Città e autogestione: qual è il punto d'arrivo di un rapporto mai riconosciuto?

Associazione AIDA

 

L'ultima presa di posizione del Sindaco Borradori, che si può leggere sul post "Nessuno spazio per l'autogestione all'ex Macello" del sito Ticinonews, è un'affermazione che si ...

... potrebbe definire arrogante perché di fatto presuppone che si voglia cancellare un accordo ancora in vigore e che di fatto la città voglia distanziarsi dall’autogestione.

 

In controtendenza con varie città svizzere, Lugano non vuole gli autogestiti in un sedime che da 16 anni li sta ospitando. Riferirsi a un gruppo di lavoro comune - cantone per trovare una nuova sede è un modo tutto sommato mascherato per non affrontare il problema.

 

Cavalcare grandi progetti e fare operazioni di restyling con pochi contenuti è un modo molto politico per far credere ai cittadini di avere idee chiare su come la città può evolvere. Lugano ci ha abituato a grandi proclami e importanti eventi che di fatto aiutano una ristretta cerchia di beneficiari (vedi esercizi commerciali del centro e pochi altri).

 

Noi non crediamo che questo sia il modo di amministrare una città! Da parte di un municipio ci si può aspettare maggiore saggezza e capacità di assunzione di responsabilità, ma anche capacità di adottare linguaggi e modi di interagire e relazionare che non siano solo quelli istituzionali.

 

In primo luogo, l’ammistrazione in questa legislatura non ha mai riconosciuto il concetto di autogestione. Per noi questo sarebbe il punto di partenza per un dialogo che in questi ultimi anni non è avvenuto. Avere idee non significa far leva su progetti unidirezionali, ma piuttosto riuscire a condividere e creare partecipazione. In questo ambito molti aspetti non vengono considerati, uno, per esempio, è la capacità di creare relazione - capacità che l’autogestione possiede - permettendo di far fare esperienze di "vita relazionale" sia ai giovani sia a coloro che non lo sono più.

 

Non credere che il macello possa essere restaurato e adeguatamente adibito a spazi pluridisciplinari considerando come punto forte l’autogestione quale motore propositivo per offrire spazi d’incontro che non siano omologati, presuppone mancanza di lungimiranza e un modo di vedere la città in senso unilaterale.

 

Possibile che la diversità, quei piccoli spazi che potremmo definire di frontiera, aree d’incontro in cui fioriscono aggregazione ed espressione o anche solo momenti ricreativi che in altri modi non sarebbero praticabili, non venga prevista e pianificata?

 

Un centro vuoto poco o nulla vivo e pochissimo abitato è oramai animato in modo artificiale. Si vuole a tutti costi emarginare una realtà che per molti giovani è l’unico punto d’incontro e per taluni proprio il punto di riferimento. Cosa si vuole ottenere facendo così? Qual è il punto d'arrivo di un rapporto, quello fra Città e autogestione, mai riconosciuto?