La mia battaglia contro l’establishment dell’Europa

di Franco Cavalli

 

Il libro, apparso in inglese alla fine del 2017, racconta in poco meno di 900 pagine la cronaca appassionata dei 162 giorni, durante i quali Varoufakis si è scontrato quasi quotidianamente con i rappresentanti delle istituzioni continentali.

Il tutto è raccontato con il tono di un romanzo poliziesco, anche se uno lo legge sapendo già come va a finire, ma chiedendosi invece come mai si è arrivati là. E come in ogni buon poliziesco non mancano incontri segreti, appuntamenti nel bel mezzo della notte, tranelli, tradimenti, e colpi di scena: per restare in quest’ultimi, sensazionale è il colpo di telefono della cancelleria tedesca al governo cinese, per impedire che quest’ultimo intervenga con un’enorme somma ad aiutare le finanze greche.

 

Varoufakis riporta testualmente molte delle discussioni avute, soprattutto in sede di Eurogruppo, con funzionari e dirigenti della Banca Centrale Europea e del FMI o durante le sedute del Consiglio dei ministri greco: ogni tanto mi son chiesto come abbia potuto farlo con tanta precisione. Su tutto aleggia un’atmosfera tra la tragedia greca e l’incomunicabilità kafkiana, anche se spesso uno si meraviglia del livello scadente, a dir poco, delle discussioni: devo confessare che ho avuto diverse volte delle difficoltà a seguire i voli pindarici con i quali Varoufakis scova continuamente possibili soluzioni tecnocratico-riformatrici per cercare di convincere soprattutto gli altri ministri finanziari dell’EU a risolvere la situazione greca senza farne pagare ancora una volta il costo ad una popolazione già stremata.

 

E da tutte queste scenette spesso quasi tragicomiche la stragrande maggioranza dei politici europei ne escono molto male, sovente dando l’impressione di essere quasi dei perfetti imbecilli o allora semplicemente dei tirapiedi dell’onnipotente ministro tedesco Schäuble, il quale terrorizza tutti partendo semplicemente dall’assunto che “i debiti vanno pagati, verstanden?”. Forse val qui la pena di ricordare che in tedesco la parola debito (Schuld) significa anche e forse soprattutto colpa.

 

Anche se, e questo è un aspetto che mi ha molto sorpreso, Varoufakis sostiene con validi argomenti che in fondo ciò che i potenti dell’Eurozona fondamentalmente volevano non era il pagamento dei debiti, che sapevano essere impossibile, ma usare quest’arma per obbligare il governo greco a imporre misure anti-sociali: taglio delle pensioni, aumento dell’IVA, privatizzazioni a più non posso, annullamento dei sindacati e dei contratti collettivi, oltretutto guardandosi bene dal permettere al governo di Atene di combattere i grandi evasori e tutti gli intrallazzatori, primi responsabili della crisi greca.

 

Un fatto che mi ha particolarmente colpito è il sostegno “ideologico e contenutistico” che Varoufakis cerca ed ottiene presso esponenti di spicco del neoliberalismo (dall’ex segretario al Tesoro americano Larry Sommers all’ex-cancelliere dello scacchiere inglese, il conservatore Norman Lamont) cosicché alla fine non meraviglia poi più di quel tanto che l’unico politico europeo a salvarsi per lui è l’attuale presidente francese Macron.

 

Non del tutto chiari, almeno per me, risultano poi essere i contorni di quel piano B, che Varoufakis avrebbe preparato per permettere a Tsipras di non cedere al ricatto dell’UE “o accettate o è Grexit”., quando dopo l’incredibile e straordinaria vittoria al referendum del 5 luglio 2015, che bocciava quindi le proposte di Bruxelles, si arrivò al dunque. Come noto Tsipras cedette, con le conseguenze che tutti conoscono.

 

Il Primo Ministro greco non esce bene da queste pagine. Viene descritto come una persona abbastanza psicolabile, tendente alla depressione e poco affidabile nel senso di non saper mantenere la parola o la posizione enunciata. Spettacolare il racconto di un viaggio che Varoufakis fa, su ordine di Tsipras, per andare a Washington a parlare con la Direttrice delle FMI Lagarde: arrivato all’aeroporto americano, Varoufakis si ritrova nel telefonino una serie di messaggi di Tsipras, che gli ingiunge di chiamarlo immediatamente, perché nel frattempo ha cambiato completamente opinione.

 

Per certi versi abbastanza sorprendente è la conclusione del libro. Di fatti non c’è dubbio che l’opinione pubblica europea abbia vissuto quanto capitato con la Grecia come una moderna politica delle cannoniere, o per dirla con altre parole come la storia della “Germania che ha riconquistato la Grecia senza aver bisogno dei carri armati”. Ed è evidente che tutto ciò ha contribuito alla Brexit e sta favorendo la rinascita di derive nazionalistiche e populiste. Varoufakis però crede ancora in quella che lui definisce la sua disobbedienza costruttiva e nella possibilità di riformare democraticamente, partendo dal basso e con un’azione radicale, l’Unione Europea. È per questo che ha fondato il movimento transnazionale DIEM25 e si presenterà alle elezioni europee. Che abbia forse ragione chi da sempre l’ha giudicato un utopista social-liberale?

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