Avete detto giustizia?

di Damiano Bardelli

 

È un libro che si legge tutto d’un fiato, quello recentemente pubblicato da Dick Marty presso le edizioni Favre di Losanna. Ricordato in Ticino principalmente per essere stato procuratore, poi Consigliere di Stato e Consigliere agli Stati per il Partito Liberale Radicale, ...

... Marty è più conosciuto all’estero per le sue inchieste internazionali sulle prigioni segrete della CIA e sul traffico d’organi in Kosovo, condotte in rappresentanza della Commissione dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa.

 

 

Personaggio di rara caratura morale e intellettuale, soprattutto se comparato all’attuale classe politica ticinese, Marty incarna alla perfezione lo spirito dell’illuminismo: nelle sue riflessioni traspaiono il rifiuto dell’autorità intellettuale e lo spirito critico già cari a Kant, lo sdegno di fronte alle ingiustizie e alle disuguaglianze caratteristico di Rousseau, e soprattutto l’empatia nei confronti degli altri esseri umani che David Hume e Adam Smith consideravano come la chiave di volta del contratto sociale.

 

Prendendo spunto da una preoccupante – e per fortuna temporanea – amnesia, Marty mette nero su bianco gli eventi che hanno marcato il suo operato nelle istituzioni, inframezzandoli con pensieri sui temi d’attualità che più gli stanno a cuore. Più che un’autobiografia, insomma, si tratta di un memoriale ricco di riflessioni sulla politica, le istituzioni, il diritto, la stampa, ma anche più generalmente la natura umana.

 

Un libro nel quale Marty ci mette di fronte alle ingiustizie del nostro tempo e alle storture della nostra società con la sua implacabile determinazione, obbligandoci a rimettere in questione l’idea di giustizia generalmente espressa da politici, magistrati e giornalisti. Insomma, chi vuole vivere delle proprie certezze si astenga dalla lettura.

 

Se i passaggi più accattivanti sono senz’altro quelli relativi alle sue investigazioni internazionali – dal narcotraffico ai crimini commessi dalle bande criminali legate all’Esercito di Liberazione del Kosovo, passando per la “ragnatela” delle prigioni segrete della CIA (alla quale è dedicato il bel documentario di Fulvio Bernasconi, “Un grido per la giustizia”) – il punto forte del libro risiede però nelle numerose riflessioni espresse da Marty.

 

Il sistema della giustizia internazionale, la gestione dell’aiuto allo sviluppo, la divisione dei poteri e l’organizzazione giuridica in Svizzera, e poi ancora le politiche in materia di stupefacenti e lotta al terrorismo, le narrazioni della grande stampa internazionale e il ruolo giocato dagli Stati Uniti nell’ordine geopolitico internazionale sono tutti temi che Marty affronta in modo mai banale, ponendo degli interrogativi e offrendo degli spunti di riflessione che toccherà poi al lettore dirimere.

 

Lo stesso discorso vale per i ritratti che Marty traccia delle diverse persone che lo hanno marcato: capi di stato e criminali (spesso le due categorie coincidono), colleghi e amici, uomini e donne comuni. Un grande affresco di umanità che appare in filigrana alla narrazione delle sue esperienze e che ci obbliga a riflettere su noi stessi, sulle nostre azioni e i nostri valori.

 

Il lettore di sinistra troverà molti punti di convergenza con quanto scritto da Marty. In particolare, è in un certo modo confortante leggere la denuncia delle storture prodotte dal capitalismo globale a guida americana da parte di un uomo che difficilmente può essere accusato di bolscevismo, e che anzi ha dedicato la sua vita al lavoro nelle istituzioni in rappresentanza del partito che ha dominato la scena politica elvetica dai tempi dalla fondazione dello stato svizzero contemporaneo.

 

Ma ovviamente non mancano anche i punti di divergenza, tra cui per esempio la sua posizione sull’economia, che come ci si potrebbe attendere è poco in sintonia con una prospettiva socialista. Inoltre, visti lo spirito critico e l’attitudine empirica che Marty applica generalmente con rigore, non può che sorprendere il romanticismo di cui fa prova nelle sue riflessioni sull’Unione europea, soprattutto nella parte conclusiva del libro. Per quanto l’ideale europeista sia condivisibile (ed è condiviso da chi scrive), allo stato attuale delle cose è difficile, se non impossibile, considerare l’UE come una realizzazione positiva di questo ideale, soprattutto se si tiene conto della sempre più evidente sottomissione del processo democratico ai mercati finanziari imposta tanto dalla Commissione europea quanto dalla Banca centrale europea, le due istituzioni più influenti dell’Unione.

 

Non resta che sperare che il libro venga presto tradotto in italiano, in modo da renderlo accessibile a tutto il pubblico italofono. Ma i lettori più impazienti non si disperino: Marty scrive le sue memorie in un francese scorrevole e accessibile, quasi discorsivo. Sfogliando le pagine, si ha l’impressione di condividere un momento di dialogo con lo stesso Marty, rapiti dalla sua narrazione e al contempo interpellati dai suoi numerosi interrogativi. Chiunque mastichi un minimo di francese non deve dunque farsi sfuggire quest’occasione, forse irripetibile, per confrontarsi con l’ultimo grande statista ticinese.

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