E se Rosa Luxemburg non fosse stata assassinata?

di Damiano Bardelli

 

Il 15 gennaio scorso è stato il centenario della morte di Rosa Luxemburg, assassinata insieme a Karl Liebknecht nel gennaio 1919 su ordine dei vertici del Partito socialdemocratico tedesco (SPD).

Malgrado la sua importanza per la storia della sinistra europea, si tratta di un evento spesso dimenticato o raccontato in modo parziale, per il quale la socialdemocrazia non ha mai fatto ammenda.

 

 

La polacca Rosa Luxemburg (1871-1919) è stata una delle più brillanti interpreti del marxismo dell’epoca della Seconda internazionale, oltre che una pioniera del femminismo moderno. Perseguitata in patria a causa delle sue idee politiche, non ancora ventenne la Luxemburg cerca rifugio in Svizzera e poi in Germania, dove aderisce alla SPD (allora di ispirazione marxista e faro del movimento operaio internazionale) divenendone una figura di spicco. Profonda conoscitrice del pensiero di Marx, nel 1913 pubblica la sua opera di maggior spessore, Die Akkumulation des Kapitals, un saggio economico nel quale viene illustrato il legame intrinseco tra sviluppo capitalista e sfruttamento imperialista – un tema su cui si esprimerà poi Lenin in modo meno brillante, per quanto più pungente, in Imperialismo, fase suprema del capitalismo.

 

Nel corso degli anni non mancano le frizioni tra la Luxemburg e lo stesso Lenin, in particolare per questioni legate alla prassi e all’organizzazione del partito, ma ciononostante la visione politica dei due rivoluzionari converge su aspetti allora centrali come l’internazionalismo proletario e l’opposizione a ogni conflitto imperialista. È proprio su quest’ultima tematica che si consuma invece la rottura tra la Luxemburg e la SPD.

 

Nel 1914, la socialdemocrazia tedesca – come da parte sua quella francese – vota in favore dei crediti di guerra, tradendo l’ideale internazionalista e pacifista che l’aveva sin lì ispirata e spianando così la strada al massacro della prima guerra mondiale. La Luxemburg, con il collega Karl Liebknecht, organizza allora una corrente interna alla SPD che raggruppa i contrari alla guerra: nel corso del conflitto, l’organizzazione acquisisce una sempre maggior autonomia e prende finalmente il nome di Lega spartachista. A causa della sua attività contro la guerra, la Luxemburg viene imprigionata insieme ad altri dirigenti spartachisti e passa in prigione gli ultimi due anni del conflitto.

 

Nell’ottobre 1918, la Germania entra nel caos: i soldati dell’esercito imperiale, stufi di fungere da carne da cannone per una guerra che non rappresenta in alcun modo i loro interessi, si alleano con la classe operaia affamata e in rivolta. La situazione si avvicina sempre più a quella vissuta dalla Russia un anno prima. All’imperatore Guglielmo II non resta che abdicare e il potere passa così alla coalizione borghese che partorirà la Repubblica di Weimar. La SPD, voltando le spalle al malcontento popolare, si mette al tavolo con le forze borghesi e riesce ad issarsi alla testa del nuovo regime con la speranza – a posteriori illusoria – di poterne influenzare le sorti.

 

Guidati da una buona dose di arrivismo, i vertici socialdemocratici riescono ad accaparrarsi diversi ruoli chiave, tra cui in particolare quello di cancelliere, che sarà ricoperto dal segretario generale del partito Friedrich Ebert. Nel tumulto generale, i prigionieri politici vengono liberati e i dirigenti spartachisti non tardano a schierarsi con gli insorti. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht si trovano allora a Berlino, nel cuore della rivolta. Nei primi giorni di gennaio partecipano alla fondazione del Partito comunista tedesco (KPD), boicottano la costituente della Repubblica di Weimar e organizzano una nuova ondata rivoluzionaria che passerà alla storia come l’insurrezione spartachista. Lo scopo è quello di instaurare uno stato socialista che assicuri che la rivoluzione cominciata poco più di un anno prima in Russia si propaghi al resto del mondo industrializzato. Come Lenin, la Luxemburg era convinta che il superamento della barbarie capitalista – di cui la Grande Guerra rappresentava l’incarnazione più esplicita – dipendesse dalla generalizzazione della rivoluzione socialista negli stati che guidavano l’economia mondiale.

 

Il 9 gennaio 1919, l’insurrezione spartachista prende però una piega drammatica. Di fronte alla possibile vittoria della rivoluzione e alla “minaccia” dell’instaurazione di un governo del popolo per il popolo, il cancelliere socialdemocratico Friedrich Ebert decide di reprimere la rivolta nel sangue. Con la complicità del ministro dell’interno, il suo compagno di partito Gustav Noske, ordina l’intervento dei Freikorps, dei gruppi paramilitari conservatori precursori delle SA e del nazismo. Meglio equipaggiati, questi hanno rapidamente la meglio sulla popolazione in rivolta: il bilancio della sola prima giornata è di oltre 150 morti.

 

Pochi giorni dopo, il 15 gennaio, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht vengono catturati, interrogati e torturati dai Freikorps agli ordini dei vertici socialdemocratici. Poi, nel corso della notte, vengono finiti con una pallottola a bruciapelo nella nuca. Il loro brutale assassinio segna la fine della rivolta. Il cadavere di Rosa Luxemburg, sfigurato e irriconoscibile, viene volgarmente gettato nel Landwehrkanal come monito per gli altri insorti.

 

 

Tra socialismo e barbarie, i socialdemocratici scelsero quest’ultima. Come spesso si afferma, a giusto titolo, la storia non può essere scritta con i “se” e con i “ma”. Ciò detto, avvenimenti storici di questa portata ci pongono di fronte a degli interrogativi che non possono essere ignorati.

 

Cosa sarebbe successo se la SPD, anziché continuare la sua politica di alleanza con i partiti borghesi cominciata nel 1914 con il sostegno ai crediti di guerra, si fosse schierata con l’insurrezione spartachista? L’insurrezione popolare guidata da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht avrebbe potuto portare all’instaurazione di uno stato socialista nel cuore dell’Europa, in un paese tra i più industrialmente sviluppati al mondo? E se sì, cosa ne sarebbe stato del destino della rivoluzione socialista mondiale, che a quel punto sarebbe stata guidata da una superpotenza come la Germania anziché da un paese povero e industrialmente arretrato, essenzialmente contadino, caratterizzato da secoli di ipertrofica burocrazia come lo era l’Unione sovietica sorta dalle ceneri della Russia zarista? Altri paesi avrebbero seguito l’esempio di Russia e Germania, aiutati magari dal supporto logistico e organizzativo di questi due paesi? Le potenze occidentali avrebbero avuto le risorse militari necessarie per sostenere la controrivoluzione in entrambi i paesi, allo stesso livello a cui, effettivamente, si implicarono in Russia durante la guerra civile? E soprattutto, se i vertici socialdemocratici non avesse lasciato libero corso ai Freikorps, ma anzi li avessero fatti disarmare, permettendo così all’insurrezione popolare di trionfare e di annientarli, il nazismo avrebbe potuto prendere piede in Germania? Se in quel freddo inverno del 1919 la Germania fosse diventata la locomotiva della rivoluzione socialista, avremmo mai sentito parlare di Hitler, dell’Olocausto e degli orrori della seconda guerra mondiale?

 

Sono tutte domande a cui non è possibile dare risposta, ma che ci obbligano a riflettere sulla portata della decisione dei vertici della SPD di far assassinare Rosa Luxemburg e gli altri dirigenti dell’insurrezione spartachista in difesa della Repubblica di Weimar, dal cui grembo sarebbe poi nato proprio il Terzo Reich. Una decisione per la quale, come detto, non è mai stata fatta ammenda e che rimane una macchia indelebile nella storia della socialdemocrazia europea.

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