considerano più pagante la politica delle “parole, parole”, fatta di vuote dichiarazioni di principio sulla necessità di «valorizzare il dialogo e il partenariato sociale» o di affidarsi alla «responsabilità sociale delle aziende».

 

Dichiarazioni che spesso escono dalla bocca di politici che fanno anche gli imprenditori, generalmente ostili ai sindacati e ai contratti collettivi. Forte è anche la tendenza a dipingere una situazione del mercato del lavoro e delle condizioni d’impiego totalmente lontana dalla realtà: succede così per esempio che il consigliere nazionale Plr Rocco Cattaneo, che come imprenditore affiliato all’Associazione ticinese stazioni di servizio si è battuto contro un salario minimo di 3600 franchi mensili lordi (ritenuto un importo «fuori dalla realtà» per il Ticino), vada in televisione a dire che i suoi dipendenti sono comunque contenti e lo dimostrano partecipando alla cena aziendale (TeleTicino, A Conti in Tasca di mercoledì 30 gennaio 2019).

 

Ci sono infine quelli che non si rassegnano e che non perdono occasione di insinuare dubbi sulla bontà del salario minimo: “si corre il rischio di sbarrare ai giovani l’accesso al mondo del lavoro”, “i salari medio-alti potrebbero subire una pressione al ribasso” eccetera, eccetera. Come se la volontà popolare non fosse chiara. Il salario minimo non potrà mai da solo risolvere tutti i problemi, ma sicuramente farebbe star meglio diversa gente e contribuirebbe a fare un po’ di ordine in un mercato del lavoro allo sfascio. Ovviamente a patto che si fissino importi dignitosi che consentano di vivere in Ticino e che non si sfrutti l’occasione per istituire il dumping di stato. Questa è la volontà popolare che il Parlamento è tenuto a rispettare!